Il diritto internazionale ha per lungo tempo ignorato i rapporti tra lo Stato e l’individuo (a eccezione delle norme sulla protezione diplomatica), sulla base del principio della ‘non ingerenza degli affari interni’, sicché la tutela dei diritti umani rientrava nella sfera di competenza interna di ogni singolo Stato. Solo in seguito alle flagranti violazioni dei diritti umani commesse durante il secondo conflitto mondiale, la loro tutela è divenuta oggetto di norme internazionali, sia pattizie che generali.
La Carta delle Nazioni Unite (1945) già conteneva, nel preambolo, riferimenti ai diritti fondamentali dell’uomo ed esortava le nazioni (art. 1) a sviluppare relazioni amichevoli, fondate sul diritto all’autodeterminazione dei popoli, e a promuovere e incoraggiare il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali per tutti, senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione. Il 10 dicembre 1948 l’Assemblea generale adottò inoltre, con risoluzione 217 (III), la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo che, pur non avendo carattere vincolante, pose le basi per l’affermazione di tali diritti a livello internazionale. Tra questi, vanno anzitutto ricordati i diritto diritti civili e politici (cosiddetti di ‘prima generazione’, di matrice occidentale), che comportano soprattutto obblighi di astensione per gli Stati: il diritto alla non discriminazione, all’integrità fisica, alla vita, alla libertà personale, di pensiero, di religione. Ci sono poi i diritti economici, sociali e culturali (cosiddetti di ‘seconda generazione’, propugnati in passato dai paesi socialisti), che comportano obblighi di agire da parte degli Stati: diritto al lavoro, alla salute, all’istruzione.
Negli anni 1970, i paesi in via di sviluppo sostennero l’esistenza di diritti collettivi, o della solidarietà (cosiddetti di ‘terza generazione’), tra cui il diritto allo sviluppo, alla pace, a un ambiente salubre. Questi ultimi possono essere considerati diritti solo in senso lato, in quanto è difficile individuare il titolare degli obblighi corrispondenti, configurandosi piuttosto quali interessi collettivi delle comunità. In seguito si è venuta delineando una ‘quarta generazione’ di diritti umani, connessi all’impiego delle nuove tecnologie soprattutto nel campo della genetica e dell’informatica. Tale classificazione ha carattere descrittivo e non indica una gerarchia, in quanto i diritti umani riconosciuti a livello internazionale si caratterizzano per essere indivisibili e interdipendenti.
Le convenzioni sui diritti umani. - Vanno menzionate le numerose convenzioni in materia stipulate grazie all’azione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite: la Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (1948); la Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (1965); il Patto sui diritti civili e politici (con due Protocolli addizionali) e il Patto sui diritti economici, sociali e culturali (entrambi del 1966); la Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna (1979, con un Protocollo facoltativo); la Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (1984); la Convenzione sui diritti del minore (1989, con due Protocolli facoltativi). Tra gli accordi stipulati a livello regionale occorre infine ricordare: la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (1950, integrata da 14 Protocolli), che ha istituto la Corte europea dei diritti umani, cui possono rivolgersi direttamente gli individui; la Convenzione americana dei diritti umani (1969); la Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli (1981).
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali
Diritti umani. Diritto dell’Unione Europea
La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità di Rachele Cera
L’accesso ad Internet: un nuovo diritto fondamentale? di Roberta Pisa