Etiopia
La storia dell'E. nel secondo dopoguerra ‒ attraverso il regime monarchico di Hailè Selassiè (Hāyla Selāssē) fino al 1974, la dittatura militare di ispirazione marxista-leninista di Mangestù Haylamāryām dal 1977 al 1991, e infine la precaria democrazia multipartitica nell'ultimo decennio ‒ è stata caratterizzata da una tensione permanente, sfociata spesso in scontro aperto, tra i diversi gruppi etnico-linguistici. Ma il conflitto più lacerante è stato quello che, dopo trent'anni di lotte, ha portato nel 1993 alla secessione dell'Eritrea, proclamatasi indipendente. In questo contesto la cinematografia etiope ha seguito le sorti di quelle di altri Paesi dell'Africa (v.) orientale: dopo alcune prove che risalgono agli anni Sessanta, è sopravvissuta solo all'estero, grazie a quei registi che vivono e lavorano in Europa o negli Stati Uniti.
Figura di maggior prestigio del cinema afroamericano della diaspora è l'etiope Hailè (propr. Mypheduh) Gerima, trapiantato negli Stati Uniti dal 1967. Gerima si è fatto interprete di un cinema militante e di denuncia, che si è posto a confronto con la storia, ricorrendo a forme di indagine sempre sperimentali e innovative. Tra i suoi lungometraggi più rappresentativi: Bush Mama (1976), ambientato negli Stati Uniti durante le contestazioni politiche duramente represse del Black Power, racconta le difficoltà di una madre che tenta di crescere sua figlia preservandola dagli orrori e dai soprusi della misera realtà in cui sono costrette a vivere; Mirt sost shi amit (1976; Il raccolto dei 3000 anni), cruda rappresentazione della faticosa vita dei contadini etiopi. Tra i lavori successivi sono da ricordare: Sankofa (1993), il cui titolo proviene da un proverbio dell'etnia akan (Ghana), che esprime la necessità di guardare al passato per poter comprendere il futuro; e Adwa (1999; Adua), ricostruzione della battaglia attraverso fonti orali, che in Italia ha avuto una circolazione televisiva. Entrambi i film costituiscono una sorta di viaggio nella memoria del popolo etiope, nel primo caso per non dimenticare la tragedia degli schiavi africani segregati in Ghana prima di essere deportati nelle Americhe, nel secondo caso per ricordare la lotta sostenuta dagli etiopi contro l'esercito coloniale italiano.Tra i registi che hanno legato il loro nome agli esordi del cinema documentario si segnalano Afework Manna e Solomon Bekele. Quest'ultimo, dopo aver diretto il cortometraggio Une critique de la corruption sous le régime de Hailé Sélassié (1968) e altri documentari, ha esordito nel 1992 con Aster, lungometraggio a soggetto, ambientato negli anni Sessanta, che racconta la drammatica vita di una giovane operaia.
Un altro regista che vive e lavora negli Stati Uniti è Yemane Y. Demissiè, autore di un altro dei rari lungometraggi etiopi, Gir-Gir (1996, noto come Tumult), sempre di argomento politico ma assai confuso dal punto di vista della narrazione e del linguaggio: descrive il tentativo di introdurre riforme democratiche da parte di un nobile etiope rientrato dagli Stati Uniti nel suo Paese.
Con la storia più recente ‒ la rivolta studentesca del 1974 che portò alla caduta di Hailè Selassiè ‒ si è confrontata invece la regista Salem Mekuria, anch'essa stabilitasi negli Stati Uniti, autrice di Ye Wonz Maeibel (1995, noto come Deluge). Infine, un ulteriore esempio di elaborazione del proprio passato e delle proprie radici è venuto da uno dei lavori del videoartista Theo Eshetu, che vive e lavora in Italia, intitolato Il sangue non è acqua fresca ‒ Blood is not fresh water (1998).
G. Gariazzo, Poetiche del cinema africano, Torino 1998, pp. 85-87.
G. Gariazzo, Breve storia del cinema africano, Torino 2001, p. 131.
S. Toffetti, Hic sunt leones. Il cinema dell'Africa nera, in Storia del cinema mondiale, a cura di G.P. Brunetta, 4° vol., Americhe, Africa, Asia, Oceania. Le cinematografie nazionali, Torino 2001, pp. 460 e 486.