Clemente X
Emilio Altieri nacque a Roma il 12 luglio 1590, nel palazzo di famiglia vicino a piazza del Gesù, e fu battezzato nella parrocchia di S. Marco il 15 luglio 1590. Figlio di Lorenzo e di Vittoria Delfino, fece le sue esperienze giovanili in una famiglia particolarmente numerosa: sedici figli erano nati dal secondo matrimonio del padre (il primo, con Ottavia de Torres, di una nobile famiglia spagnola, si era interrotto dopo brevissimo tempo con la morte della sposa e dell'unico figlio, anche lui di nome Emilio); ben dodici giunsero alla maggiore età, sei maschi e sei femmine.
Oltre che ricca di prole, la famiglia di Lorenzo Altieri era illustre per aver dato a Roma magistrati e uomini di lettere, prelati e condottieri. Un suo fratello era stato canonico della basilica vaticana, autore di testi di teologia e di diritto canonico e soprattutto esempio e guida dei due figli maggiori di Lorenzo, Giambattista ed Emilio. Un secondo ecclesiastico di rango avrebbe potuto svolgere un ruolo importante in famiglia: il fratello di Vittoria Delfino, Gentile, che fu vescovo di Camerino dal 1596 al 1601 quando improvvisamente morì. Cinque delle sei sorelle di Emilio finirono per prendere il velo; l'altra si sposò ma morì presto senza lasciare figli. I fratelli invece presero strade diverse pur se tutte interrotte da morte in età ancor giovane o nella prima maturità. Giambattista entrò presto al servizio del cardinale Scipione Borghese, nipote di Paolo V, divenendo maggiordomo. Nominato vescovo di Camerino nel 1624, tre anni più tardi vi rinunciò in favore di Emilio e, ritornato a Roma, riprese le sue funzioni presso i Borghese mentre percorreva anche la carriera negli uffici della Curia. Fu sigillatore della Penitenzieria, visitatore delle diocesi suburbicarie, vicegerente di Roma. Creato cardinale da Urbano VIII nel 1643, morì nel 1654 in viaggio da Todi (diocesi alla quale era stato assegnato non appena ricevuta la porpora) alla capitale. Anche un altro fratello, Girolamo, fu alla corte di Scipione Borghese; venne nominato cavaliere dell'Ordine gerosolimitano e ne divenne luogotenente generale e collettore o ricevitore del Gran Priorato di Roma. L'unico che si era formato una famiglia fu Paolo Marzio il quale era entrato nella corte del connestabile Lorenzo Onofrio Colonna e, al suo seguito, aveva viaggiato per l'Europa, dalla Spagna alla Polonia. Ritornato a Roma, si sposò con Laura Spada ma si spense senza aver avuto figli. Nel 1665, alla morte dell'ultimo zio di Emilio, di tutta la famiglia Altieri (discendenti da Girolamo, nonno di Emilio) non rimanevano che Laura Caterina, figlia di un suo cugino, e lo stesso Emilio e tutto il patrimonio immobiliare era suddiviso tra i due. Emilio, per provvedere alla prosecuzione della famiglia e del nome degli Altieri, assegnò tutta la sua proprietà a Laura Caterina con l'obbligo di imporre al suo futuro sposo anche il nome degli Altieri. Ciò avvenne nel 1669: lo sposo era Gaspare Paluzzi Albertoni, un lontano parente della famiglia. Quando Emilio divenne papa, impose il proprio nome e stemma a tutti i Paluzzi Albertoni, parenti di Gaspare: si ebbe così un Angelo Altieri, che sarà principe di Resina, generale delle galere pontificie, castellano di Castel S. Angelo prima e governatore di Civitavecchia e capitano della fortezza di Ancona poi; Paluzzo Altieri, cardinal nepote, personaggio dominante la scena romana e curiale negli anni del pontificato di C.; lo stesso Gaspare Altieri, governatore generale della Chiesa e governatore di Benevento. Il palazzo degli Altieri, nel quale Emilio era nato, a partire dal 1630 subì profonde modificazioni: Lorenzo aveva cominciato i lavori di ampliamento e riadattamento di quella parte di casa che aveva ricevuto in eredità e che affacciava su piazza del Gesù. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1638, il progetto fu portato avanti soprattutto da Giambattista. Dopo il 1650, i fratelli Altieri si rivolsero a Giovanni Antonio de Rossi affidandogli il compito di progettare e realizzare un nuovo palazzo, che si sarebbe aggiunto a quelli esistenti, e armonizzare l'insieme degli edifici per creare quel grande complesso oggi noto come palazzo Altieri. I lavori procedettero piuttosto lentamente, furono interrotti diverse volte; solamente dopo il 1670, quando la gestione della nuova fabbrica era già stata assunta dal cardinale Paluzzo Altieri, la costruzione procedette alacremente. Le spese, come documenta una pubblicazione (A. Schiavo, pp. 68 s.), ammontarono ad oltre 350.000 scudi, quasi interamente versati dal pontefice. Il cardinale Paluzzo fu infaticabile nel proseguire la costruzione e la decorazione del palazzo, anche per il timore che la tarda età del pontefice impedisse il completamento dell'opera per l'esaurirsi di quella fondamentale fonte di finanziamento. L'edificio, sia per le strutture esterne che per le decorazioni, per gli affreschi, per gli arredi dell'interno, risultò senz'altro degno di competere con le imprese edilizie dei Barberini, dei Pamphili e dei Chigi, sollevando anzi aperte critiche per la grandiosità e la magnificenza giudicate eccessive dai contemporanei. Questa fu la ragione, dissero i cronisti del tempo, che convinse il papa a non mettere mai piede nel palazzo, nel corso del suo pontificato.
Emilio studiò al Collegio Romano e poi frequentò l'Università. Si laureò il 17 ottobre 1611 in giurisprudenza e diritto canonico. Iniziò a lavorare nello studio di Giovanni Battista Pamphili, il futuro Innocenzo X, che era allora auditore della Rota, e si acquistò in breve fama d'essere un ottimo avvocato. Entrò successivamente alla corte di Ludovico Ludovisi, nipote di Gregorio XV e, attratto dagli esempi che aveva avuto nella sua famiglia e in quella della madre oltre che sollecitato in tal senso dai suoi protettori, abbandonò l'avvocatura e scelse lo stato ecclesiastico: ricevette l'ordinazione sacerdotale il 6 aprile 1624. Lo stesso anno, in qualità di auditore, accompagnò Giambattista Lancellotti nella Nunziatura di Polonia. Nel novembre 1627 fu creato vescovo e destinato a Camerino, succedendo a suo fratello che era stato chiamato a Roma da Urbano VIII per nuovi impegni in Curia ma anche per riprendere il suo posto presso i Borghese. Al fratello maggiore Emilio versò, probabilmente sino al 1654, una quota rilevante delle entrate della mensa vescovile. Urbano VIII e i Barberini mostrarono di nutrire fiducia anche in lui e lo incaricarono di numerose incombenze private e pubbliche. Nel 1633-1634 fu vicario di Loreto, nel 1636 dovette provvedere a riparare i danni provocati a Ravenna ed al suo territorio dall'inondazione, nel 1641 fu nominato governatore di Macerata, cioè della Marca. Quasi nello stesso tempo ebbe la nomina a visitatore apostolico per lo Stato pontificio, ma non svolse tali funzioni a causa delle complicazioni interne ed internazionali provocate dalla guerra di Castro.
Le sue attività in diocesi, nelle biografie che ne parlano, non hanno lasciato segni consistenti. Nel 1630 celebrò un sinodo e gli atti furono pubblicati l'anno successivo a Macerata (Constitutiones et decreta edita et promulgata in synodo diocesana Camerinensi [...]). Provvide a riparare gli edifici della Curia ed altri destinati al culto. Durante il suo episcopato si affermò ulteriormente la presenza della Congregazione dell'Oratorio, con il suo beneplacito e forse con il suo incoraggiamento. Stabilitasi nel 1631 a Montecchio e poi a Matelica, la Congregazione era nota ed influente in diocesi già da oltre un quarantennio, da quando cioè si era inaugurata la prima casa a Camerino ad opera di Angelo Matteucci, e aveva potuto contare sull'azione evangelizzatrice del suo fondatore e di alcuni venerati collaboratori tra i quali Dionisio Pieragostini. Gli atti del sinodo del 1630 furono nuovamente pubblicati nel 1673, insieme con le aggiunte apportate dal suo successore in diocesi, il cardinale Giacomo Franzoni (Constitutiones synodales a Smo. D.N. Clemente X anno MDCXXX tunc Ecclesiam Camerinensem moderantem in comitiis synodalibus editae novis appendicibus et declarationibus [...], Romae 1673). La cartella della Congregazione del Concilio relativa alla diocesi, per gli anni della sua permanenza, è pressoché vuota. Per due volte egli chiese il rinvio della visita "ad limina" per gli impegni che lo tenevano a Loreto. Durante gli anni della sua lontananza dalla diocesi (1644-1652), una visita alle parrocchie fu compiuta dal fratello Giambattista e un'altra da Sebastiano Gentile, vescovo di Anagni. Una relazione triennale, datata 1655 o 1666, potrebbe essere stata redatta da lui prima della cessazione del suo mandato oppure, su suo incarico, da un suo vicario. Ci presenta un quadro abbastanza dettagliato della struttura della diocesi: duecentotrenta parrocchie, oltre cinquecentouno Confraternite, ventotto Monti frumentari, quattordici Monti di Pietà, oltre settantacinque conventi e monasteri, un seminario nel capoluogo, una popolazione di oltre ottantamila persone. Altieri non si dovette occupare molto della sua diocesi, almeno a quanto risulta dalla documentazione romana e dalle pagine che gli dedicarono gli studiosi di quella Chiesa. Più approfondite indagini dovrebbero essere compiute in loco, sulle carte dell'archivio diocesano, in particolare nel fondo delle visite pastorali e della corrispondenza con il clero e con Roma.
Nel 1644 fu nominato nunzio a Napoli pur conservando la sua diocesi di Camerino. La procedura abituale in queste circostanze imponeva che vi fosse l'assenso preventivo della corte di Madrid e che il viceré di Napoli fosse informato dalla stessa del nuovo arrivo. I passi, iniziati da Urbano VIII alla fine del 1643, si conclusero con la nomina ufficiale intervenuta nel novembre 1644.
L'avvento di Innocenzo X, al quale Emilio Altieri era legato dall'antica collaborazione e dalla stima reciproca che ne era seguita, accrebbe il favore che aveva goduto in Curia, tanto più ora che poteva contare anche sull'appoggio del fratello Giambattista che aveva ricevuto la dignità cardinalizia nella promozione avvenuta nel luglio 1643. Ciò nonostante la sua missione a Napoli si presentò subito irta di difficoltà e il suo favore a Roma ne risultò ben presto irrimediabilmente scosso. La politica dei Barberini (e perciò della Curia romana) nei confronti del Viceregno napoletano si era segnalata per l'appoggio dato a tutte le iniziative che avevano l'obiettivo di rovesciare il dominio spagnolo per favorire la politica francese di espansione nel Mediterraneo e gli interessi della Sede apostolica. Nel 1639 essi avevano appoggiato Giovanni Orefice, principe di Sanza, nella sua richiesta alla Francia di inviare un'armata nel Viceregno: il principe era stato arrestato a Roma nel gennaio 1640 da agenti napoletani, tradotto a Napoli, processato e giustiziato. Nello stesso periodo davano asilo e protezione a Fabrizio Carafa, altro fomentatore di un intervento della Francia, fuggito da Napoli perché implicato nell'omicidio di un esponente della "piazza" del popolo. Negli anni 1640-1643, Roma fu sollecitata ad appoggiare Gian Girolamo Acquaviva, conte di Conversano, uno dei più influenti e potenti baroni del Viceregno, che sembrava poter concludere una organica alleanza tra il patriziato e la corte francese in funzione antispagnola e antipopolare. Anche questo disegno non ebbe sviluppi perché nella primavera del 1643 Acquaviva fu arrestato e poi convinto a schierarsi dalla parte della Spagna. La morte di Urbano VIII, l'elezione di Innocenzo X e soprattutto il profondo mutamento nei rapporti tra Roma e Parigi (con la messa in stato d'accusa dei Barberini che pur avevano contribuito ad eleggere il nuovo papa e che erano stati l'asse portante di quella politica di intesa tra le due corti) determinarono un conseguente abbandono della politica antispagnola degli anni precedenti pur senza riuscire a rasserenare completamente i rapporti tra le corti di Roma, Madrid e Napoli. Un primo risultato positivo si ottenne a Napoli con l'allentamento della tensione dato che gli oppositori della Spagna ora non trovavano più sostegni e finanziamenti a Roma per le loro iniziative. Nel corso del 1645 però le spedizioni francesi nello Stato dei presidi, gli accordi tra Mazzarino e il principe Tommaso di Savoia per l'insediamento di quest'ultimo sul trono di Napoli, le iniziative dei diplomatici e degli agenti francesi nel Viceregno e a Roma dettero nuovo impulso alle trame antispagnole e già si annunciava un intervento militare della Francia quando nella capitale scoppiò la rivolta di Masaniello. Gli aristocratici alleati di Mazzarino credettero di poter utilizzare il moto popolare in funzione antispagnola e per il perseguimento dei loro obiettivi, ma si dovettero presto ricredere.
In questa difficile situazione si collocò la Nunziatura di Altieri. Egli e il cardinale Ascanio Filomarino si trovarono per un verso a dover seguire le direttive di Roma che, pur preferendo la presenza spagnola a quella francese nei territori confinanti, non poteva non consentire con molte delle richieste della "piazza" del popolo e dei capi della rivolta, finendo così spesso per assecondare le mire della Francia. Per altro verso, pressati come erano dall'incalzare degli avvenimenti, spesso assunsero posizioni ufficiali troppo scoperte rispetto alla proverbiale prudenza romana e contrarie agli interessi spagnoli, suscitando violente reazioni sia da parte del viceré, Rodrigo Ponce de León, duca di Arcos, sia dei ministri di Madrid. Sul finire del 1647 Altieri si trovò attaccato dal viceré e ripetutamente sconfessato da Roma. Alcuni biografi hanno sostenuto, senza fondamento, che uno dei suoi fratelli fosse stato coinvolto nella rivolta e che Altieri si fosse troppo esposto per causa sua. È vero piuttosto che Altieri aveva lasciato incrinare l'intesa con Filomarino (abbandonandolo nei momenti di più acuta tensione) e poi aveva consentito a rilasciare garanzie e promesse in nome della Sede apostolica per impegni che gli Spagnoli dicevano di voler prendere e che poi avevano rinnegato. In tal modo aveva compromesso gravemente il buon nome e la credibilità di Roma proprio nel momento in cui Innocenzo X spingeva perché da parte spagnola e da parte dei rivoltosi si accettasse la sua autorevole mediazione per la composizione del conflitto. Né l'una parte né l'altra si rivolsero a Roma e ciò fu inteso essere stato provocato dalle imprudenze di Altieri il quale fu perentoriamente invitato ad astenersi da qualsiasi iniziativa che non fosse stata preventivamente concordata con i suoi superiori. Nell'ottobre di quell'anno e poi ancora nei mesi successivi, anche nelle lettere scritte al fratello Giambattista, Altieri chiese di essere sollevato dall'incarico e di poter partire quanto prima da Napoli. La Segreteria di Stato glielo concesse ma a quel punto Altieri non si mosse pur avendo già inviato il suo bagaglio a Terracina. Nel gennaio 1648 gli fu rinnovata l'autorizzazione a partire ma ancora senza che ne sortisse alcun risultato. Poco dopo da Roma gli giunse comunicazione che Iñigo Vélez de Guevara, conte di Oñate, era stato nominato viceré in sostituzione del duca di Arcos; la stessa lettera lo invitava a soprassedere ad ogni proposito di lasciare Napoli dato che la ragione principale del suo progetto - l'ostilità del viceré - era venuta meno con la nomina del successore. E così Altieri rimase a Napoli per quell'anno, assistendo ai vani tentativi della Francia di insediarsi nel Napoletano e poi al ristabilimento del dominio spagnolo su tutto il territorio, ed anche per gli anni successivi sino all'ottobre 1652 quando fu rilevato da Lorenzo Tramallo, vescovo di Gerace.
Il richiamo da Napoli non coincise con la scadenza naturale del triennio (com'era nella consuetudine): fu anticipato perché ormai i rapporti tra Innocenzo X e Altieri si erano guastati, sia per l'incerta e discussa direzione della Nunziatura, sia per l'eccessiva arrendevolezza mostrata in più occasioni di fronte alle pretese giurisdizionalistiche dei ministri spagnoli, sia infine perché non era stato sufficientemente sollecito nel badare ai cospicui interessi economici che la Sede apostolica (e la corte dei Pamphili) aveva nel Napoletano. Se Altieri aveva calcolato che gli anni della Nunziatura sarebbero serviti a dargli prestigio e ricchezza, la delusione fu cocente. Già nel 1647, dopo appena tre anni, aveva dovuto registrare un sensibile calo delle entrate della Collettoria, del tribunale della Nunziatura e perciò anche sue personali. La tendenza negativa si accentuò negli anni successivi suscitando le irritate reazioni di Roma e coinvolgendolo in un mezzo fallimento. Fu costretto a contrarre debiti per consentire un normale svolgimento delle funzioni inerenti al suo ufficio e per vivere con quel decoro che la carica richiedeva. Innocenzo X non approvò la sua gestione finanziaria e sollecitò la Camera apostolica a compiere una indagine sul suo operato e successivamente l'autorizzò ad aprire un procedimento per il recupero delle somme dovute a danno del patrimonio personale di Altieri e dei beni della mensa vescovile della sua diocesi di Camerino.
Era governatore di quella città, dopo che Altieri vi aveva fatto ritorno, Girolamo Casanate il quale, divenuto suo estimatore e sostenitore, seppe affrontare la questione con molta intelligenza delle cose e soddisfazione di Altieri (oltre che, evidentemente, di Roma): quest'ultimo, per parte sua, serbò una ottima considerazione del giovane giurista tanto da crearlo più avanti cardinale e da volerlo come suo collaboratore nella direzione della Curia.
La morte di Innocenzo X e ancor più l'avvento di Alessandro VII crearono le premesse per una nuova importante svolta nella vita di Altieri. Nel 1655, per incarico dei cardinali riuniti in conclave, fu a Bologna e a Modena nel tentativo di scongiurare un nuovo focolaio di guerra tra Francia (appoggiata dal duca di Modena e da quello di Savoia) e Spagna. Alla fine dello stesso anno si adoperò molto per dare adeguata accoglienza alla regina Cristina di Svezia che, attraversata la sua diocesi, si stava recando a Roma. Nel 1657 il papa, probabilmente su consiglio del suo segretario di Stato, Giulio Rospigliosi, lo nominò segretario della Congregazione dei Vescovi e dei Regolari e, alcuni anni dopo, consultore di quella del Sant'Uffizio.
La sua attività come segretario della Congregazione dei Vescovi e dei Regolari, per quanto sinora mai esaminata nemmeno nelle grandi linee, dovette essere di piena soddisfazione per Alessandro VII che lo lasciò in quell'incarico per tutta la durata del suo pontificato. Le riforme introdotte nell'organizzazione della vita della Curia - dalle nuove disposizioni per l'accesso alla carriera prelatizia alle norme più severe per contrastare gli abusi e la venalità largamente diffusi nei dicasteri romani - diedero una nuova impronta alla disciplina del clero ed all'attività degli uffici. Numerosi provvedimenti riguardarono quei settori che erano toccati dalle competenze della Congregazione dei Vescovi e dei Regolari o per i quali Altieri vantava una conoscenza ampia e sicura. La visita apostolica della diocesi di Roma e delle diocesi suburbicarie, a partire dal 1656, portò ad estendere questo strumento di controllo e di promozione di rigorose riforme anche ad altre diocesi del Lazio, della Liguria, del Veneto e della Lombardia; numerosi furono i sinodi diocesani direttamente sollecitati da Roma che si tennero in Italia, in Spagna, in Germania, in Polonia. Le prescrizioni che Innocenzo X aveva emesso per il riordinamento degli Ordini religiosi maschili, con la conseguente soppressione di numerosi conventi in tutte le regioni italiane, furono confermate da Alessandro VII. Molti provvedimenti in materia, anche se la competenza prevalente era della Congregazione sullo stato dei Regolari (della quale era segretario Prospero Fagnani), furono presi dalla Congregazione guidata da Altieri.
La provvidenziale ascesa al pontificato di Giulio Rospigliosi (Clemente IX) portò alla nomina di Altieri a maestro di camera del nuovo papa: sembrava il definitivo coronamento di una lunghissima vita (aveva allora oltrepassato i settantasette anni) spesa al servizio della Chiesa. Quell'ufficio indicava spesso l'esistenza di rapporti di familiarità e di confidenza tra il prescelto e il pontefice e, pur non corrispondendo all'esercizio di rilevanti poteri in Curia, poteva condurre alla porpora. Ciò avvenne nel caso di Altieri: dopo due anni di stretta collaborazione ma più ancora di quotidiana dimestichezza, Clemente IX, quando ormai era già gravemente ammalato, pochi giorni prima di morire lo aveva creato cardinale.
I rapporti tra Rospigliosi e Altieri non sono stati oggetto di studio sino ad oggi: mancava lo stimolo che suscitano le figure prestigiose e singolari, assente anche la spinta che proviene da avvenimenti di particolare rilievo che li avessero visti protagonisti. La loro levatura, come uomini di Chiesa e uomini di fede, non è mai stata esaltata né forse è esaltante. A tutto ciò si aggiunga che i due vissero in un momento di crisi dell'istituzione ecclesiastica, non più guida o mediatrice tra le potenze e nemmeno adeguata ad affrontare i problemi di una religiosità ormai troppo stretta negli schemi controriformistici nei ceti più elevati e spesso mai giunta a scalfire la corazza delle pratiche magiche e superstiziose in quelli popolari. Appaiono come uomini del passato, in una Chiesa che è già in grave ritardo, chiamati al vertice dell'istituzione per periodi brevi e al termine di una lunga vita che si era sviluppata nella scia del favore, del prestigio e del potere dei loro "padroni" piuttosto che per specifiche attitudini al governo o per una esemplare vita di fede e di devozione. La storiografia ufficiale della Chiesa, proprio per questo, li ha trascurati o ne ha parlato frettolosamente quasi fosse meno apprezzabile, nella esaltazione, il segno della volontà degli uomini e della Provvidenza. La ricchezza della documentazione disponibile sia per Rospigliosi sia per Altieri (per buona parte quest'ultima mai vista da alcuno) potrebbero permettere la ricostruzione di biografie di grandissima importanza per conoscere meglio l'"umanità" di due fedeli servitori della Chiesa, la loro vita di pietà, la loro cultura e soprattutto le vicende della Curia romana attraverso l'evolversi di due carriere quasi parallele e il sorgere della fortuna di due famiglie che resteranno grandi nella storia di Roma e dello Stato pontificio.
Altieri non aveva ricevuto l'investitura della nuova dignità che già si trovò a prendere parte al conclave riunito dopo la morte di Clemente IX. Iniziato il 20 dicembre 1669, si concluse il 29 aprile 1670.
Le notizie sulle trattative tra i cardinali, sull'esito delle numerose votazioni che furono necessarie per arrivare alla scelta del nuovo pontefice, sugli avvenimenti succedutisi all'interno del Vaticano e in città in quei quattro mesi, sono molto numerose e dettagliate. Ne parlarono le relazioni dei rappresentanti delle maggiori potenze, ne scrissero il cardinale Decio Azzolini, il cardinale Pietro Vidoni e la regina Cristina di Svezia, scambiandosi una fittissima corrispondenza tra l'una e l'altra sponda del Tevere che durò per tutto il conclave (cfr. C. de Bildt). Alla prima votazione risultarono presenti cinquantasei cardinali che successivamente aumentarono sino a raggiungere il numero massimo di sessantacinque sul totale di settanta che avevano diritto al voto. Gli schieramenti, all'interno del conclave, erano gli stessi del 1667. I cardinali legati alla Francia erano sette, altrettanti quelli schierati con la Spagna; ventiquattro erano stretti intorno a Flavio Chigi (quasi tutti quelli nominati da Alessandro VII), otto a Giacomo Rospigliosi (quelli di Clemente IX), sette a Francesco Barberini (di Urbano VIII), dodici infine componevano lo "squadrone volante", un gruppo di indipendenti guidati da Azzolini. Nessuno dei gruppi aveva i voti per imporre una candidatura, nessuno dei cardinali aveva un prestigio ed un seguito tale da imporsi autonomamente. A queste difficoltà si aggiunsero le "esclusive", cioè i veti posti dai Francesi e dagli Spagnoli per alcuni candidati sui quali sembrava possibile la convergenza di un ampio numero di conclavisti. Caddero così, una dopo l'altra, le candidature di Vidoni, di Scipione Pannocchieschi d'Elci, di Benedetto Odescalchi, di Stefano Brancaccio. Il 28 aprile si raggiunse un accordo sul nome di Emilio Altieri il quale opponeva però una serie di obiezioni ad accettare la designazione sia per causa dell'età (aveva già ottanta anni) sia per la salute non robusta: Pietro Paolo Bona, cerimoniere pontificio, nel diario relativo anche a questo conclave, scrisse: "Statim ac eidem Eminentissimo Alterio significatum fuit de sua electione coepit flere, et constanter per horae quadrantis spatium se velle consensum praestare negavit, sed ad preces omnium fere Cardinalium respiciens tandem resistere Spiritus Sancti impulsui noluit" (B.A.V., Vat. lat. 12339, filza 1). La riluttanza ad accettare la designazione dei conclavisti (alcune fonti dicono vi fosse stata una certa violenza per costringerlo a tale passo) lascia pensare che il nuovo pontefice, da uomo esperto della Curia e conoscitore dei problemi della Chiesa, si sentisse non adeguato ad un così difficile governo per il quale ben altre energie fisiche e ben più solide alleanze curiali sarebbero state necessarie di quelle che caratterizzavano ormai l'ultimo tratto della sua vita. Ma la volontà dello Spirito Santo e le decisioni degli uomini lavorarono in un'altra direzione.
Clemente X, questo il nome assunto in segno di omaggio a Giulio Rospigliosi che tanto aveva contribuito a segnare gli ultimi venticinque anni della sua vita, fu eletto il 29 aprile 1670; l'11 maggio fu incoronato. Egli avvertì subito la necessità di circondarsi di collaboratori esperti che potessero sostenerlo nel governo. Poiché Chigi e Rospigliosi erano stati gli artefici della sua esaltazione, le sue scelte furono guidate dalle indicazioni di quei due potenti cardinali: furono confermati in blocco i capi dei dicasteri che erano stati nominati da Clemente IX; a costoro si affiancò Paluzzo Altieri, con gli onori e i poteri del cardinal nepote, Federico Borromeo prima e poi Francesco Nerli furono segretari di Stato, Gaspare Carpegna fu datario, Camillo Massimo e poi Alessandro Crescenzi furono suoi maestri di camera.
I primi provvedimenti del suo pontificato, dopo quelli consueti a conferma di privilegi che venivano concessi ai conclavisti, riguardarono i decreti di canonizzazione di Pietro de Alcantara e di Maria Maddalena de' Pazzi (che erano già stati proclamati santi da Clemente IX) e la costituzione apostolica del 21 giugno 1670 (Superna magni patrisfamilias) che regolava la materia dei rapporti tra clero regolare e ordinari diocesani in relazione alla predicazione e all'amministrazione del sacramento della confessione da parte dei religiosi. Una spinta efficace a dare una normativa precisa sulla materia era venuta da un'ordinanza del Consiglio di Stato di Luigi XIV, del marzo 1669, che aveva sottolineato i poteri del sovrano per la soluzione di controversie tra il clero secolare e quello regolare insorte nei territori sottoposti alla sua giurisdizione: era un'interferenza inaccettabile da Roma e infatti i nuovi provvedimenti di C. definivano l'esclusiva competenza della Chiesa a dirimere le eventuali controversie. Luigi XIV, con l'appoggio del Parlamento di Parigi, rigettò la costituzione clementina.
I modelli di religiosità e di vita di pietà si arricchirono con le canonizzazioni di Gaetano da Thiene, di Francesco Borgia, di Filippo Benizi, di Luigi Beltran e di Rosa da Lima ed inoltre con numerose beatificazioni tra le quali, di particolare importanza, quelle di Pio V e di Giovanni della Croce. Una disciplina più severa fu introdotta dal decreto del 13 gennaio 1672 in materia di reliquie (Ex commissae nobis coelibus): esse dovevano essere attentamente esaminate dall'autorità ecclesiastica espressamente deputata a ciò prima di essere esposte alla venerazione dei fedeli, mentre furono stabilite pene severe per coloro che falsificavano gli attestati di autenticità o sollecitavano compensi da chi aveva richiesto l'esame dei reperti. Nel 1675 si celebrò l'Anno santo. Il papa, in condizioni di salute piuttosto precarie, fu raramente presente alle cerimonie liturgiche che caratterizzarono quelle giornate di preghiera e di espiazione. La presenza di pellegrini fu minore che nel passato ma pur sempre rilevante. I rapporti con i giansenisti avevano trovato una provvisoria soluzione con la "pace clementina" del suo predecessore e né Roma né Parigi per il momento vollero sollevare questioni intorno ad un accordo che, sul piano della forma, aveva risolto la spaccatura all'interno dell'episcopato e del clero francese tra i giansenisti e coloro che si erano mantenuti fedeli a Roma. In città, negli anni di C., operava con grande successo Miguel Molinos: era circondato dal favore di insigni ecclesiastici (come il futuro Innocenzo XI) e di grandi personaggi della nobiltà (Cristina di Svezia tra costoro) e nulla poteva far pensare alle lunghe e tenaci polemiche che sarebbero scoppiate non molti anni più tardi.
Il governo dello Stato ecclesiastico assorbì gran parte delle preoccupazioni e delle forze del nuovo pontefice: i rapporti con la Spagna e con la Francia, la difesa dell'Europa dai Turchi, i provvedimenti per migliorare le condizioni di vita dei suoi sudditi e per abbellire la Città Eterna ne costituirono i temi centrali. La Spagna avversava strenuamente le disposizioni ecclesiastiche in materia di diritto d'asilo e in genere di giurisdizione ecclesiastica che troppo spesso sconfinava in campi che ormai lo Stato moderno rivendicava alla propria competenza.
Il contrasto era particolarmente acceso nel Viceregno napoletano e nel Milanese. Una Congregazione particolare, istituita da Clemente IX e confermata dal successore, ebbe il compito di valutare le ragioni esposte dai rappresentanti di Napoli e di Milano contro una applicazione troppo estensiva della bolla di Gregorio XIV (Cum alias, del 24 maggio 1591) che riguardava appunto il diritto d'asilo. Le conclusioni non furono quelle auspicate dai ministri spagnoli i quali avevano fatto grande affidamento sull'appoggio loro manifestato dallo stesso arcivescovo di Napoli, Innico Caracciolo: la Congregazione, dietro l'apparenza di una certa comprensione per le obiezioni mosse contro la Cum alias e la sua applicazione estensiva, di fatto ribadì l'intransigenza sino allora seguita. Le conseguenze furono presto evidenti in entrambi i domini spagnoli: la litigiosità per questioni di giurisdizione giunse a vertici mai toccati con conseguenze assai negative sullo stato dei rapporti tra Roma e Madrid. Ulteriori elementi di frizione furono provocati dalla rivolta di Messina che vide la Corte pontificia in atteggiamento di prudente attesa mentre la Spagna aveva chiesto un più deciso ricorso alle scomuniche per i capi e all'interdetto per la città per colpire, anche con le censure ecclesiastiche, la resistenza della popolazione.
La condotta di Roma in occasione della guerra d'Olanda non fu chiara né coerente: se da una parte la Chiesa vedeva con molto favore un successo francese perché ciò avrebbe significato il ristabilimento della libertà di culto per i cattolici in paesi ormai protestanti da oltre un secolo, tutto ciò d'altra parte veniva pagato duramente in termini di rinuncia alla difesa delle prerogative ecclesiastiche nei territori di Luigi XIV e soprattutto escludeva che i paesi cristiani si unissero in un fronte unito contro il pericolo turco.
Il gruppo di pressione francese a Roma fu efficace almeno fino a tutto il 1673 ed ottenne che la Corte pontificia si schierasse apertamente in favore del re di Francia. L'anno successivo il favore diminuì e poi scomparve del tutto sia perché fu chiaro che le motivazioni che muovevano Luigi XIV erano di natura tutt'altro che religiosa, sia perché la politica regalista del re aveva creato difficoltà enormi alla Chiesa francese ed ai rapporti tra questa e Roma, infine perché l'azione diplomatica della Spagna e dell'Impero stava conseguendo anche a Roma i primi risultati positivi. Un incidente diplomatico occorso a Roma, in seguito all'emanazione di un editto del cardinale Altieri che limitava drasticamente le franchigie doganali godute dai diplomatici e che veniva a colpire in modo particolare il rappresentante francese, rivelò chiaramente il mutamento di prospettiva. La Corte pontificia riprese le distanze da Parigi e il problema della difesa dell'Europa cristiana dai continui attacchi turchi ritornò ad essere centrale nella sua attività diplomatica ed intorno ad esso si svilupparono iniziative concrete per sostenere finanziariamente l'esercito polacco e per facilitare il raggiungimento della pace tra le potenze europee per la creazione dell'auspicato fronte comune contro il temibile invasore.
La caduta di Candia, nel settembre 1669, ma più ancora l'incerta determinazione per un fronte comune contro i Turchi (sia la Francia sia la Spagna intrattenevano relazioni d'affari con l'Impero ottomano) facevano temere a Roma che si sarebbe assistito presto ad una ripresa dell'avanzata turca in Europa. Il fronte più debole era indubbiamente rappresentato dalla Polonia, governata dal re Michele in mezzo a difficoltà sempre crescenti per le divisioni e le lotte interne.
Nel 1672 il sultano Maometto IV attaccò questo fronte, conquistò la Podolia e si stava dirigendo su Leopoli quando fu fermato dall'intervento dell'esercito polacco guidato da Giovanni Sobieski. Re Michele, convinto che sarebbe stato impossibile resistere di fronte ad una nuova campagna di guerra, si affrettò a concludere la pace di Buczacz con la quale cedeva definitivamente ai conquistatori il territorio già occupato. Il Parlamento insorse contro l'atto del sovrano e rigettò la pace. La morte di Michele ed una vittoria esaltante del Sobieski a Chotin (11 novembre 1673) aprirono a quest'ultimo la via della successione al trono. La sua candidatura, appoggiata da Roma pur dopo alcune esitazioni, era la garanzia che il paese si sarebbe posto alla testa della guerra contro i Turchi. L'anno successivo una nuova importante vittoria a Leopoli venne a confermare questa ipotesi e valse a contenere per alcuni anni la spinta offensiva turca in quella direzione. C. fu sempre molto sollecito delle sorti della Polonia: inviò grandi somme di denaro per le necessità della difesa militare, provvide a contrastare ogni possibile candidatura di principi protestanti al trono polacco, ma anche di candidati delle grandi potenze, spedì nunzi e ministri straordinari che potessero dare corpo alle consistenti iniziative romane per la difesa della cristianità, si esaltò per i successi delle armi polacche. L'intervento di Roma nella soluzione degli affari polacchi fu ampio e continuato ma fu reso possibile dal sostanziale disinteresse delle potenze europee per la guerra contro i Turchi in quello scacchiere: lì dove si affrontava il problema della supremazia o dell'equilibrio delle potenze in Europa, la Sede apostolica fu tenuta lontana e la sua voce rimase inascoltata. Si confermava una volta di più, anche in questa circostanza, il ruolo marginale che lo Stato pontificio era venuto assumendo dopo la pace di Vestfalia: ormai le guerre, gli armistizi, le paci si succedevano senza che l'intervento o la mediazione di Roma fosse più richiesta e talvolta si agì espressamente per escluderla dal tavolo degli interlocutori.
In una circostanza però le potenze europee trovavano utile riallacciare rapporti con la Curia, utilizzando tutte le arti della diplomazia e, quando ciò non fosse stato sufficiente, il supporto di grosse somme di denaro o quello di minacce e di soprusi se la corruzione non si fosse rivelata sufficiente o praticabile: le nuove nomine di cardinali. Il Collegio dei cardinali, oltre che nel momento dell'elezione del nuovo pontefice, poteva svolgere un ruolo di grande rilievo per la politica estera e per quella finanziaria dei singoli Stati con i provvedimenti che riguardavano gli ecclesiastici ed i loro patrimoni e quelli da loro gestiti nel mondo. C., di fronte alle forti pressioni di cui fu fatto oggetto a questo proposito, oppose una resistenza limitata ed accettò alcune indicazioni venute dalle corti pur se il maggior numero di prescelti rispose ad altri due criteri molto netti: i suoi parenti ed amici più stretti, i responsabili di alcuni uffici più importanti nella Curia e delle principali Nunziature.
La prima nomina, avvenuta alla fine del 1670, portò al cardinalato Federico Borromeo, già nunzio e da ultimo segretario di Stato, Camillo Massimo, nunzio pure lui e poi maestro di camera del papa, Gaspare Carpegna, suo parente acquisito per parte di Laura Caterina. Nel 1672 furono nominati, Vincenzo Maria Orsini (il futuro Benedetto XIII), parente acquisito in quanto fratello di Domenico Orsini, duca di Gravina che aveva sposato Ludovica Paluzzi Albertoni Altieri, nipote del cardinale Paluzzo, Piero Bonzi, arcivescovo di Tolosa, Bernhard Gustav von Baden Durlach, abate di Fulda, César d'Estrées, inviato di Luigi XIV a Roma, Eberhard Nidhard, inquisitore generale e primo ministro in Spagna, tutti segnalati dalle potenze. Nel 1673 fu la volta di Felice Rospigliosi, nipote di Clemente IX, di Francesco Nerli, già nunzio e poi segretario di Stato, di Girolamo Gastaldi, tesoriere generale, del suo amico Girolamo Casanate, segretario della Congregazione dei Vescovi e dei Regolari, di Federico Baldeschi Colonna, altro suo parente per parte dei Paluzzi Albertoni, di Pietro Basadonna, diplomatico veneziano. L'ultima nomina, nel 1675, riguardò quattro romani (Galeazzo Marescotti, Alessandro Crescenzi, Bernardino Rocci e Fabrizio Spada, quest'ultimo suo lontano parente), un napoletano (Mario Alberizzi) e un inglese (Filippo Tommaso Howard).
I provvedimenti di C. in ordine al governo interno dello Stato ecclesiastico non furono rilevanti: il debito pubblico continuò ad aumentare ancora, pur se non con la stessa velocità degli anni precedenti; non vi furono ritocchi significativi alle tasse né innovazioni per la vita economica dello Stato; nonostante fosse stato studiato a lungo il problema degli interventi necessari per riequilibrare le spese e le entrate complessive del bilancio statale, tutto si risolse in una esortazione alla parsimonia nell'amministrazione dei singoli uffici della Curia.
Alcuni decreti ricordati dai suoi biografi riguardarono l'agricoltura e il commercio dei grani ma furono improntati a dare soluzione a problemi circoscritti e relativi essenzialmente all'approvvigionamento alimentare di Roma. Di un qualche interesse fu invece l'istituzione di un banco di credito per i piccoli commercianti della città di Roma che potevano così pagare i loro fornitori senza dover attendere il collocamento dei prodotti, e alcuni provvedimenti per facilitare la creazione e l'attività di botteghe artigiane per la lavorazione della lana e della seta. In Valdichiana, a partire dal 1674, si dette mano ad interventi di bonifica e di ripristino dei canali di scolo delle acque che produssero un notevole miglioramento dell'agricoltura nella zona.
Certamente più note ed apprezzate furono le opere pubbliche ed i capolavori di arte usciti dalle mani di architetti, scultori e pittori per commissioni di Clemente X. Ad ulteriore testimonianza della riconoscenza che lo legava a papa Rospigliosi, C. fece erigere in sua memoria un monumento funebre in S. Maria Maggiore; nella stessa chiesa ordinò diversi lavori (tra i quali le scalinate di accesso alla parte posteriore del tempio) ma abbandonò il progetto del predecessore per una nuova tribuna. Completò la decorazione di ponte S. Angelo, realizzò la porta d'ingresso all'atrio di S. Pietro, le statue sul colonnato dell'omonima piazza, la seconda fontana modellata su quella voluta da Paolo V. In molti di questi lavori e in altri ancora si giovò dell'eccezionale talento di Bernini e della sua scuola.
L. von Pastor, parlando dei rapporti di C. con i suoi familiari (pp. 636-39), ammise che egli si era lasciato andare a concedere numerosi favori anche se collegò tale debolezza alla vecchiaia, al peso del governo, all'esempio dei suoi predecessori. In realtà il papa fece moltissimo per la sua famiglia.
Un conto fatto fare da Innocenzo XII alla fine del secolo a proposito delle somme versate ai familiari dei pontefici dalla sola Camera apostolica rivelò che gli Altieri, con 1.200.000 scudi, erano stati secondi solo ai Pamphili. Ma il "favore" di cui parlava L. von Pastor non riguardò solo l'arricchimento: il pontificato di C. si distinse per una presenza massiccia di suoi parenti ai vertici della Curia romana, a cominciare da Paluzzo Altieri: cardinal nepote, vicario di Roma, camerlengo di Santa Chiesa, segretario dei Brevi, prefetto di Propaganda Fide, legato di Avignone e di Urbino, governatore di Tivoli, arcivescovo di Ravenna, protettore di Loreto e di numerose nazioni e Ordini religiosi. Era diventato così potente che a Roma si mormorava che fosse il papa a benedire e santificare ma lui a reggere e governare lo Stato. Il conflitto dell'autunno 1674 tra Paluzzo e gli ambasciatori stranieri a Roma a proposito delle franchigie doganali, conclusosi con la sua sconfitta, non limitò affatto il suo potere pur se contribuì ad aumentare considerevolmente la schiera dei suoi oppositori. Ai parenti acquisiti di parte Paluzzi Albertoni, oltre ad uffici in Curia, papa C. donò i feudi di Oriolo, Veiano, Monterano e Bassano acquistati dagli Orsini. Ad un altro nipote, meno noto e meno fortunato di Paluzzo, già presente da lungo tempo nel Collegio cardinalizio al momento della sua elezione, Giulio Gabrielli, fu data la Legazione di Romagna, il governo di Fermo, Benevento, Capranica; a Vincenzo Maria Orsini la prefettura della Congregazione del Concilio; a Federico Baldeschi Colonna lo stesso ufficio dopo Orsini; a Gaspare Carpegna la Dataria.
I biografi di C. sono avari di notizie intorno alla sua religiosità ed alla sua vita spirituale. I suoi contemporanei lo descrissero in maniera contrastante: alcune relazioni di ambasciatori veneti lo giudicavano, come riporta L. von Pastor, "umile di cuore, sincero, compassionevole, benefico ed estremamente indulgente", parsimonioso nell'uso dei denari della Chiesa ma sollecito nel soccorrere i poveri, gli ammalati, gli abbandonati. Altri invece lo rimproverarono per essere completamente succube dei suoi più giovani parenti ed in quel caso le virtù assumevano piuttosto il volto di gravi carenze: l'umiltà mascherava la pavidità, l'indulgenza la rinuncia a qualsiasi controllo su quanto veniva operato da altri. La morte lo colse nell'estate del 1676. L'anziano pontefice aveva sofferto a lungo per la gotta; nei primi anni del suo alto ministero aveva superato forti attacchi di podagra. Nel giugno 1676 si manifestarono i primi gravi sintomi di idropisia e le complicazioni intervenute lo indebolirono sempre più: sino alla metà di luglio concesse udienze, poi anche la sua fibra resistente cedette. In una settimana le sue condizioni si aggravarono e il 22 luglio 1676, nel pomeriggio, morì.
Il cardinale Altieri eresse un grandioso monumento funebre per onorare la memoria di C., opera di Mattia de' Rossi. È in S. Pietro, accanto alla cappella del Ss. Sacramento.
fonti e bibliografia
La principale fonte archivistica è costituita dall'Archivio Altieri, conservato per gran parte ancora nel palazzo Altieri a Roma, nei locali in precedenza destinati alla ricca biblioteca, poi suddivisa tra gli eredi e dispersa agli inizi del Novecento. L'Archivio non è aperto al pubblico. Le ricerche archivistiche possibili sono quelle in direzione delle carte conservate all'A.S.V. e alla B.A.V. All'Archivio si segnalano i fondi: Congr. Concilio, Camerinensis, I; Segr. Stato, Vescovi, 25-38; Segr. Stato, Napoli, 39, 39/A, 40-50, 330, 335; Segr. Stato, Nunz. diverse, 296. Le carte relative all'attività dell'Altieri presso la Congregazione dei Vescovi e dei Regolari sono conservate nel fondo omonimo, suddivise in tre sezioni, sia per i Registra che per le Positiones (Episc., 102-112; Regul., 65-73; Monial., 8-16). Per gli anni del pontificato, alla B.A.V., forniscono utili indicazioni i volumi del Ruolo della Famiglia di Nostro Signore Papa Clemente X, 160 (1° agosto 1670)-169 (1° giugno 1676); il Diarium di Pietro Paolo Bona, Vat. lat. 12339-12340 e i Diariorum volumina di Fulvio Servanzio, Vat. lat. 12375-12376.
Rivestono un qualche interesse per la ricostruzione di alcuni momenti della sua carriera ecclesiastica i mss. Barb. lat. 9142 (lettere a Francesco Barberini del 1636), 8676 e 8923 (lettere allo stesso di Giambattista Altieri per gli anni 1643-54), 7560 (lettere allo stesso di Emilio Altieri per gli anni 1644-52), 9071 (lettere di Emilio Altieri a Taddeo e Francesco Barberini per il 1641); i mss. Borgh. lat. 67 (documentazione degli anni della Nunziatura a Napoli) e 74 (decisioni relative alla diocesi di Camerino durante il suo episcopato).
Gli stretti rapporti tra l'Altieri e Girolamo Casanate rendono interessante la consultazione delle carte di quest'ultimo, conservate a Roma alla Biblioteca Casanatense; in particolare sono da studiare i voll. 1354-1356 (copie di lettere, 1656-58) e le note sulla causa tra l'Altieri e la Camera apostolica. Di scarsissimo valore storico sono le numerose biografie manoscritte coeve o di poco posteriori, composte con intento celebrativo, presenti anche alla B.A.V. (Borgh. lat. 259; Urb. lat. 1665). Ben più importante invece dovrebbe essere l'opera rimasta inedita di Carlo Cartari, sulla vita di C., scritta su commissione di Paluzzo Altieri e che, nella stesura originale, potrebbe essere conservata nell'Archivio Altieri. Altri documenti sugli Altieri sono conservati nel Fondo Cartari-Febei nell'Archivio di Stato di Roma.
La bibliografia su C. è molto povera e avara di notizie sulla sua vita. L'opera principale rimane L. von Pastor, Storia dei papi dalla fine del Medio Evo, XIV, 1, Roma 1961, pp. 628-84, che si basa, oltre che sulla documentazione archivistica vaticana e diplomatica degli Stati rappresentati a Roma in quell'epoca, sulle opere a stampa relative al periodo considerato e su una copia dell'opera del Cartari ritrovata nell'Archivio Piccolomini ad Orvieto.
Tra le biografie più antiche, nulla di significativo oltre a quello che ne ha scritto M. Guarnacci, Vitae, et res gestae Pontificum Romanorum [...], I, Romae 1751, coll. 1-7. Ciò esprime già un giudizio su opere come quella di F. Miloni, Per l'esaltazione della Santità di Nostro Signore Clemente X Panegirico, ivi 1670; di G.B. Gizzi, Le due statue d'Alvernia. Discorso Panegirico, ivi 1670; di E. Arisio, Memorie sulla vita di Clemente X, ivi 1863.
Sugli anni del suo episcopato a Camerino: O. Turchi, De Ecclesiae Camerinensis Pontificibus, ivi 1772, pp. 323-30. La rivoluzione di Masaniello e l'atteggiamento della Santa Sede sono stati oggetto di uno studio di E. Visco (La politica della Santa Sede nella rivoluzione di Masaniello. Da documenti inediti dell'Archivio Vaticano, Napoli 1926) che fa ampio riferimento all'azione diplomatica di Altieri pur senza approfondire i problemi dei rapporti del nunzio con Roma e con Filomarino. L'azione di C. in favore della Polonia e dell'Est europeo minacciato dai Turchi è testimoniata dalle collezioni di documenti e testi compiute sulle carte dell'A.S.V.: v. Vetera monumenta Poloniae et Lituaniae [...], a cura di A. Theiner, I-IV, Romae 1860-64: III, pp. 584-638; Relationes nuntiorum apostolicorum Vindobonensium de regno Hungariae 1666-1683, a cura di T.A. Vanyó, Pannonhalma 1935; Litterae nuntiorum apostolicorum historiam Ucrainae illustrantes (1550-1850), a cura di A.G. Welykyj, Romae 1959, ad indicem; Francesco Buonvisi, Nunziatura a Varsavia, a cura di F. Diaz-N. Carranza, I, ivi 1965, e per un quadro complessivo: M. Petrocchi, La Politica della S. Sede di fronte all'invasione ottomana (1444-1718), Napoli 1955.
Sui rapporti tra C. e la Francia v. Ch. Gérin, Louis XIV et le Saint-Siège, II, Paris 1894, pp. 391-646; Correspondance du nonce en France Fabrizio Spada (1674-1675), a cura di S. de Dainville-Barbiche, Romae 1982.
Sulle condizioni dello Stato pontificio nell'età di C., v. M. Caravale-A. Caracciolo, Lo Stato pontificio da Martino V a Pio IX, Torino 1978, pp. 415-40; M. Rosa, Curia romana e pensioni ecclesiastiche: fiscalità pontificia (sec. XVI-XVIII), "Quaderni Storici", 14, 1979, pp. 1015-55.
Sul pontificato di C., i suoi parenti, il suo mecenatismo e la vita di Roma in quegli anni, v. P. Visconti, Città e famiglie nobili celebri dello Stato Pontificio, III, Roma 1847, pp. 602-15; A. Ademollo, Il matrimonio di suor Maria Pulcheria al secolo Livia Cesarini, ivi 1883; C. de Bildt, Christine de Suède et le Conclave de Clément X (1669-1670), Paris 1906; M. D'Angelo, Il cardinale Girolamo Casanate (1620-1700), Roma 1923; A. Schiavo, Palazzo Altieri, ivi 1962; M. Petrocchi, Roma nel Seicento, Bologna 1970; P. Portoghesi, Roma barocca, I, Bari-Roma 1973.
Dictionnaire du Grand Siècle, Paris 1990, s.v., pp. 334-35; Lexikon für Theologie und Kirche, II, Freiburg 1994³, s.v, col. 1224; Dizionario storico del Papato, a cura di Ph. Levillain, I, Milano 1996, s.v., pp. 340-42.