agricoltura
L'arte di coltivare la terra
L'agricoltura è stata una delle tappe più significative nella storia dell'uomo in quanto ha rivoluzionato le sue forme di vita, segnando l'abbandono del nomadismo, la nascita di gruppi stanziali e un nuovo modo di organizzare non solo l'economia ma anche i rapporti sociali e la struttura politica. La coltivazione della terra, inoltre, ha costituito anche il primo, importante tentativo dell'uomo di controllare e dominare la natura. Nel corso del tempo, però, gli interventi sono diventati così profondi e radicali da apparire talvolta come una violazione dei ritmi e delle leggi della natura stessa: ne è un clamoroso esempio, oggigiorno, l'uso degli OGM (organismi geneticamente modificati)
Secondo alcuni studiosi le origini dell'agricoltura risalirebbero a circa 23.000 anni fa e andrebbero situate in Mesopotamia, l'attuale Iraq. Probabilmente l'uomo primitivo iniziò la semina spinto dalla lunga osservazione dei cicli vitali delle piante: la conservazione di una parte dei semi raccolti e la loro successiva piantagione costituirono il primo passo nella coltivazione della terra. È certo che la nascita dell'agricoltura trasformò radicalmente la vita degli esseri umani, fino ad allora riuniti in piccoli gruppi nomadi, perlopiù costituiti da famiglie o da clan, dediti principalmente alla caccia e alla raccolta di frutti e radici. La caccia portava questi nuclei a spostarsi in continuazione, seguendo le mandrie di bufali e cervi o i branchi di mammuth. Escluse le operazioni di caccia vere e proprie, alle donne era affidata gran parte delle attività del gruppo: la macellazione degli animali uccisi, la fattura di pelli per coprirsi e la raccolta di bacche, frutti ed erbe che si incontravano casualmente lungo il cammino.
Già la raccolta presupponeva la capacità, basata sull'esperienza, di riconoscere i prodotti della terra commestibili e non velenosi. Forse la ricchezza delle pianure occupate da alcuni grandi fiumi, l'abbondanza di cacciagione e di pesce, oltre che di frutti stagionali, furono all'origine della progressiva sedentarietà di alcuni gruppi. Non a caso, le prime testimonianze di un'economia prevalentemente incentrata sull'agricoltura si hanno in Mesopotamia e successivamente in Egitto, due zone in cui il costante flusso di acque e di inondazioni determinava la periodica fertilità dei terreni.
In altre aree l'agricoltura arrivò assai più tardi: in Europa è attestata intorno al 5000 a.C., in altre zone del globo è stata introdotta in epoche storiche. Il diffondersi dell'agricoltura, dunque, non fu né rapido, né uniforme.
La nascita delle tecniche di sfruttamento pianificato della terra portò una rivoluzione non solo nell'alimentazione, ma anche nelle abitudini di vita: nacquero infatti i primi insediamenti fissi, capanne di legno ed erba secca che, con il passare dei millenni, si trasformarono in costruzioni di fango e mattoni. La terza, importante rivoluzione che l'agricoltura portò con sé fu lo sviluppo dell'artigianato. La coltivazione della terra e la vita sedentaria nel villaggio, infatti, richiedevano l'uso di strumenti sempre più specifici e perfezionati sia per lavorare le campagne sia per immagazzinare e trasportare il cibo e l'acqua sia per fabbricare indumenti: nacquero così i primi recipienti, in pelle e poi in argilla, ma anche i primi telai per la tessitura. Intorno al 3000 a.C., dunque, le civiltà della Mesopotamia e dell'Egitto erano arrivate ad avere una struttura sociale complessa, basata sull'agricoltura e sullo sfruttamento dei suoi prodotti, sull'artigianato e sull'allevamento, attività che l'uomo preistorico aveva sviluppato di pari passo con quella della coltivazione della terra.
Come abbiamo detto, in origine l'agricoltura si basava sulla raccolta, sulla conservazione delle sementi migliori, sulla loro semina e sull'attesa del nuovo raccolto, operazioni che venivano tutte svolte a mano. Solo col passar del tempo furono introdotti i primi, rudimentali strumenti per facilitare la lavorazione della terra. Tra questi, fondamentali furono la zappa e l'aratro. La prima permetteva di rivoltare la terra dopo che questa era stata fertilizzata con la tecnica del debbio, cioè la bruciatura delle stoppie: in questo modo il terreno riceveva sostanze nutritive, si aerava e tratteneva più a lungo l'acqua. L'aratro aveva una funzione simile ma più efficace: introdotto intorno al 5° millennio a.C. in Mesopotamia, esso permetteva infatti non solo di tracciare un solco continuo nel campo, ma anche di scavare in profondità il terreno, così da consentire un migliore assorbimento dell'acqua e favorire l'attecchimento delle sementi.
Insieme alla zappa e all'aratro nacque una serie di strumenti agricoli atti ad aiutare il contadino nelle varie lavorazioni, dalla vanga al badile, dalla falce alla roncola, dall'ascia all'accetta, solo per citare i principali. Un altro balzo in avanti nell'ambito della coltivazione della terra fu l'irrigazione artificiale dei campi. In origine, infatti, la lavorazione dei terreni prevedeva la semplice semina, e l'apporto di acqua era fornito da fenomeni naturali: lo straripamento dei fiumi, che però comportava spesso la distruzione dei raccolti, e le piogge, che potevano essere troppo abbondanti o troppo scarse. Fu sempre in area mesopotamica che nacquero, intorno al 5°- 4° millennio a.C., le prime forme di irrigazione attraverso la canalizzazione dei corsi d'acqua, altra piccola rivoluzione che permise all'uomo di controllare ulteriormente la natura e piegarla alle sue esigenze.
Nelle prime fasi di sviluppo dell'agricoltura l'uomo scoprì rapidamente che, dopo pochi anni, il terreno non dava più frutti abbondanti. Questa fu una delle cause per cui l'agricoltura all'inizio non fu stanziale ma semistanziale: una volta sfruttato il terreno a disposizione, la comunità si spostava e sceglieva nuovi territori dove continuare a lavorare la terra e a seminare. Ben presto, però, furono introdotte le pratiche della concimazione ‒ come abbiamo già accennato sopra ‒, e della rotazione dei terreni: per moltissimi secoli, praticamente fino ai nostri giorni, per rivitalizzare i terreni si è usata infatti la bruciatura delle stoppie, le cui ceneri danno alimento ai terreni. A questa tecnica si è affiancata quella della rotazione, che prevede la coltivazione del campo per uno o due anni e poi la sua messa a maggese, vale a dire un 'riposo' per una o più stagioni.
L'agricoltura fu dunque la principale causa della nascita delle prime società stanziali. Da essa derivarono altre attività, come il commercio e l'artigianato, ma anche nuove forme di organizzazione sociale che diedero origine ai primi regni. Essi ebbero una struttura piramidale, che vedeva al vertice i guerrieri, poi la casta sacerdotale e, in fondo, gli agricoltori. Questo modello durò ‒ pur con modifiche, anche profonde ‒ per alcuni millenni.
Fu con l'età repubblicana di Roma che il rapporto uomo-terra iniziò a mutare: il soldato-agricoltore, che tornava dopo anni dalle campagne di guerra, trovava le terre di nuovo incolte, si indebitava per comperare nuove sementi, e spesso finiva per vendere a poco prezzo la sua terra ai ricchi proprietari, per lo più senatori e cavalieri. Questo processo diede origine al latifondo, che rivoluzionò la geografia di ampi territori. Con le centuriazioni, ossia le divisioni di terreni da assegnare ai veterani o a gruppi di emigranti che andavano a fondare nuove colonie, iniziarono ampi disboscamenti e opere di bonifica che resero fertili regioni fino ad allora dominate dalle foreste, dalle paludi o comunque da una natura aspra e inospitale.
La figura del servo della gleba, che nasce agli albori del Medioevo, testimonia l'instaurarsi di un vincolo indissolubile tra i contadini e la terra da essi lavorata. La terra rimaneva però di proprietà del signore ‒ nobile, ecclesiastico, conventuale ‒ e veniva data in affitto per periodi rinnovabili dalla durata variabile (in genere tre o cinque anni) e con precisi impegni da parte dell'affittuario. Se la centuriazione di età romana portò a una prima, momentanea accelerazione delle coltivazioni in molte pianure europee, una seconda radicale trasformazione si ebbe a partire dal 10° secolo con l'affermarsi del movimento monastico (v. monachesimo): i terreni, che nei secoli precedenti erano in buona parte tornati incolti e selvaggi, furono riportati alla produzione, altri furono dissodati, prosciugati e resi fertili grazie a un'imponente opera di canalizzazioni.
La rivoluzione agricola di origine monastica portò non solo ampie ricchezze ai monasteri, i cui possedimenti grazie alle donazioni dei nobili erano spesso vastissimi, ma anche a un più generale sviluppo della società. Nonostante le ricorrenti guerre, carestie e pestilenze, fu il costante impegno dei monaci e dei laici al loro servizio a contribuire in maniera decisa a far uscire la civiltà occidentale dai cosiddetti secoli bui dell'Alto Medioevo. Gli strumenti e le tecniche di lavorazione della terra vennero inoltre progressivamente migliorati, e pur non subendo l'agricoltura cambiamenti radicali per tutto il Medioevo, alcuni nuovi prodotti comparvero nelle campagne e poi sulle tavole degli europei: fra questi va ricordato il riso, importato dall'Oriente, le cui prime coltivazioni furono introdotte in Europa tra il 13° e il 14° secolo; sempre in questo periodo si sviluppò rapidamente la coltivazione del baco da seta, che rendeva i mercanti italiani più indipendenti dalle importazioni delle preziose sete d'Oriente.
Nel 17° secolo alle rotazioni biennali furono sostituite quelle triennali, alternando due tipi di raccolti e il maggese per garantire non solo una maggiore varietà nelle coltivazioni e negli approvvigionamenti dei mercati, ma anche una migliore qualità dei raccolti grazie all'equilibrio delle sostanze minerali che venivano naturalmente immesse nei terreni. Si verificò anche un notevole miglioramento delle tecniche di selezione e di allevamento del bestiame. Inalterata rimase però la fatica di dissodare la terra, così come la costante incertezza sul futuro dei raccolti. Un'estate troppo calda o una primavera troppo piovosa, il passaggio di soldataglie, un assedio alla vicina città potevano mettere a repentaglio i raccolti determinando funeste carestie.
Un cambiamento profondamente significativo nella coltivazione della terra avvenne tra la fine del 19° e la prima metà del 20° secolo, quando la millenaria fatica del contadino e degli animali che lo accompagnavano nel campo, ‒ buoi, ma soprattutto cavalli e muli ‒ andò via via riducendosi con l'avvento delle macchine: trattori sempre più potenti, aratri sempre più robusti e capaci di rivoltare la terra in profondità, trebbiatrici, falciatrici e decine di altri mezzi sostituirono lentamente il lavoro dell'uomo. Sempre in questo periodo, un'ennesima innovazione, la diffusione dell'elettricità, fece progredire ulteriormente l'agricoltura: essa rese possibile, tra le altre cose, la refrigerazione degli alimenti, che potevano così essere conservati e trasportati anche a lunghe distanze.
Dopo la Seconda guerra mondiale l'impiego dell'elettricità si diffuse nell'industria casearia, nei processi di preparazione, immagazzinamento ed essiccazione dei cereali, e soprattutto nell'allevamento, in particolare nella produzione di polli e uova, con la creazione di ambienti 'artificiali'.
Se fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale l'economia europea si basava ancora fondamentalmente sull'agricoltura, che occupava la maggior parte della forza lavoro disponibile, a partire dal dopoguerra il lavoro nei campi andò lentamente riducendosi a causa dell'avvento delle macchine. Oggi la coltivazione della terra occupa, almeno nell'Europa occidentale, non più del 3÷5% della forza lavoro complessiva, ma nonostante questo le produzioni sono in costante aumento. Al contadino si è sostituito infatti l'imprenditore agricolo, che lavora centinaia di ettari di proprietà e altrettanti in affitto e che ha trasformato l'agricoltura quasi in un'industria, con i suoi operai specializzati e generici, macchine e tecnologie sempre più sofisticate. Il rapporto dell'uomo con la terra è riuscito a conservare la sua centralità anche nelle società più avanzate, ma grazie alla nuova sensibilità ambientale che si va affermando nel mondo occidentale non è più basato su una logica di puro e indiscriminato sfruttamento. Lo prova la crescita costante dell'agricoltura biologica, quel tipo di agricoltura, cioè, che non fa uso, o ne fa molto poco, di fertilizzanti e di sostanze chimiche.
In effetti, il massiccio impiego della chimica in agricoltura, esercitato soprattutto a partire dalla metà del 20° secolo, ha permesso sì una più efficace difesa delle seminagioni e dei raccolti dagli attacchi di insetti, muffe e funghi, ma all'ingente prezzo di introdurre nell'ambiente pericolosi veleni. Allo scopo di ottenere prodotti della terra sempre migliori e ridurre contemporaneamente l'impiego di prodotti chimici, quindi, molti Stati hanno intrapreso la strada di un sempre maggiore perfezionamento delle tecniche di selezione. La selezione all'interno dei singoli prodotti agricoli è stata da sempre praticata dall'uomo, che in passato, con le conoscenze di base in suo possesso, è stato in grado di ottenere tipologie di prodotti che potessero crescere più rapidamente o resistere meglio alla siccità, come accadde per il grano. Con il tempo, le tecniche di ibridazione e di selezione sono divenute via via più scientifiche, in modo tale che si è arrivati a creare addirittura nuove varietà di prodotti, come è successo per il riso. Oggi l'ultima frontiera della sperimentazione è rappresentata dalle biotecnologie, che permettono di intervenire sulla struttura genetica dei prodotti della terra e di cambiarla in modo tale che essi siano in grado di autodifendersi dagli attacchi di malattie e di insetti (i prodotti trattati in questo modo prendono il nome di OGM, organismi geneticamente modificati). L'impiego delle biotecnologie in agricoltura, tuttavia, è assai controverso: secondo alcuni si tratta di un illecito e dannoso stravolgimento della natura, secondo altri di una forma moderna di quel processo di 'domesticazione' delle piante iniziato migliaia di anni fa e di un grande progresso che potrà aiutare, tra le altre cose, a risolvere il grave problema della fame nel mondo.
Le prime testimonianze pittoriche dell'aratro, risalenti al millennio successivo a quello della sua introduzione e attestate, sia in Mesopotamia sia in Egitto, raffigurano strumenti di forma già evoluta: sono per lo più a due manici, connessi a una stanga perpendicolare a sua volta collegata al vomere - la punta dell'aratro che solca la terra - e appaiono trainati da una coppia di buoi. Forme più semplici e leggere di aratri a un solo manico sono raffigurate in alcune pitture rupestri del 2° millennio a.C. in area ligure e lombarda.
Mentre sugli strumenti e sui metodi di coltivazione dei primi millenni si hanno testimonianze vaghe, attestate solo da affreschi o incisioni, grazie ai ritrovamenti archeologici possiamo avere un'idea abbastanza precisa su cosa si coltivasse in area mediorientale ed europea. Tra i cereali, grano e orzo innanzitutto, poi segale e avena, e alcuni ortaggi. In Medio Oriente erano diffusi i datteri, l'aglio, le cipolle, le lenticchie e i piselli; in area europea le piante tipiche erano olivo e vite, pur se già in epoca egizia e fenicia, con i primi commerci su vasta scala, questi vegetali venivano consumati anche in aree dove non erano coltivati. In ogni caso, per alcuni millenni, nonostante i commerci, non ci furono sostanziali modifiche nel consumo di vegetali.
La scoperta dell'America segnò una svolta anche per l'agricoltura, grazie ai nuovi prodotti portati in Europa da Colombo prima e dagli altri conquistatori poi. Il pomodoro, il granturco, il cacao fecero la loro comparsa sulle tavole dei nobili, e a poco a poco furono introdotti nelle coltivazioni, rivoluzionando le abitudini alimentari degli europei. Alcune piante, per esempio la patata, furono usate in un primo tempo come piante ornamentali, e solo in seguito come specie commestibili.