Carlo Cattaneo
Una consolidata tradizione storiografica era solita presentare il milanese Carlo Cattaneo come il ‘grande vinto’ dell’epoca risorgimentale: la sua posizione federalista e la sua fiera opposizione alla dinastia sabauda, infatti, furono sopraffatte dalla nascita di una nuova Italia monarchica, governata da Vittorio Emanuele II. La fervida stagione di studi cattaneani apertasi nel secondo dopoguerra ha corretto quest’interpretazione schematica e, per alcuni aspetti, incompleta della figura di Cattaneo, attraverso una ricostruzione più ampia e articolata della sua biografia, delle sue opere e del suo pensiero politico.
Carlo Cattaneo nacque a Milano il 15 giugno 1801, dall’orefice Melchiorre e da Maria Antonietta Sangiorgi. A causa delle condizioni finanziarie non molto floride in cui versava la famiglia, fu avviato alla carriera ecclesiastica e mandato a studiare nei seminari di Lecco e Monza. Abbandonato l’abito talare, proseguì la propria formazione frequentando il liceo municipale Sant’Alessandro (l’attuale liceo Parini), dove si diplomò nel 1820, anno in cui ottenne una cattedra presso il ginnasio Santa Marta. In seguito si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza a Pavia, mentre contemporaneamente seguiva le lezioni di diritto tenute da Gian Domenico Romagnosi, di cui divenne presto uno degli allievi prediletti.
Laureatosi nel 1824, l’anno successivo conobbe l’inglese Anna Pyne Bridges Woodcock, che sarebbe diventata sua moglie dieci anni dopo. Nel 1829 entrò, in qualità di consulente legale, nel gruppo editoriale organizzato da Francesco Lampato, il proprietario degli «Annali universali di statistica».
Il 1835 fu un anno di svolta nella vita di Cattaneo. In primo luogo decise di abbandonare il posto da insegnante nell’insalubre ginnasio Santa Marta, che gli aveva causato non pochi problemi di salute; in seguito morì il suo amatissimo maestro Romagnosi, di cui fu l’esecutore testamentario; infine sposò Anna Woodcock.
Interrotta la collaborazione con Lampato, Cattaneo assunse la direzione de «Il Politecnico», la cui prima serie durò dal 1839 al 1844. Nello stesso 1844 promosse e curò la pubblicazione del volume collettaneo Notizie naturali e civili su la Lombardia (di cui scrisse anche alcune parti), che era una «descrizione ambientale e sociale della Lombardia» (Armani 1997, p. 82). Furono anni caratterizzati da un’intensa attività intellettuale e da diversi riconoscimenti: nel 1843 venne nominato membro dell’Imperial regio istituto lombardo di scienze e lettere e, nel 1845, fu eletto segretario relatore della Società di incoraggiamento delle arti e dei mestieri.
Nel corso delle Cinque giornate di Milano (18-22 marzo 1848) fu tra i dirigenti dell’insurrezione. Il rientro definitivo degli austriaci lo indusse a prendere la via dell’esilio: si trasferì in Svizzera, nel Canton Ticino, prima a Lugano e poi nel ‘romitorio’ di Castagnola. Nell’aprile del 1849 ebbe i primi contatti con la Tipografia elvetica di Capolago, cui seguirono gli anni intensi di raccolta e di preparazione dei materiali che avrebbero formato l’Archivio triennale delle cose d’Italia (3 voll., 1850-1855). Nel 1852 divenne docente di filosofia nel liceo di Lugano, incarico che mantenne sino al 1865, quando si dimise in seguito a un diverbio con il consigliere di Stato Mario Pioda.
Nel corso degli anni Sessanta rifiutò diversi incarichi politici e accademici; solo nel 1867, dopo essere stato eletto deputato nel primo collegio di Milano prevalendo sul candidato moderato Emilio Visconti Venosta, si recò quattro volte a Firenze, ma senza giurare fedeltà al re e senza quindi varcare la soglia del Parlamento. Morì a Castagnola il 6 febbraio 1869.
Nel 1835 si aprì un contenzioso tra la Svizzera e la Francia, perché le autorità del cantone Basilea-campagna (di recente formazione, essendo stato istituito nel 1832), forti di una disposizione contenuta nella propria Costituzione la quale proibiva agli ebrei di possedere beni immobili, dichiararono nullo il contratto di acquisto di un terreno stipulato dai fratelli Wahl, ebrei francesi di Mulhouse. Tale decisione fu impugnata dal governo francese, che si appellò a un accordo siglato con il governo federale svizzero in cui era stata concessa ai cittadini francesi la facoltà di possedere proprietà fondiarie in terra elvetica. La controversia si risolse con la corresponsione di un risarcimento di 25.000 franchi ai fratelli Wahl.
Tale vicenda attirò l’interesse sia di Giuseppe Mazzini, che pubblicò due efficaci articoli, il 4 e l’11 novembre del 1835, sul giornale di orientamento democratico «Jeune Suisse», sia di Cattaneo che, tra la fine del 1835 e gli inizi del 1836, scrisse un saggio sull’argomento. L’opera, inizialmente intitolata Ricerche economiche sulle interdizioni imposte dalla legge civile agli Israeliti (ma che Cattaneo ribattezzerà Interdizioni israelitiche nel 1860, quando la inserirà alle pp. 1-143 di un’antologia di suoi scritti, Memorie di economia pubblica dal 1833 al 1860), fu tuttavia bloccata per quasi un anno dalla censura austriaca, che diede il permesso di pubblicarla solo nel 1837 (con data 1836), dopo averne espunto il sesto paragrafo del primo capitolo, dal titolo Questioni di diritto privato. Cattaneo rimase stupito da questo atto censorio, di cui non intendeva le ragioni; alla fine degli anni Cinquanta, preparando la citata antologia del 1860, sarebbe tornato a riflettere sull’episodio, giungendo alla conclusione che in quell’occasione il governo di Vienna aveva messo in atto
una politica discriminatoria nei confronti dei non cattolici che si era risolta in una vera e propria abdicazione dello Stato di fronte alla Chiesa di Roma con l’accordo sottoscritto [dall’Austria] nel 1855 (L. Ambrosoli, introduzione a C. Cattaneo, Interdizioni israelitiche, 1962, rist. 1987, p. XXVIII).
Quando uscì, il saggio – che aveva il pregio di delineare un vero e proprio «quadro generale e dettagliato della condizione ebraica in Europa alla metà degli anni Trenta» (Albertoni, in Cattaneo, Milano e la Lombardia, 2005, p. 18) – fu accolto da un vasto consenso in Italia e suscitò reazioni positive anche nella stampa internazionale. Cattaneo, rispondendo alle parole di elogio di Simon Bloch, ebreo francese di Strasburgo che nel 1836 aveva fondato il mensile «La régénération», avrebbe in seguito affermato: «Del resto la graduale emancipazione degli israeliti è uno dei fenomeni inevitabili che accompagnano il progresso dell’umanità» (lettera del 13 marzo 1848, in Epistolario, a cura di R. Caddeo, 1° vol., 1949, p. 85).
Nelle Interdizioni Cattaneo sviluppò alcune acute riflessioni sulle ricadute economiche del divieto di diventare proprietari fondiari imposto agli ebrei. La conseguenza di tale interdizione si traduce in un accumulo di ricchezza nelle mani di pochi. Si tratta, quindi, di una legislazione innaturale perché va contro l’interesse generale della società. Invece, sostiene Cattaneo, gli Stati devono mirare a conseguire la «progressiva universale equità» (Interdizioni, cit., p. 167) delle condizioni di vita dei propri cittadini. Una delle conclusioni a cui giunge Cattaneo, al termine delle proprie analisi sulle interdizioni attuate a discapito degli ebrei, è che, se si verificasse un «generale pareggiamento degli israeliti agli altri abitatori», si «produrrebbe l’assorbimento loro nell’unità sociale» (p. 168).
Nel 1839 Cattaneo aveva appena interrotto i rapporti con Lampato quando si fece coinvolgere in una iniziativa editoriale simile, associandosi a due suoi amici, il chimico e religioso Ottavio Ferrario e il pubblicista Giovanni Battista Menini, che avevano già ottenuto dalle autorità austriache l’autorizzazione a stampare un nuovo periodico intitolato «Il Politecnico». Tale impresa editoriale non fu un successo commerciale, ma si trattò di un’iniziativa di grande valore morale, in grado di suscitare un ampio consenso italiano e straniero. Grazie al lavoro indefesso di Cattaneo – che scriveva buona parte del contenuto dei fascicoli, sceglieva scrupolosamente i collaboratori, correggeva tutti gli articoli, intervenendo talora pesantemente –, la rivista raggiunse in breve il livello dei più prestigiosi periodici europei.
L’obiettivo perseguito da Cattaneo era quello di allineare la Lombardia all’Europa e di tenere informato il suo pubblico di tutte le novità provenienti dal campo umanistico e da quello scientifico e tecnologico. «Il Politecnico» si presentò come «una palestra di modernità e di innovazione, di rinnovamento culturale e di elevazione civile in funzione del progresso collettivo» (C.G. Lacaita, Carlo Cattaneo e il «Politecnico», in «Il Politecnico» di Carlo Cattaneo: la vicenda editoriale, i collaboratori, gli indici, a cura di C.G. Lacaita, R. Gobbo, E.R. La Forgia, M. Priano, 2005, p. 23). Negli articoli di maggior respiro emerse chiaramente l’intima convinzione di Cattaneo che il progresso fosse indissolubilmente legato all’azione degli uomini, ed egli fece mostra anche di uno spirito riformista lontano sia da un estremismo di stampo rivoluzionario sia da un atteggiamento remissivo verso le autorità governative.
Nel 1844 Cattaneo, in seguito a contrasti con l’editore de «Il Politecnico», Luigi Pirola, decise di interrompere la pubblicazione della rivista; in questo modo «la cultura milanese perdette lo strumento più efficace di diffusione delle sue idee» (L. Ambrosoli, Introduzione a C. Cattaneo, Tutte le opere, 4° vol., 1967, p. XV). Conclusasi questa prima esperienza della rivista, Cattaneo accettò l’invito del letterato e giornalista Carlo Tenca a collaborare alla «Rivista europea».
All’inizio degli anni Cinquanta, egli manifestò l’intenzione di riprendere «Il Politecnico», ma dovevano passare quasi dieci anni prima che il prestigioso giornale potesse riprendere le pubblicazioni. Nel frattempo Cattaneo collaborò con continuità, tra il 1854 e il 1859, a «Il crepuscolo», altra rivista fondata da Tenca.
La seconda serie de «Il Politecnico» fece il suo esordio nel 1860, nonostante l’acerrima ostilità del partito cavouriano. Con il passare del tempo emersero incomprensioni sempre più insanabili tra Cattaneo e il proprietario della testata, Gino Daelli. Cattaneo si separò dal proprio giornale nel 1862. In pochi anni si chiusero la seconda (1862) e la terza serie (1865). Da quest’ultimo anno Cattaneo cessò definitivamente di scrivere per «Il Politecnico», che passò in mano al matematico Francesco Brioschi. Nella sua quarta serie (1866-68) la rivista si distinse per un significativo cambiamento, perché invece di occuparsi di materie umanistiche assunse il profilo di un giornale specializzato per i tecnici del neonato Stato italiano.
Il 17 marzo 1848 era giunta a Milano la notizia che, alcuni giorni prima, il governo di Vienna aveva deciso di abolire la censura. La reazione di Cattaneo fu quella di stilare nottetempo il programma di un nuovo giornale, che si sarebbe intitolato «Il cisalpino». Il giorno dopo, mentre stava portando l’annuncio che aveva scritto, venne attratto dalle prime concitate fasi delle Cinque giornate. Pur essendo da sempre restio a un intervento armato e a gesti di violenta rottura nei confronti del governo austriaco, Cattaneo rimase sorpreso dall’entusiastica e diffusa adesione del ceto popolare all’insurrezione. Decise quindi di farsi coinvolgere nella politica attiva, e così il 20 marzo si ritrovò a essere un membro autorevole prima del Consiglio di guerra e poi del Comitato di guerra; di conseguenza, per dieci giorni fu il principale responsabile della strategia militare della rivolta. Svolse tale incarico con determinazione: respinse l’armistizio richiesto dal comandante delle truppe austriache, il maresciallo Josef Radetzky, organizzò con abilità le barricate e riuscì nel tentativo di dividere le truppe austriache, costringendole alla resa il 22 marzo; il suo operato, quindi, fu decisivo nell’assicurare la vittoria ai patrioti milanesi.
Nel frattempo cresceva la tensione con il governo provvisorio, guidato da Gabrio Casati, che era favorevole all’annessione al Regno di Sardegna. Il 31 marzo si sciolse il Comitato di guerra, e da allora Cattaneo, repubblicano e federalista, rifiutò quasi ogni carica pubblica. Fu nominato Commissario di guerra per Lecco, Bergamo e Brescia, e in questa veste incontrò Giuseppe Garibaldi, verso cui nutrì subito una grande stima. Il 6 agosto gli austriaci rientrarono a Milano, e Cattaneo prese la via dell’esilio, stabilendosi a Lugano, città in cui fu costituita la Giunta di insurrezione nazionale. Ai primi di agosto partì in missione per Parigi, con l’incarico di convincere il governo francese a intervenire in favore dei patrioti lombardi, ma nessun politico transalpino mostrò interesse per la causa milanese.
Disgustato dalle numerose falsità che si stavano diffondendo sulle azioni militari di quei mesi, Cattaneo decise di ricostruire le vicende delle Cinque giornate per illustrare le intenzioni degli insorti e per mettere in luce il ruolo negativo dei piemontesi: il 25 ottobre 1848 uscì così, presso la casa editrice parigina Amyot, un suo libello intitolato L’insurrection de Milan en 1848. Rientrato poco dopo a Lugano, nel mese di aprile del 1849 entrò in contatto con Alessandro Repetti, direttore della Tipografia elvetica di Capolago. Uno dei primi progetti editoriali cui Cattaneo mise mano fu l’edizione italiana del suo scritto apparso in francese. Dell’insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra venne dato alle stampe nel 1849 in una versione molto più ampia e precisa rispetto a quella francese. In quest’opera, Cattaneo mise in luce gli errori compiuti dai democratici e dai mazziniani, che sostanzialmente erano favorevoli all’annessione al Regno di Sardegna, senza tener conto del desiderio di autonomia manifestato dagli insorti. La politica seguita dal re Carlo Alberto si era rivelata del tutto insufficiente, e per Cattaneo era chiaro che non ci si poteva affidare ai Savoia per la ripresa dell’attività insurrezionale. La liberazione dell’Italia, infatti, si poteva raggiungere soltanto con il sostegno popolare e con una diffusione capillare delle idee di libertà.
La tumultuosa esperienza del 1848 ebbe due effetti su Cattaneo: innanzitutto gli fece perdere tutte le sue fonti di sostentamento, perché non percepì più né la sua pensione di insegnante, né quella dell’Istituto lombardo, e inoltre si rafforzò la sua insofferenza verso l’impegno politico, che lo indusse, per es., a rifiutare sia l’offerta fattagli da Mazzini di dirigere il ministero delle Finanze della Repubblica romana (nel 1849) sia la nomina a deputato del Parlamento di Torino (nel 1860).
Un’altra opera concepita per i tipi della Tipografia elvetica fu l’Archivio triennale delle cose d’Italia dall’avvenimento di Pio IX all’abbandono di Venezia, che avrebbe dovuto ripercorrere le vicende italiane dal 14 luglio 1847 al 26 agosto 1849. Di questo vasto piano editoriale, che prevedeva tre serie per un totale di 36 volumi, uscirono solo tre volumi, in cui la ricostruzione storica si arresta all’aprile del 1848. Tale opera – che doveva denunciare gli errori dei democratici e smentire i giudizi positivi sul comportamento del governo provvisorio milanese e sul presunto ‘disinteresse’ dell’intervento sabaudo – può essere considerata «il ritratto più completo e più drammatico dell’Italia quarantottesca con tutte le sue speranze e con tutte le sue delusioni» (L. Ambrosoli, Introduzione a C. Cattaneo, Tutte le opere, cit., 4° vol., p. XCIX).
L’Archivio inoltre si presenta come una vera e propria opera storica, in cui tutti i documenti citati sono stati accuratamente filtrati a vagliati da Cattaneo, il quale del resto
non è un poligrafo […] ma uno storico: uno storico per il quale le cognizioni teoriche sono soltanto uno strumento per la comprensione più piena della real-tà e che supera e assorbe nei suoi studi gli schemi delle singole scienze (Fubini 1953, p. 164).
Il moto mazziniano milanese del 6 febbraio 1853 provocò un risentito intervento dell’Austria contro la Svizzera, in cui si erano rifugiati diversi seguaci di Mazzini. Il governo svizzero decise di far chiudere lo stabilimento tipografico di Capolago, che nel frattempo era divenuto un attivo centro diffusore di idee federaliste. Cattaneo accusò i mazziniani di essere stati gli istigatori di tale manovra.
I rapporti di Cattaneo con Mazzini (e con i mazziniani) non furono mai facili. I due si erano conosciuti il 30 aprile 1848; inizialmente i loro rapporti erano stati all’insegna della stima reciproca, ma verso la metà degli anni Cinquanta la loro profonda divergenza di opinioni divenne insanabile. Infatti, nella prefazione al terzo volume dell’Archivio triennale, Cattaneo criticò duramente il movimento mazziniano, non condividendo la pratica del ricorso continuo all’insurrezione violenta nel tentativo di rivitalizzare la causa nazionale. Come ha notato Alessandro Levi, che ha dedicato pagine acute al rapporto Mazzini-Cattaneo, il primo era un sognatore e il secondo un positivista: Mazzini, nonostante le sue molteplici iniziative, non si trovò mai a capo di un’insurrezione, al contrario di Cattaneo (Il positivismo di Carlo Cattaneo, 1928, pp. 65-81).
Del resto, anche i rapporti con Garibaldi ebbero un’evoluzione simile. Conosciuto Garibaldi, come si è detto, nell’estate del 1848 (durante le fasi finali dell’insurrezione lombarda), per molti anni Cattaneo lo considerò una valida alternativa antisabauda. Negli anni 1859-60 continuò ad averne una buona opinione, al punto di diventare suo consigliere a Napoli nel settembre-ottobre del 1860, anche se alla prova dei fatti svolse un ruolo ininfluente, perché i suoi suggerimenti vennero accolti molto di rado: in particolare, cercò di dissuadere Garibaldi dal consegnare al re Vittorio Emanuele II il Mezzogiorno, ma per il generale, come anche per Mazzini, la priorità era l’unità nazionale. Come scrisse Cattaneo nell’articolo L’Italia armata («Il Politecnico», 1861, 10, pp. 706-19), Garibaldi commise l’errore di trasformare «un eroico atto di liberazione» in un «atto di conquista» (cit. in Scritti politici, 4° vol., 1964, p. 137).
In una lettera all’ingegnere Luigi Tentolini del 24 aprile del 1852, Cattaneo definì il federalismo «la teorica della libertà, l’unica possibile teorica della libertà» (cit. in Epistolario, 2° vol., 1952, p. 157); esso rappresentava «non solo un disegno politico di indiscutibile opportunità ma addirittura il frutto della storia e della stessa geografia italiana» (Galasso 1982, p. 5). La concezione federalista si affermò in Cattaneo con gradualità. Secondo Norberto Bobbio, essa passò attraverso tre fasi, tutte caratterizzate da una comune matrice antisabauda: sino al 1848, essa venne concepita come una dottrina politica di respiro europeo; dal 1848 al 1860, trovò la sua applicazione nella guerra di liberazione dell’Italia; dopo il 1860, svolse la funzione di «principio generatore di riforme militari e amministrative nel nuovo Stato italiano» (Introduzione a C. Cattaneo, Stati Uniti d’Italia: scritti sul federalismo, 1945, p. 41). Il 1848 costituì un vero e proprio discrimine nell’evoluzione del pensiero politico di Cattaneo, il quale, dopo aver constatato il fallimento dell’intervento sabaudo nonché la cattiva fede di Carlo Alberto, la cui entrata in guerra aveva mirato solo a espandere i propri domini, si persuase che la repubblica e la federazione dovessero diventare i cardini del prossimo moto rivoluzionario, e che in Italia un regime federale avrebbe potuto instaurarsi soltanto dopo una profonda riforma amministrativa.
L’evoluzione delle vicende italiane seguì una direzione del tutto contraria a quella auspicata da Cattaneo. Quando divenne chiaro che ormai l’Italia si stava avviando a essere una monarchia, egli modificò le proprie prospettive. Ora il pericolo più grave da evitare era la ‘piemontesizzazione’ della penisola italiana, e l’unica contromisura possibile era individuata nell’autonomia che si doveva conferire alle singole regioni. Cattaneo era convinto che il sistema giuridico piemontese mostrasse tratti di arretratezza non solo rispetto a quello vigente nel Lombardo-Veneto, ma anche a quello toscano, nel quale, per es., era stata abolita la pena di morte, ancora in vigore in Piemonte.
Reso inquieto, quindi, dalla concreta possibilità che Milano si vedesse imporre un sistema legislativo più arretrato, ossia quello piemontese, Cattaneo teorizzò con forza la tesi degli ‘Stati Uniti d’Italia’. Nell’ultimo capitolo di Dell’insurrezione di Milano nel 1848 e la successiva guerra, che si intitola Corollari, Cattaneo sostiene che:
ogni stato d’Italia deve rimaner sovrano e libero in sé. […] Ogni famiglia politica deve avere il separato suo patrimonio, i suoi magistrati, le sue armi. Ma deve conferire alle communi necessità e alle communi grandezze la debita parte; deve sedere con sovrana e libera rappresentanza nel congresso fraterno di tutta la nazione; e deliberare in commune le leggi che preparano, nell’intima coordinazione e uniformità delle parti, la indistruttibile unità e coesione del tutto. […] Non v’è modo a obliterare le diseguaglianze, e disarmare le ambizioni e le insidie dei reguli d’Italia e dei municipii, se non la mutua tutela d’un congresso nazionale; essendoché i deboli vi costituiranno sempre la maggioranza; e perciò il voto uscirà sempre propizio all’equità e avverso alla prepotenza. E non vi è grandezza, né forza, né maestà che sia maggiore di quella dell’universa nazione. Solo l’Italia può parlare da eguale alla Germania, alla Francia, all’Inghilterra (in Tutte le opere, cit., 4° vol., pp. 703-704).
L’organismo federale deve dunque convivere con una serie di autonomie locali, alle quali va affidata la gestione di una serie di interessi quali, per es., come si è appena visto, l’ordinamento giuridico e l’esercito. Secondo l’intellettuale lombardo, perché si realizzi un’Italia federale occorre passare attraverso una radicale e moderna riforma dell’amministrazione. Altro aspetto messo frequentemente in luce da Cattaneo è il fatto che l’unione della penisola italiana deve realizzarsi in un’Europa libera. Su questo aspetto sono molto significative le righe conclusive dei Corollari. Il compito precipuo delle nazioni europee deve essere quello di garantire uno spirito di uguaglianza e di libertà. L’Europa, infatti, deve essere «tutta libera e tutta amica», perché «avremo pace vera, quando avremo li Stati Uniti d’Europa» (pp. 714-15).
Anche su questa linea politica, connotata da una potente visione onirica del futuro assetto italiano ed europeo, Cattaneo sarebbe uscito sconfitto dagli eventi; ciononostante, per lui il federalismo rimase «una pratica quotidiana e costante di libertà, responsabilità e concretezza» (Albertoni, in Cattaneo, Milano e la Lombardia, 2005, p. 24).
La visione federalista di Cattaneo può essere ricostruita a partire da diverse sue opere. Nelle citate Notizie naturali e civili su la Lombardia, pubblicate nel 1844 in occasione del VI Congresso degli scienziati italiani, Cattaneo scrive pagine mirabili, per il rigore del pensiero e dello stile, sul progresso dell’«incivilimento» della Lombardia, che secondo lui aveva raggiunto il suo apice nel 18° secolo. Altro scritto di rilievo è il saggio La città considerata come principio ideale delle istorie italiane («Il crepuscolo», 17 e 31 ottobre, 12 e 26 dicembre 1858), nelle cui pagine elabora una serie di riflessioni sul fallimento della rivoluzione italiana. Per superare tale fallimento, Cattaneo ritiene fondamentale la scelta dell’opzione federalista, con l’assegnazione di un’autonomia piena alle realtà municipali e il riconoscimento della funzione determinante da esse svolta nella storia d’Italia.
Nella seconda serie de «Il Politecnico». Cattaneo tornò a riflettere sul federalismo, giungendo alla conclusione che in un Paese come l’Italia, che è stato diviso per secoli,
il sistema federale sarebbe stato l’unico in grado di far maturare la coscienza unitaria degli italiani senza affidarla a interventi costrittivi che avrebbero messo in discussione quella libertà dei cittadini che […] era più importante della stessa unità (L. Ambrosoli, Carlo Cattaneo e il federalismo, 1999, p. XXII).
Secondo Cattaneo, la cifra del federalismo andava individuata nel pluralismo, che consentiva ai poteri e agli interessi sociali di esprimersi e di favorire processi di sviluppo e di progresso civile. Lo Stato federale, attraverso una continua azione di intermediazione, era in grado di incanalare le frequenti contrapposizioni in una costante e proficua evoluzione della società. L’esito dello Stato unitario sarebbe stato quello di soffocare proprio quella libertà tutelata ed esaltata dal federalismo. Come ha sintetizzato bene Giuseppe Galasso (1982), la libertà per Cattaneo è un «valore primario. Valori subordinati sono la nazionalità e l’indipendenza nazionale. Antivalori sono l’unità indifferenziata e la tirannide esterna o interna» (p. 18).
Cattaneo individuò come modello da seguire i governi federativi instauratisi negli Stati Uniti e la Svizzera, e proprio tenendo presente l’esempio elvetico elaborò il concetto di nazione armata, auspicando l’istituzione di un esercito in cui tutti i cittadini fossero chiamati a svolgere il servizio militare.
Le sue teorie federaliste furono il principio basilare del suo pensiero politico, ne costituirono l’architrave portante, da cui egli fece derivare tutte le sue concezioni dell’ordinamento della società. La sua visione federalista, tuttavia, rimase solo un’istanza teorica irrealizzata e destinata all’insuccesso, in quanto, come ha rilevato Galasso (1982):
Lo stesso ordinamento regionale dato allo Stato italiano con la Costituente repubblicana aveva un significato diverso dal federalismo cattaneano. Quest’ultimo puntava all’aggregazione federale dei vecchi nuclei storici italiani, dei vecchi Stati pre-unitarii in un organismo nazionale dalla trasparente impronta elvetica o americana.
Il regionalismo attuato un secolo dopo in Italia sanciva non già il recupero di un’aggregazione federale degli antichi Stati italiani […]; bensì un decentramento di competenze legislative e amministrative, politiche e finanziarie su una scala regionale legata alla consuetudine di un secolo di vita unitaria (p. 4).
Ricerche economiche sulle interdizioni imposte dalla legge civile agli Israeliti, Milano 1836 (ma 1837), rist. con il tit. Interdizioni israelitiche, a cura di L. Ambrosoli, Torino 1962, 1987.
La città considerata come principio ideale delle istorie italiane, «Il crepuscolo», 17 ottobre 1858, 42, pp. 657-59; 31 ottobre 1858, 44, pp. 689-93; 12 dicembre 1858, 50, pp. 785-90; 26 dicembre 1858, 52, pp. 817-21.
Epistolario, a cura di R. Caddeo, 4 voll., Firenze 1949-1956.
Tutte le opere, a cura di L. Ambrosoli, 5 voll., Milano 1967-1975.
«Il Politecnico», 1839-1844, a cura di L. Ambrosoli, 2 voll., Torino 1989.
Carteggi di Carlo Cattaneo: prima serie, Lettere di Cattaneo, a cura di M. Cancarini Pietroboni, M. Fugazza, 3 voll., Firenze-Bellinzona 2001-2010; seconda serie, Lettere dei corrispondenti, a cura di C. Agliati, 2 voll., Firenze-Bellinzona 2001-2006.
Si vedano inoltre le antologie:
Le più belle pagine, a cura di G. Salvemini, Milano 1922.
Scritti letterari, artistici, linguistici e vari, a cura di A. Bertani, 2 voll., Firenze 1948.
Scritti economici, a cura di A. Bertolino, 3 voll., Firenze 1956.
Scritti storici e geografici, a cura di G. Salvemini, E. Sestan, 4 voll., Firenze 1957.
Scritti filosofici, a cura di N. Bobbio, 3 voll., Firenze 1960.
Antologia degli scritti politici, a cura di G. Galasso, Bologna 1962.
Scritti sull’educazione e sull’istruzione, a cura di L. Ambrosoli, Firenze 1963.
Scritti politici, a cura di M. Boneschi, 4 voll., Firenze 1964-1965.
Scritti scientifici e tecnici, a cura di C.G. Lacaita, Firenze 1969.
Opere scelte, a cura di D. Castelnuovo Frigessi, 4 voll., Torino 1972.
Una teoria della libertà: scritti politici e federalisti, a cura di W. Barberis, Torino 2011.
M. Fubini, Romanticismo italiano: saggi di storia della critica e della letteratura, Bari 1953 (in partic. Introduzione alla lettura di Cattaneo, pp. 161-69; Gli scritti letterari di Carlo Cattaneo, pp. 171-78).
L. Ambrosoli, La formazione di Carlo Cattaneo, Milano-Napoli 1959.
N. Bobbio, Una filosofia militante: studi su Carlo Cattaneo, Torino 1971.
E. Sestan, Cattaneo Carlo, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 22° vol., Roma 1979, ad vocem.
G. Galasso, La democrazia da Cattaneo a Rosselli, Firenze 1982 (in partic. La «sfortuna di Cattaneo», pp. 3-14).
G. Armani, Notizie su Carlo Cattaneo, Roma 1987.
Carlo Cattaneo e «Il Politecnico»: scienza, cultura, modernità, a cura di A. Colombo, C. Montaleone, Milano 1992 (in partic. L. Ambrosoli, I problemi dell’educazione e della formazione nel primo «Politecnico», pp. 137-49; D. Frigessi, La città: un principio popolare, pp. 221-27).
G. Armani, Carlo Cattaneo: una biografia, Milano 1997.
G. Armani, Gli scritti su Carlo Cattaneo: bibliografia 1836-2001, Lugano 2001.
G. Armani, Cattaneo riformista. La linea del «Politecnico», Venezia 2003.
La biblioteca di Carlo Cattaneo, a cura di C.G. Lacaita, R. Gobbo, A. Turiel, Bellinzona 2003 (in partic. C.G. Lacaita, Viaggio nella biblioteca di Cattaneo, pp. 13-85).
Carlo Cattaneo: i temi e le sfide, Atti del Convegno, Milano-Lugano (6-9 novembre 2001), a cura di A. Colombo, F. Della Peruta, C.G. Lacaita, Bellinzona-Milano 2004 (in partic. G. Galasso, Cattaneo interprete della storia d’Italia, pp. 457-68).
Cattaneo, Milano e la Lombardia, Atti del Convegno, Milano (29-30 novembre 2001), Milano 2005 (in partic. E.A. Albertoni, Carlo Cattaneo e Giandomenico Romagnosi, pp. 5-24; C.G. Lacaita, «Il Politecnico» nella cultura italiana dell’Ottocento, pp. 169-90; A. Ara, Il problema ebraico nella Restaurazione. Carlo Cattaneo e le “Interdizioni israelitiche”, pp. 245-74).
Riflessioni su Cattaneo, Atti del Convegno, Napoli 2001, a cura di G. Galasso, Napoli 2006 (in partic. F. Della Peruta, Carlo Cattaneo e il federalismo, pp. 9-29; G. Armani, Varietà giuridiche nel pensiero di Cattaneo, pp. 77-87; A. De Francesco, Cattaneo e la storia del Mezzogiorno d’Italia, pp. 215-33; G. Galasso, Liberalismo e democrazia, pp. 235-54).
G. Armani, R. Gobbo, Gli scritti su Carlo Cattaneo: bibliografia, aggiornamento 2001-2005, Lugano 2008.
Detestato da una buona parte degli ambienti governativi piemontesi – malvisto da Camillo Benso conte di Cavour, era anche inviso al re Vittorio Emanuele II a causa della sua avversione verso il padre di questi, Carlo Alberto –, Cattaneo fu duramente attaccato da Giuseppe La Farina (Messina 1815-Torino 1863). Questi, un siciliano molto legato ai piemontesi, fu l’inviato di Cavour presso Garibaldi nel corso della spedizione dei Mille, nello stesso periodo in cui Cattaneo si trovava a Napoli. In occasione della candidatura di Cattaneo alle elezioni politiche del 1860, La Farina intervenne a più riprese sul periodico torinese «Piccolo corriere d’Italia»: il 29 gennaio scrisse che «noi vogliamo costruire un forte Stato italiano e il Cattaneo magnifica i pregi delle Repubblichette», e il 19 febbraio accusò Cattaneo di essere un «noto amico dell’Austria» (cit. in Armani 1997, p. 166).
Più contrastato il caso di Alberto Blanc (Chambéry 1835-Torino 1904), un pubblicista che si era attestato su posizioni politiche opposte a quelle di Cattaneo. Blanc, pur nutrendo sentimenti filomonarchici e pur essendo vicino a Cavour, fu sempre contrario agli accordi franco-austriaci di Villafranca e alla cessione della natia Savoia alla Francia, e dal 1860 mostrò per questo Paese una fiera avversione, atteggiamento che condizionò notevolmente la sua carriera politica. Intensa fu la sua collaborazione con Visconti Venosta, che era stato avversario di Cattaneo nelle elezioni politiche del 1867.
Quanto al sacerdote e storico Augustin Theiner (Breslavia 1804-Civitavecchia 1874), questi fu animato, come Cattaneo, da una pervicace ricerca della verità nelle ricostruzioni storiche, atteggiamento che lo portò spesso a manifestare apertamente la sua avversione verso i gesuiti. Nel 1849 entrò in polemica con Antonio Rosmini-Serbati – com’era accaduto a Cattaneo, che alcuni anni prima aveva pubblicato un saggio per confutare l’accusa di ateismo mossa da Rosmini-Serbati contro Romagnosi (D’un’accusa fatta dagli “Annali di statistica” a Romagnosi, «Il Politecnico», 1842, 25, pp. 84-88) – criticando le sue asserzioni sull’elezione dei vescovi contenuta nelle Lettere storico-critiche intorno alle cinque piaghe della Santa Chiesa (1849).