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L’Etiopia è il principale attore regionale del Corno d’Africa, oltre a essere uno dei più importanti stati del continente soprattutto per la sua storia di resistenza alla conquista coloniale europea che, alla fine del 19° secolo, ridisegnò la mappa dell’Africa contemporanea. L’attuale costituzione etiopica, approvata nel 1995, disegna una repubblica federale democratica che, attraverso il decentramento almeno nominale del potere, ha ribaltato il principio fortemente centralistico attorno al quale si è fondato storicamente lo stato etiopico. In nome del principio di auto-determinazione, al quale tutte le comunità del paese possono potenzialmente appellarsi, il governo dell’Ethiopian People’s Revolutionary Democratic Front (Eprdf) del primo ministro Meles Zenawi ha guidato un processo di radicale mutamento sociale e istituzionale del paese, ispirato a un modello federale su base etnica. L’Etiopia è oggi costituita da 9 regioni etniche (Tigray, Afar, Amara, Oromiya, Somali, Pinishangul-Gumuz, Nazioni, nazionalità e popoli del Sud, Gambela e Harar). Alle città di Addis Abeba e Diredaua è stato riconosciuto un particolare status di autonomia.
La costituzione federale etiopica del 1995 non ha semplicemente riorganizzato su base regionale l’assetto del paese, ma ha incluso nel nuovo stato le diverse nazionalità su base etnica, ridefinendo anche i contenuti della stessa cittadinanza alla luce del principio di auto-determinazione. La nascita della Repubblica Federale Democratica d’Etiopia ha di fatto incentivato il rafforzamento delle identità etniche a livello delle diverse province, disegnate secondo confini che riprendono in parte quelli dell’Africa Orientale Italiana (Aoi). I confini delle province che componevano l’Aoi, creata nel 1936 dopo l’occupazione fascista dell’Impero etiopico, furono tracciati sulla base di un criterio di omologazione e sistemazione etnica che tendeva a premiare le popolazioni della periferia a discapito dell’élite dominante amhara del centro.
Questa sistemazione territoriale sconta un’evidente semplificazione e riduzione della complessità sociale e culturale del paese. Gli Oromo, che costituiscono oggi la nazionalità più numerosa della repubblica, sono solo in parte raggruppati nella regione etnica dell’Oromia, mentre la stessa denominazione data alla regione ‘Nazioni, nazionalità e popoli del Sud’ (Snnpr) rinvia ad una complessità evidentemente maggiore. Gli Amhara, che non sono propriamente un gruppo etnico, ma costituiscono l’élite culturale dominante nella storia del paese, sono stati costretti a identificarsi con un territorio e ad auto-definirsi in termini etnici. Gli Amhara hanno perso gran parte del loro potere all’interno della nuova Repubblica Federale in favore delle popolazioni della periferia di quello che un tempo era l’Impero etiopico.
Attraverso il controllo dell’Eprdf, il Tplf ha di fatto conquistato il controllo della nuova Repubblica Federale, escludendo dal processo costituente l’opposizione pan-etiopica che godeva di un forte consenso nell’élite urbana della capitale e tra gli intellettuali amhara.
A fronte della devoluzione istituzionale dei poteri, l’Eprdf ha mantenuto un fortissimo controllo sull’apparato statale, riproducendo di fatto un sistema politico a partito unico e impedendo una reale transizione al multipartitismo. Il federalismo ha permesso l’emersione di nuove élites locali, ma non ha alterato una politica di governo paternalistica e autoritaria. La reale partecipazione delle diverse forze di opposizione alle elezioni federali e regionali, che si sono susseguite dal 1995 al 2010, è stata impedita o limitata da una serie di intimidazioni e discriminazioni riconducibili al partito di governo. L’opposizione anche su base etnica all’egemonia dell’Eprdf ha progressivamente acquisito una tendenza violenta, replicando quella tensione centro-periferia che il federalismo si proponeva di superare. Un’eventuale secessione della nazione oromo, che da sola conta circa 27 milioni di abitanti (circa il 34% della popolazione totale) e attraversa tutto lo stato, causerebbe di per sé l’implosione della stessa Etiopia.
La riorganizzazione dell’Etiopia sulla base dell’autonomia locale attraverso il principio di auto-determinazione ha costituito la premessa della secessione dell’Eritrea lungo i confini dell’ex colonia italiana. L’indipendenza fortemente sostenuta dall’Eritrean People’s Liberation Front (Eplf), che aveva combattuto a fianco del Tplf contro il Derg, fu sancita formalmente nel referendum del 1993. L’Eritrea ha mantenuto un ruolo strategico importantissimo per l’Etiopia in ragione della sua complementarietà culturale ed economica: i porti eritrei di Massaua e Assab costituiscono infatti lo sbocco naturale per i commerci che dall’altopiano etiopico scendono verso il Mar Rosso. Il progressivo deterioramento dei rapporti bilaterali ha innescato una grave crisi che ben presto è passata dalla dimensione politico-economica a quella propriamente militare.
L’uscita dell’Eritrea dall’area monetaria del birr nel 1997 non ha solo portato alla ritorsione da parte etiopica di non accettare pagamenti in nakfa, la nuova valuta eritrea, ma ha innescato una crisi sfociata in una vera e propria guerra. I combattimenti sono iniziati nel 1998, prendendo il via da una controversia confinaria, e sono terminati solo nel 2000 con l’intervento di una missione di interposizione delle Nazioni Unite. Dopo che nel 2008 la missione internazionale si è conclusa per il ripetuto boicottaggio da parte eritrea, la tensione è andata periodicamente aumentando lungo il confine tra i due paesi.
L’Etiopia è membro delle Nazioni Unite, dell’Intergovernmental Agency for Development (Igad), l’organizzazione regionale del Corno d’Africa, e dell’Unione Africana (Au) che ha la sua sede ad Addis Abeba, dove nel 1963 venne fondata l’Organizzazione per l’unità africana (Oau).
Le relazioni con gli Stati Uniti sono oggi molto strette, dopo che il regime rivoluzionario del Derg aveva indotto durante gli anni Settanta a un ribaltamento delle alleanze nell’intera regione con il passaggio dell’Etiopia al blocco sovietico e la Somalia al campo occidentale. L’Etiopia è tornata a essere il principale referente della strategia statunitense nel Corno d’Africa, ricavandone considerevoli vantaggi economici.
Pur di isolare e indebolire il nemico eritreo, il governo etiopico non ha esitato a intraprendere una politica di apertura e distensione con alcuni dei suoi antagonisti storici e in particolare con Egitto, Libia e Yemen. Anche la controversia con il Sudan per le reciproche interferenze incrociate è andata smorzandosi con la firma nel 2000 di un trattato bilaterale per la pacifica risoluzione dei conflitti e la sicurezza del confine.
Il conflitto con l’Eritrea si è riprodotto indirettamente anche durante l’intervento militare che l’Etiopia ha compiuto in Somalia dal dicembre 2006 al gennaio 2009 a difesa della propria sicurezza nazionale e a servizio della politica statunitense nella regione. Le truppe etiopiche sono infatti intervenute in aiuto del governo federale di transizione somalo contro i gruppi islamisti ascesi al potere a Mogadiscio anche grazie all’appoggio del governo eritreo.
La popolazione etiopica costituisce un mosaico di più di 70 gruppi etnici e oltre 200 tra lingue e dialetti. Tra i gruppi maggiori vi sono gli Oromo e i Somali che parlano lingue cuscitiche, mentre gli Amhara e i gruppi che parlano tigrino sono linguisticamente semiti. Almeno la metà della popolazione parla l’amharico come prima o seconda lingua. L’amharico utilizza i caratteri del ge’ez, l’antica lingua dell’impero di Axum che è sopravvissuta come lingua liturgica della Chiesa ortodossa di rito copto. L’amharico è stato in passato la sola lingua ufficiale dell’Etiopia per essere parlata dall’élite dominate del paese, mentre oggi sono diverse le lingue riconosciute a livello regionale. L’oromo e il somalo, che utilizzano i caratteri latini, hanno acquistato una crescente importanza nelle province occidentali e meridionali. Nell’istruzione superiore l’inglese ha ampiamente sostituito il francese e l’italiano.
Nell’altopiano centro-settentrionale il cristianesimo ortodosso di rito copto costituisce la religione più diffusa. La Chiesa copta d’Etiopia fu storicamente uno dei pilastri del potere imperiale etiopico e fu formalmente dipendente dal patriarcato di Alessandria d’Egitto fino al 1959, quando divenne autonoma sotto le pressioni dell’imperatore Hailè Selassiè. Il cristianesimo copto rimase religione ufficiale dello stato fino al 1975, quando la rivoluzione del Derg ne limitò le prerogative. Secondo le stime odierne, circa il 42% della popolazione etiopica è cristiano ortodossa, mentre il protestantesimo e il cattolicesimo, diffusisi nel paese in epoca coloniale e pre-coloniale, costituiscono una minoranza.
Ribaltando una tendenza storica di lungo periodo, i musulmani hanno superato oggi i cristiani e ammontano al 45-50% della popolazione totale, concentrati soprattutto nelle regioni orientali, occidentali e meridionali, dove si conta anche la maggior parte di coloro che praticano culti e credenze animiste. I Beta Israel, denominati spregiativamente falasha (‘straniero’ in amharico), sono la comunità ebraica d’Etiopia, che fa risalire le proprie origini a eventi connessi alla mitica fondazione del regno di Axum attraverso l’unione tra la regina di Saba e re Salomone: a causa delle carestie e della guerra, gran parte dei Beta Israel è stata trasferita in Israele su iniziativa del governo di Tel Aviv tra il 1984 e il 1991.
In contrasto con il principio di auto-determinazione incardinato nella nuova costituzione federale, il rispetto dei diritti civili rimane fortemente limitato per la repressione operata dal governo verso i diversi movimenti di opposizione e in particolare contro gli studenti universitari. Gravi violazioni dei diritti umani sono state inoltre perpetrate dal governo quando, a seguito della guerra del 1998-2000, tutti gli eritrei e gli etiopici di origine eritrea furono espulsi dal paese secondo la logica di una deportazione di massa che non ha risparmiato donne e bambini. I mezzi di comunicazione e la stampa continuano a subire limitazioni, nonostante la legge statuisca la piena libertà di informazione.
L’istruzione, che tradizionalmente era assicurata dalla Chiesa copta o dalle scuole coraniche, è passata sotto il controllo dello stato a partire dal 20° secolo. Il sistema scolastico registra ancora una forte differenziazione tra l’ambiente urbano e quello rurale.
Le guerre e l’instabilità politica hanno condizionato negativamente l’economia etiopica per tutti gli anni Novanta. La chiusura del confine con l’Eritrea ha portato allo spostamento della maggior parte dei traffici dai porti eritrei a quello di Gibuti, che è collegato con la capitale etiopica dalla linea ferroviaria costruita dai francesi in epoca coloniale. All’inizio del 21° secolo, circa l’85% della popolazione etiopica era ancora occupata nel settore agricolo, che costituiva il 47% del pil e l’80% delle esportazioni. Le politiche di liberalizzazione e privatizzazione intraprese dal governo federale non sono riuscite a invertire un trend economico negativo fino al 2004, quando l’economia ha preso a crescere a ritmi elevati, grazie anche al robusto sostegno degli aiuti internazionali. Ciononostante, l’Etiopia resta uno dei paesi più poveri al mondo e il più povero tra gli stati della regione monitorati dall’Indice di povertà multidimensionale.
Tra il 2008 e il 2009 l’economia etiopica ha subito una vera e propria trasformazione strutturale con la fortissima e rapidissima crescita del settore dei servizi, che è arrivato a contare per il 39% del prodotto nazionale, trainando la crescita del settore industriale. L’agricoltura, praticata in gran parte del paese per la semplice auto-sussistenza di piccoli o piccolissimi proprietari terrieri, ha iniziato a mutare in direzione di una produzione maggiormente orientata ai prodotti d’esportazione (caffè, cereali e khat).
L’economia etiopica ha una capacità attrattiva relativamente più elevata degli altri paesi del Corno d’Africa, ma sconta una fortissima concorrenza da parte del Kenya. Il sistema paese rimane fortemente dipendente dagli aiuti esteri e a rischio di una forte deriva inflazionistica. Nonostante gli investimenti effettuati, le infrastrutture rimangono molto limitate e le potenzialità idroelettriche sono sotto-sfruttate, determinando una conseguente dipendenza dall’importazione di idrocarburi per l’approvvigionamento energetico. L’erosione del suolo e la cronica scarsità d’acqua sono alla base dell’insicurezza alimentare che interessa ancora diverse parti del paese.
Con i suoi 200.000 effettivi l’esercito etiopico è uno dei più grandi dell’intero continente. Durante la guerra con l’Eritrea l’esercito è arrivato a contare 350.000 soldati, poi in gran parte smobilitati, anche se la tensione lungo il confine conteso tra i due paesi rimane alta. La situazione generale della sicurezza nel territorio è compromessa in diverse zone del paese dove sono attive forze anti-governative. La situazione è particolarmente critica nella regione dei Somali, dove opera il movimento armato dell’Ogaden National Liberation Front (Onlf), e in Oromia, territorio d’azione dell’Oromo Liberation Front (Olf).