Denominazione comune della 3,4-metilendiossimetamfetamina (indicata anche con la sigla MDMA). Fu impiegata a partire dagli anni 1970 da alcuni psicoterapeuti statunitensi allo scopo di favorire la comunicazione del paziente con il terapeuta nel corso delle sedute, finché nel 1986 fu sottoposta a misure restrittive. La sostanza aveva però nel frattempo guadagnato una certa diffusione tra i giovani (anche in Europa) come droga ricreativa. Il suo consumo sotto forma di compresse è andato aumentando nel corso degli anni 1990, soprattutto in associazione a taluni contesti di socializzazione. Allo stato libero si presenta come un liquido oleoso, mentre il suo cloridrato è un solido cristallino, che fonde a circa 150 °C. È dotata di effetti tossici acuti e neurotossici a lungo termine. Stimolando la liberazione di serotonina, induce in un primo tempo un effetto euforizzante, anoressico, di attenuazione del senso di fatica ecc. Allo stato di eccitamento e al rilassamento dei freni inibitori seguono, nel tempo, stati d’ansia e allucinazioni. Gli effetti comportamentali conseguenti all’assunzione di e. sono accompagnati dall’aumento della frequenza cardiaca e della temperatura corporea e, talvolta, da convulsioni e fenomeni di rabdomiolisi. Per quanto riguarda gli effetti neurotossici a lungo termine, nei Primati e nel ratto l’assunzione continuativa di e. causa la degenerazione dei neuroni serotoninergici. Secondo alcune osservazioni, tali effetti sarebbero reversibili nel ratto, irreversibili nei Primati.
Oltre all’e. propriamente detta, vengono commercializzati clandestinamente alcuni suoi derivati, quali la 3,4-metilendiossiamfetamina (MDA, in gergo love drug), già diffusasi negli anni 1960, e la 3,4-metilendiossietilamfetamina (MDEA o MDE, in gergo eva).