Nella critica d’arte, termine, diffusosi intorno al 1960, per designare un’operazione artistica volta a creare un ambiente, o uno spazio, capace di includere lo spettatore, di renderlo attivo partecipe alla realizzazione dell’insieme. Le premesse dell’e. possono trovarsi, oltre che nella poetica futurista, nelle ricerche dell’avanguardia dadaista e surrealista (il Merzbau di K. Schwitters, gli ambienti di M. Duchamp alle esposizioni surrealiste) e, per un altro verso, nelle teorie costruttiviste e nelle ricerche cinetiche e visuali. Così, nelle esperienze, soprattutto nordamericane, che si collocano nell’area del neodada, della pop art e della produzione di happenings (E. Kienholz, J. Dine, C. Oldenburg, G. Segal, A. Kaprow ecc.), l’e. si presenta come un assemblaggio di forme, di oggetti e materiali di forte sapore realistico, esibizione degli aspetti assurdi e degradati della vita della metropoli. Nelle esperienze della op-art e dell’arte cinetica (V. Vasarely, L. Fontana, J. R. Soto, C. Cruez-Dìez, A. Duarte ecc.), che hanno maggior seguito in Europa e nell’America Meridionale, l’e. è invece una struttura ambientale formata con il concorso di diversi mezzi tecnologici (luci, cinema, diapositive, effetti sonori ecc.).
Nelle scienze del territorio, il termine e. ha significato generico di ‘ambiente’, come insieme di elementi fisici e antropici, la cui evoluzione spontanea può essere più o meno soggetta a interventi di pianificazione e di salvaguardia.