Cile
Stato dell’America Meridionale. Confina a N con il Perù, a E con la Bolivia e l’Argentina; a S e a O è bagnato dall’Oceano Pacifico. Il territorio si allunga per 4200 km circa in latitudine e non supera i 400 km in longitudine, conferendo un perimetro estremamente sviluppato rispetto alla superficie racchiusa, e generando una rilevante quantità di problemi (comunicazioni, difesa). L’economia del Paese è stata caratterizzata da uno sviluppo di tipo coloniale (esportazione di minerali: rame e nitrati) fin oltre la seconda metà del 20° secolo.
In epoca precolombiana la popolazione del C. probabilmente non superava le 250.000 unità. Nell’arida regione settentrionale vivevano popolazioni chango e atacameños lungo la costa, e diaguitas nell’interno; nell’area centrale araukani (mapuche, huilliche, picunche), agricoltori e allevatori, che costituivano le società più complesse e tecnologicamente evolute; più a S gruppi di pescatori e raccoglitori fuegini (alacalùf, chono, yamana), al contrario, usavano una tecnologia elementare e avevano strutture sociali molto semplici.
Avviata dalla Spagna nel 1535, la conquista del C. fu resa difficile dalla resistenza degli indios araucani, che si rinnovò in particolare nel 19° secolo. Fino ad allora il controllo degli spagnoli non fu in grado di estendersi a S del fiume Bío-Bío, ma nella regione da essi occupata la fusione con la locale popolazione amerindia diede luogo a una massa relativamente omogenea di meticci. I primi anni dopo l’indipendenza (proclamata il 12 febbraio 1818 dal director supremo B. O’Higgins, che mantenne la direzione dello Stato fino al 1823) videro da un lato la prosecuzione della guerra contro la Spagna fino alla sua definitiva espulsione dall’America Meridionale (1826), dall’altro contrasti all’interno dell’oligarchia dominante. L’economia del Paese rimaneva peraltro legata a interessi stranieri e sostanzialmente dipendente. Dopo ripetuti rovesciamenti di governi e l’adozione di due successive costituzioni (nel 1823 e nel 1828), la crisi si risolse con la vittoria dei conservatori (1830) e il varo di una Costituzione (1833) destinata a durare per quasi un secolo. L’egemonia conservatrice si protrasse fino al 1861, seguita, nella seconda metà del secolo, da un’ascesa dei gruppi liberali. L’espansione degli interessi minerari cileni verso N portò alla guerra del Pacifico (1879-84), che si concluse con la vittoria del C. e l’occupazione dell’area contesa. Entro la fine dell’Ottocento, portando a termine la sottomissione degli araucani, il governo di Santiago riusciva a stabilire il proprio controllo anche sulle regioni più meridionali del Paese, che acquisiva così le dimensioni attuali. Un conflitto sorto fra il presidente della Repubblica J.M. Balmaceda (1886-91) e il Parlamento provocò nel 1891 una breve guerra civile, terminata con la sconfitta e il suicidio di Balmaceda e con il varo di una riforma costituzionale.
Tra la fine del 19° e l’inizio del 20° sec. si formarono nuove forze politiche e sociali, come il Partito radicale e il Partito socialista, fondato nel 1912 e divenuto comunista nel 1922. Le gravi difficoltà economiche seguite alla fine della Prima guerra mondiale acuirono i contrasti fra tali forze e i conservatori, determinando negli anni Venti e Trenta una notevole instabilità politica. Nel 1925, dopo una prima assunzione del potere da parte dei militari, furono varate alcune riforme e una nuova Costituzione di tipo presidenziale (rimasta in vigore fino al 1973): essa stabiliva l’elezione a suffragio universale del presidente e del Congresso bicamerale; ma l’esclusione delle donne (fino al 1949) e degli analfabeti (fino al 1970) rendeva ancora limitato il corpo elettorale. Negli anni seguenti la situazione rimase assai tesa e si ebbero successivi rovesciamenti di governi, ripetuti interventi dei militari, tentativi di colpo di Stato, scioperi e rivolte popolari duramente represse, mentre nascevano nuovi partiti (tra i quali un nuovo Partito socialista nel 1933). Nel 1938 la vittoria elettorale del Frente popular, coalizione di sinistra guidata dal Partito radicale, inaugurò una fase proseguita fino al 1952. Gli anni della Seconda guerra mondiale videro una ripresa della crescita economica, dovuta soprattutto al notevole aumento delle esportazioni. Sul piano sociale l’incapacità dei governi guidati dai radicali a realizzare effettive riforme portò a una crisi del Frente popular e a successivi cambiamenti di alleanze ministeriali, fino al netto spostamento a destra del dopoguerra, quando nel clima della Guerra fredda fu costituita una coalizione con le forze conservatrici (1948) e messo fuori legge il Partito comunista (fino al 1958). Si rafforzavano intanto i legami con gli Stati Uniti e cresceva la loro penetrazione economica nel Paese. Le elezioni presidenziali del 1952 furono vinte dal gen. C. Ibáñez del Campo (già dittatore dal 1927 al 1931); Ibáñez stabilì buoni rapporti con l’Argentina di Perón e condusse una politica nettamente conservatrice, reprimendo duramente le agitazioni sindacali, mentre la situazione economica subiva un sensibile deterioramento. Le elezioni del 1958 riportarono alla presidenza un esponente della destra tradizionale, il liberale J. Alessandri Rodriguez, ma negli anni Sessanta questa subì un progressivo ridimensionamento a vantaggio delle sinistre e del nuovo Partido demócrata cristiano (PDC, fondato nel 1957), che si affermò, anche a spese dei radicali, al centro dello schieramento politico. Nel 1964 il leader del PDC E. Frei Montalva, eletto presidente della Repubblica, avviava una politica di riforme.
La rapida crescita del mercato interno e il radicamento (nella popolazione di più recente origine europea) di generi di vita in linea con quelli dei Paesi occidentali avanzati fecero intanto giungere a maturazione le contraddizioni intrinseche al sistema economico e alla società cileni. Le elezioni presidenziali del 1970 videro la vittoria del socialista S. Allende Gossens, sostenuto da una coalizione di sinistra (Unidad popular). Il governo Allende diede un forte impulso all’azione riformatrice in una prospettiva di transizione al socialismo: furono nazionalizzate le miniere di rame, accelerata la riforma agraria, sviluppati i servizi sociali e adottate misure di redistribuzione del reddito a favore delle classi subalterne; sul piano internazionale furono estesi i rapporti con i Paesi socialisti e con Cuba. Questa politica ottenne il sostegno delle masse popolari (confermato dai successi elettorali del 1971 e del 1973), ma suscitò l’opposizione delle classi dominanti, del grande capitale straniero e di una parte consistente dei ceti medi, i quali ultimi erano sospinti a destra dal deterioramento della situazione economica. Con l’acuirsi dello scontro sociale e politico anche il PDC si affiancò alle forze conservatrici, mentre episodi di terrorismo e minacce golpiste accrescevano la tensione. L’11 settembre 1973 un colpo di Stato poneva termine all’esperienza di Unidad popular (lo stesso Allende rimase ucciso durante l’assalto al palazzo presidenziale) e il potere veniva assunto da una giunta militare, presieduta dal generale A. Pinochet Ugarte, proclamato nel 1974 presidente della Repubblica, che sospendeva la Costituzione, scioglieva il Congresso e proibiva ogni attività politica. Mentre sul C. si abbatteva la repressione (migliaia di oppositori erano internati, uccisi o fatti scomparire), una politica economica rigidamente liberista smantellava le riforme del governo Allende. Dopo un plebiscito di sostegno al regime, nel 1980 fu approvata tramite referendum una nuova Costituzione (promulgata nel marzo 1981) che ampliava i poteri del presidente (prolungandone il mandato a otto anni) rispetto al Congresso bicamerale, confermava il ruolo istituzionale dei militari, sanciva l’illegalità delle organizzazioni di ispirazione marxista e stabiliva restrizioni ai diritti di sciopero, di associazione e di espressione. In politica estera, la fine degli anni Settanta vide un peggioramento dei rapporti con la Bolivia e con l’Argentina, per la controversia sul canale di Beagle, che trovò soluzione con la mediazione della Santa Sede solo nel 1984.
L’economia, dopo una crescita produttiva nella seconda metà degli anni Settanta, precipitò nei primi anni Ottanta in una grave crisi. Ne derivò una forte crescita dell’opposizione popolare e, dal 1983, una serie di scioperi e di manifestazioni di protesta misero in difficoltà il regime militare, che reagì con una dura repressione. I principali partiti cominciarono a riorganizzarsi, ma con profondi contrasti fra loro. Mentre infatti le forze moderate e centriste e la maggior parte dei socialisti cercavano di raggiungere un accordo con i militari, i comunisti e il MIR (Movimiento de izquierda revolucionaria) ritenevano che solo una rottura della continuità istituzionale potesse garantire il ritorno alla democrazia e non escludevano la lotta armata fra gli strumenti per combattere la dittatura. A partire dal 1987, quando il regime aprì le iscrizioni per un nuovo registro elettorale e permise il ritorno alla legalità dei partiti non marxisti, fu comunque la linea moderata a prevalere. La sconfitta di Pinochet nel plebiscito dell’ottobre 1988 sul prolungamento della sua presidenza fino al 1997 consentì di affiancare alle previste legislative del 1989 anche elezioni presidenziali, rafforzando le tendenze liberalizzatrici. Le consultazioni videro la vittoria dell’opposizione moderata e nel marzo 1990 la giunta militare lasciò il potere a un’amministrazione civile guidata dal democristiano P. Aylwin Azócar. Costituito un governo di centrosinistra, Aylwin cercò di promuovere una graduale evoluzione in senso democratico, tentando di far fronte ai vincoli connessi con la continuità istituzionale, la permanenza di Pinochet alla testa delle forze armate, il peso della destra nello stesso Congresso. Il processo di transizione dalla dittatura alla democrazia fu condizionato dal ruolo di «tutela» che i militari continuavano a esercitare sulla vita del Paese e soprattutto dalla presenza politica di Pinochet. Priva della maggioranza necessaria per modificare la Costituzione, l’amministrazione Aylwin dovette scendere a continui compromessi con l’opposizione di destra e poté approvare solo alcune delle riforme proposte. Grazie anche al buon andamento dell’economia (pur in presenza di gravi diseguaglianze sociali), la coalizione di centrosinistra fu confermata dopo le elezioni del 1993, nelle quali venne eletto presidente della Repubblica il democristiano E. Frei, che ripropose alcune delle leggi di riforma già tentate dal suo predecessore. Sul piano internazionale, conclusi nel 1993 accordi di libero scambio con Colombia ed Ecuador, il C. ristabilì nell’aprile 1995 relazioni diplomatiche con Cuba e nell’ottobre 1996 entrò a far parte, quale membro associato, del MERCOSUR. Nel 1998 iniziò la lunga vicenda giudiziaria di Pinochet, che fu arrestato mentre si trovava a Londra, poi estradato e ricondotto in patria e rinviato a giudizio al principio del 2001. Il processo, riguardante in primo luogo i crimini e le atrocità commessi durante gli anni della dittatura e poi la costituzione di fondi segreti intestati alla sua famiglia e frutto di arricchimenti illeciti, non fu mai concluso, a causa delle precarie condizioni di salute dell’ex dittatore, che morì nel 2006. Esso costrinse comunque il C. a confrontarsi senza ipocrisie con il periodo della dittatura, rendendo palesi le profonde divisioni ideologiche e politiche che ancora lo contrassegnano. Nel 2000 tornò alla presidenza della Repubblica un socialista, R. Lagos, che diede avvio a un programma di riforme, sfociato nel 2005 nella riforma della Costituzione del 1980. Nel 2006 a Lagos è succeduta la sua compagna di partito M. Bachelet, che ha avviato una politica neoliberista, pur tra le proteste del mondo operaio e studentesco. Nel 2010 le elezioni sono state vinte da M.J.S. Piñera, multimiliardario leader delle forze di centrodestra, che ha battuto il candidato della Concertación (democristiani, socialisti, radicali) E. Frei.