ETIOPIA
(gr. Αἰθιοπία; lat. Aethiopia; etiopico Ityopyā)
Stato dell'Africa orientale confinante a E con Gibuti e la Somalia, a S con il Kenya, a O con il Sudan e a N con l'Eritrea, indipendente dal 1993. L'entità politico-amministrativa attuale è il risultato della progressiva espansione di uno stato cristiano dalle regioni settentrionali dell'altopiano tigrino (Tigrè ed Eritrea) verso S, a opera di popolazioni di lingua semitica (Tigrini e Amhara). Tale processo era iniziato con l'emergere di uno stato di tipo sudarabico (regno del Daamat) nel Tigrè occidentale e nell'Eritrea centrale intorno alla metà del primo millennio avanti Cristo e si accentuò con lo sviluppo del regno di Aksum, il cui territorio si estendeva su tutto l'altopiano tigrino nel primo millennio dopo Cristo. Nella prima metà del secondo millennio il centro dello stato si spostò a S, nell'Uollo, durante il regno della dinastia zāguē (ca. 1150-1270) e successivamente nello Scioa settentrionale con l'avvento del più antico regno salomonide (ca. 1270-1527).Evento cruciale nella storia dell'E. fu l'introduzione del cristianesimo quale religione ufficiale del regno di Aksum agli inizi del 4° secolo. Ciò diede origine allo sviluppo della civiltà etiopico-semitica cristiana, che tuttora costituisce una delle maggiori componenti culturali della regione.Il nome di E. ha origini molto antiche ed era già usato dagli autori classici, fin dai tempi di Omero (Il., I, v. 423; XXIII, v. 206; Od., I, v. 22; IV, v. 84; V, vv. 282, 287), per indicare le regioni a S dell'Egitto abitate da genti di pelle scura. Inizialmente però con esso veniva indicata soprattutto la Nubia, ossia il tratto della valle del Nilo a S della cateratta di Assuan. Tale nome venne adottato per indicare la nazione moderna soltanto dopo la seconda guerra mondiale. Il nome tradizionale degli altopiani settentrionali e centrali abitati dalle popolazioni tigrine e amhara era Abissinia, derivato da quello degli Ḥabashāt, una tribù di possibile origine sudarabica che diede vita al regno di Aksum.La storia culturale dell'E. è stata fortemente influenzata dalla sua posizione geografica all'incrocio tra Africa e Asia e tra mare Mediterraneo e oceano Indiano. Ciò ha favorito la penetrazione sull'acrocoro etiopico-somalo di influssi culturali diversi, provenienti di volta in volta dalla valle del Nilo, dall'Arabia meridionale, dal Vicino e Medio Oriente, dal Mediterraneo e dall'Africa orientale. Tali influssi si sono innestati su tradizioni locali che hanno mantenuto costantemente la loro vitalità, generando culture composite e al tempo stesso originali. In particolare l'inclusione fin da epoca molto antica dell'altopiano tigrino nel circuito commerciale che collegava il Mediterraneo all'oceano Indiano e - dopo l'introduzione del cristianesimo - il legame tra la Chiesa etiopica e il patriarcato di Alessandria favorirono i contatti con le regioni mediterranee, al punto che per molti aspetti la civiltà etiopico-semitica cristiana può essere considerata l'estremo lembo meridionale di quella mediterranea.Cronologicamente il c.d. Medioevo etiopico si colloca tra il declino del regno di Aksum nei secc. 8°-9° e l'arrivo della prima ambasceria portoghese alla corte del re Lebna Dengel nel 1520. Si tratta di un periodo in gran parte oscuro per la sostanziale mancanza di fonti anteriori al 14° secolo. Anche la documentazione archeologica è carente, in quanto finora le indagini si sono concentrate soprattutto sui resti più antichi, di età preaksumita e aksumita (primo millennio a.C.primo millennio d.C.).Se si eccettuano alcune descrizioni di autori arabi (al-Ya῾qūbī nel sec. 9°, Ibn Ḥawqal nel sec. 10°; Vantini, 1975) e sporadiche notizie nella storia dei patriarchi di Alessandria, compilata intorno al Mille dal vescovo Severo di Ashmūnayn, le vicende di questo periodo sono note soltanto da fonti tradizionali etiopiche: le vite dei santi e, dal sec. 14°, le cronache dei primi re della dinastia salomonide. In questi secoli l'altopiano etiopico rimase di fatto isolato dal mondo mediterraneo, anche se notizie su un regno cristiano meridionale, circondato dai musulmani, giunsero in Occidente, dando origine ai racconti sul favoloso prete Gianni delle Indie.In base ai dati disponibili la storia dell'E. medievale può essere suddivisa in tre fasi: il periodo postaksumita (secc. 8°/9°-12°), il periodo zāguē (ca. 1150-1270) e il periodo salomonide iniziale (ca. 1270-1527).Il periodo postaksumita è praticamente ignoto. Al-Ya῾qūbī attesta che alla fine del sec. 9° un regno cristiano era localizzato sull'altopiano tigrino con capitale a Ku῾bar, sito finora non identificato (Vantini, 1975). L'estensione di questo regno è ignota e non è escluso che esso potesse corrispondere a quello di Aksum nella fase finale della sua storia.Nei secc. 12°-13° il centro politico si spostò verso S e un nuovo regno emerse nell'Uollo sotto la dinastia zāguē di origine cuscita. La capitale era localizzata a Roḥa, nel Lasta (Uollo). In questo periodo il regno cristiano sembra essersi esteso lungo il versante orientale dell'altopiano etiopico dall'Eritrea centrale allo Scioa centrosettentrionale.Alla fine del sec. 13° i re zāguē vennero sostituiti da sovrani amhara, originari dello Scioa settentrionale, che fondarono la dinastia salomonide. Nei secc. 14°-15° il regno salomonide includeva tutto l'altopiano, dall'Eritrea settentrionale all'E. centromeridionale.Per arte medievale etiopica si intende la produzione monumentale e artistica delle popolazioni etiopico-semitiche cristiane tra l'8°-9° e il 15° secolo. Tale produzione è attestata soprattutto da chiese rupestri, che testimoniano la progressiva espansione del cristianesimo dal Tigrè verso lo Scioa.Pochissimi sono i resti di edifici di età medievale. Secondo la tradizione, ciò sarebbe dovuto alle distruzioni compiute agli inizi del sec. 16° da invasori musulmani provenienti dall'E. orientale sotto la guida di Aḥmed ibn Ibrāhim, detto il Gragn ('il Mancino').Resti di quindici chiese in muratura, databili tra i secc. 10°-11° e 15°-16°, sono stati segnalati sull'altopiano tigrino e nel Lasta, ad Asmara, Dera, Aramo, Baraknaha, Ham (Dèbra Libanòs), Guna Guniè, Gunda Gundiè, Dèbra Dammò, Zarema, Yeha, Makina Ledata Maryam e Makina Madhanè 'Alam, Imrehanna Krestos, Jammadu, Argobo Tcherqos. Di queste la più nota è la chiesa dell'Abuna Argawi a Dèbra Dammò, uno dei pochissimi edifici altomedievali conservatisi quasi completamente.Purtroppo solo un piccolo numero di queste chiese è stato visitato e descritto anche all'interno. In genere esse presentano una pianta di tipo basilicale con vestibolo, tre navate e santuario con abside rettangolare. L'ingresso del santuario è spesso preceduto da un arco trionfale, mentre l'abside è sempre coperta da una volta costruita con un'armatura lignea. La navata centrale è di solito più alta di quelle laterali ed è separata da queste da pilastri lignei ad angoli smussati che sorreggevano delle mensole su cui poggiavano gli archi. Spesso lungo le navate, tra il colmo degli archi e il soffitto, si sviluppa un fregio di metope quadrate 'a teste di scimmia' di sicura tradizione aksumita.Dal modello generale si discostano soltanto le chiese di Jammadu e di Zarema; quest'ultima presenta una pianta basilicale a tre navate con abside semicircolare, affiancata da due ambienti e con due corpi aggettanti esterni all'altezza della terza campata. Non si può escludere l'esistenza in origine di una controabside sul lato occidentale. La chiesa di Jammadu ha pianta quadrata a tre navate, con atrio e abside rettangolari posti sul prolungamento della navata centrale e aggettanti rispetto al corpo dell'edificio.Le chiese rupestri sono l'espressione più caratteristica e spettacolare dell'architettura medievale etiopica e sono state segnalate in numerose località dell'E., dall'Eritrea al-Bale e al-Caffa. Quelle più antiche sembrano concentrarsi nel Tigrè, soprattutto nel massiccio del Gheraltà e nel Lasta, a Lalibela. Il complesso più imponente è localizzato appunto a Lalibela, presso Roḥa, l'antica capitale dei re zāguē. Qui sono visibili dodici tra chiese e cappelle, che formano due gruppi separati da un torrente; il primo gruppo comprende le chiese di Beta Madhanè ῾Alam, Beta Masal, Beta Maryam, Beta Dabra Sina, Beta Golgota e la cappella della Trinità (Sellase). Il secondo gruppo comprende le chiese di Beta Amanuel, Beta Abba Libanòs, Beta Marcorewos, Beta Gabra el Rufa el e Beta Lehem. A esse va aggiunta Beta Giyorgis, che rimane separata dalle altre.Nel loro insieme le chiese rupestri possono essere suddivise in quattro tipi principali: chiese ipogee, interamente scavate nelle pareti rocciose di una montagna; chiese monolitiche, sagomate in un unico blocco roccioso isolato dal resto della montagna mediante profonde trincee e scolpito internamente ed esternamente in modo da riprodurre fedelmente tutte le strutture e decorazioni di una chiesa; chiese semimonolitiche, in parte sagomate in un blocco di roccia, come le precedenti, e in parte scavate nella parete; chiese semirupestri, in parte costruite in muratura e in parte scavate nella parete rocciosa.Per lo più scavate in pareti rocciose di difficile accesso, le chiese rupestri in genere riproducono, adattandola alle esigenze dei singoli casi, l'architettura di edifici a pianta basilicale, con atrio affiancato da due vani, vestibolo, aula a tre navate e santuario con abside rettangolare o rotonda e due vani laterali. Solo la chiesa monolitica di Beta Madhanè ῾Alam (Salvatore del Mondo) a Lalibela presenta un'aula a cinque navate e riproduce molto probabilmente quella aksumita di Maryam Sion ad Aksum, di cui oggi non restano che poche tracce delle fondamenta.Da questo schema si discosta il piccolo gruppo delle c.d. chiese a valle del Tigrè, scavate in collinette rocciose poste al centro di aree pianeggianti. Gli ipogei di Degum, Hauzien e Berakit presentano infatti un primo vestibolo, più largo che profondo, da cui si accedeva a una sala rettangolare con pilastri addossati alle pareti, seguita da un terzo vano - rettangolare a Degum, semicircolare a Berakit - che dava accesso a due o più locali laterali; l'entrata di questi monumenti era dissimulata da un atrio semirupestre. I semimonoliti di Abreha e Asbeha e di Tcherqos Weqro presentano invece una pianta a croce greca inscritta in un quadrato. Infine la chiesa monolitica di Beta Giyorgis a Lalibela presenta una pianta cruciforme.Le chiese rupestri riproducono tutte le strutture di quelle in muratura; i pilastri sono in genere a sezione quadrata o cruciforme, con capitelli cubici o a mensola. Le porte riproducono quelle 'a teste di scimmia' di età aksumita; le finestre, talvolta anch'esse dalla tipica forma 'a teste di scimmia', presentano transenne elaborate con croci, svastiche, archi a tutto sesto o a fiamma su mensola. I soffitti sono a cassettoni con riquadri incrociati. I fregi lungo le navate sono a metope quadrate con teste di scimmia.La datazione delle chiese medievali etiopiche è incerta, tuttavia le tradizioni locali e le caratteristiche stilistiche dei singoli monumenti permettono di tracciare approssimativamente la loro sequenza cronologica.Le tradizioni locali, seppure non probanti, attribuiscono la fondazione di queste chiese a sovrani e santi vissuti tra il sec. 6° e il 15°, in particolare ai re della dinastia zāguē. Va notato tuttavia che le chiese attribuite ai personaggi più antichi presentano caratteristiche di diretta derivazione aksumita e potrebbero perciò effettivamente risalire a epoca più antica. In particolare le tradizioni concordano nell'attribuire ai re zāguē il complesso di chiese rupestri di Lalibela.In base a criteri stilistici è possibile distinguere tre gruppi principali di chiese in muratura: quelle con evidenti elementi strutturali e decorativi di diretta derivazione aksumita, che potrebbero risalire ai secc. 8°-11° (Asmara, Dera, Ham, Guna Guniè, Dèbra Dammò, Zarema); quelle in cui gli elementi aksumiti sono ridotti a semplici motivi ornamentali e che presentano somiglianze con quelle rupestri di Lalibela, databili presumibilmente ai secc. 12°-13° (Aramo, Imrehanna Krestos, Makina Madhanè ῾Alam); quelle prive di evidenti elementi aksumiti e databili ai secc. 14°-16° (Yeha, Gunda Gundiè, Jammadu).A loro volta le chiese rupestri sono state suddivise da Buxton (1970) in cinque gruppi: basiliche arcaiche, caratterizzate da numerosi elementi di tipo aksumita, datate ai secc. 10°-11°; chiese a pianta cruciforme inscritta in un quadrato, databili ai secc. 11°-12°; basiliche classiche, comprendenti alcune chiese rupestri di Lalibela, databili ai secc. 12°-13°; basiliche tigrine arcaiche, databili ai secc. 13°-14°; basiliche tigrine tarde, databili al 14° e 15° secolo. Gli ultimi due gruppi comprenderebbero la maggior parte delle chiese rupestri segnalate nel Tigrè; esse sarebbero caratterizzate dal progressivo inaridirsi della tradizione architettonica aksumita e da un numero sempre maggiore di volte.Poche sono le testimonianze di arte figurativa medievale pervenute. I documenti apparentemente più antichi sono alcuni pannelli lignei che decoravano i cassettoni del soffitto della vecchia chiesa di Asmara, oggi distrutta, e della chiesa di Dèbra Dammò, databili ai secc. 8°-11°; i motivi decorativi comprendono figure geometriche, croci, figure di animali e figure umane (un santo cavaliere) e presentano chiari influssi copti e siriaco-bizantini.Vanno inoltre ricordate alcune pitture murali e su manoscritti anteriori al 14° secolo. Le pitture più antiche tra quelle finora note ornano due evangeliari del monastero di Abba Garima, databili ai secc. 10°-12°; più numerose sono invece le testimonianze figurative riferibili al 14°-15° secolo.In linea generale l'arte figurativa etiopica è sempre a carattere religioso, dominata da fissità ieratica e semplicità di temi. Va notata la completa assenza di sculture a tutto tondo, secondo la tradizione cristiana orientale cui la Chiesa ortodossa etiopica appartiene; anche le rarissime rappresentazioni di santi in bassorilievo, segnalate a Lalibela, si staccano appena dalla parete di roccia e molto probabilmente in origine erano dipinte.Nel suo insieme la pittura etiopica medievale si ricollega chiaramente a quella bizantina, soprattutto siriaca e in parte nubiana, sia per lo stile figurativo sia per i temi trattati. Essa tuttavia presenta caratteri originali che la distinguono nettamente da quella delle altre regioni dell'Oriente cristiano, ravvisabili nelle caratteristiche etniche dei volti, nelle lunghe mani affusolate e nei grandi occhi incavati. Questi ultimi in particolare costituiscono un elemento tipico di tutta l'arte etiopica dalle origini a oggi e appaiono già su statue di epoca preaksumita (ca. metà del primo millennio a.C.).Non è escluso che, come l'architettura, anche la pittura medievale sia ricollegabile a modelli introdotti in età aksumita: è infatti noto da fonti arabe che nel sec. 7° la chiesa di Maryam Sion ad Aksum era decorata con affreschi di cui non è però rimasta alcuna traccia.
Bibl.: C. Conti Rossini, Storia d'Etiopia, Milano 1928; L. Bianchi Barriviera, Le chiese in roccia di Lalibela e di altri luoghi del Lasta, Rassegna di studi etiopici 19, 1963, pp. 5-118; J. Leroy, La pittura etiopica durante il Medioevo e sotto la dinastia di Gondar, Milano 1964; G. Gerster, Kirchen im Fels, Stuttgart 1968 (trad. it. L'arte etiopica. Chiese nella roccia, Settimo Milanese 1970); D.R. Buxton, The Abyssinians, London 1970; T. Tamrat, Church and State in Ethiopia 1270-1527, Oxford 1972; J. Leroy, L'Ethiopie. Archéologie et culture, Paris 1973; G. Vantini, Oriental Sources Concerning Nubia, Heidelberg 1975; S. Chojnacki, Major Themes in Ethiopian Paintings, Wiesbaden 1983.R. Fattovich