(o malinconia) Stato psichico caratterizzato da un’alterazione patologica del tono dell’umore, con un’immotivata tristezza, talora accompagnata da ansia, e con inibizione di tutta la vita intellettuale.
Il termine greco μελαγχολία si ritrova per la prima volta nel Corpus Hippocraticum (5° sec. a.C.). Più tardiva è l’unione del termine μελαγχολικός con il termine δυσϕορία a indicare genericamente gli stati d’animo di tristezza e di abbattimento, stati che – secondo la dottrina umorale ippocratica – sono in rapporto con le alterazioni e i movimenti dell’atrabile nel corpo. Il pensiero psicopatologico più sistematico sulla m. e sui suoi rapporti con altri quadri psichici è quello di Areteo di Cappadocia, che descrive la tristezza, il rallentamento, lo scoraggiamento, la perdita del tono vitale, il senso di vuoto e la tendenza al suicidio. Areteo riconosce il rapporto, sia pure parziale, della m. con la mania, i passaggi dall’uno all’altro stato e il loro decorso periodico. La distinzione della m. dalle ‘freniti’, cioè dai disturbi psichici febbrili, si ritrova per la prima volta in Sorano di Efeso (intorno al 100 d.C.), mentre Galeno sviluppa soprattutto i concetti patogenetici della m. in rapporto allo stomaco e all’ipocondrio. Nel Medioevo la m. viene vista come acedia (accidia) in contrasto polare con la vita activa. Nella psichiatria francese dell’inizio del 19° sec. si parla di lipemania: J.-P. Falret è il primo a parlare di ‘folie circulaire’ (1851), mentre J.-G.-F. Baillarger di ‘folie à double forme’ (1854). Si deve a E. Kreepelin (1883) la prima sistematizzazione della m. sia come forma semplice sia come psicosi periodica circolare (psicosi maniaco-depressiva) e la sua netta distinzione dalle altre malattie mentali. Le prime concezioni di Freud sulla genesi della m. risalgono al 1916.
Dal 20° sec. il concetto di m. è usato in modo del tutto sovrapponibile a quello di depressione endogena (➔ depressione).