Il diritto civile italiano conosce molteplici esempi di autorizzazione, ma (a differenza di altri ordinamenti, per es. quello tedesco), non ne fornisce una definizione, né una disciplina uniforme. In generale, si intende per autorizzazione il consenso preventivo all’altrui negozio o all’altrui disposizione e si usa distinguere tra autorizzazione integrativa e autorizzazione costitutiva.
La autorizzazione integrativa ricorre ogni volta che la legge richiede il consenso preventivo di un soggetto per la valida formazione di un atto (per es., nell’ipotesi di contratto con sé stesso, il contratto concluso dal rappresentante con sé stesso è valido se il rappresentante lo aveva a ciò specificatamente autorizzato: art. 1395 c.c.), per attribuire funzione solutoria a un comportamento che, in difetto di autorizzazione, integrerebbe un inadempimento (per es., l’appaltatore non può apportare variazioni alle modalità convenute dell’opera, se il committente non le ha autorizzate; il mandatario non può sostituire altri a sé stesso, senza esservi autorizzato o senza che ciò sia necessario per la natura dell’incarico).
L’autorizzazione costitutiva fa sorgere un potere giuridico di disporre, ovvero una legittimazione ad agire sul patrimonio altrui: è questa la figura più discussa, per la mancanza nel nostro ordinamento di una norma di contenuto analogo a quello del paragrafo 185 del BGB (Bürgerliches Gesetzbuch), il codice civile della Germania. Si distinguerebbe dalla procura perché l’autorizzazione attribuirebbe un potere di agire in nome proprio.