Narrare con la penna
In tutti i tempi e in tutti i paesi del mondo gli uomini hanno sentito il bisogno di raccontare e ascoltare storie. Nei tempi antichi le storie passavano di bocca in bocca bussando alle orecchie della gente. Poi le vecchie storie che vagavano sulla Terra si sono fermate dentro i libri e da lì continuano a incantare grandi e piccoli.
Le prime storie sono state inventate dai poeti per raccontare quello che gli uomini sapevano degli dei e degli eroi, dei miti e delle leggende del loro paese. Queste storie lunghe e bellissime sono state poi raccolte e scritte da altri poeti: si chiamano poemi epici e sono molto importanti per conoscere l'origine e lo sviluppo della civiltà dei popoli della Terra.
A poco a poco sono nate altre storie che non avevano niente a che fare con personaggi importanti, guerre e religioni. Si svolgevano in un mondo inventato, popolato di fate e streghe, maghi e bambini, animali parlanti. Queste storie sono le fiabe.
Poi i narratori e i poeti hanno impugnato la penna e si sono messi a scrivere altre storie ancora. La narrazione fluiva dalle loro pagine e il ristretto pubblico degli ascoltatori si è trasformato nel più vasto pubblico dei lettori.
Saper raccontare storie è un'arte antica e anche un mestiere, una forma di lavoro per guadagnarsi da vivere. È un lavoro difficile che richiede fantasia, immaginazione, ma anche conoscenza del mondo e degli uomini e soprattutto la capacità di trasmettere agli altri esperienze e sentimenti. Come gli antichi cantastorie, poeti e narratori creano storie che rallegrano, commuovono, fanno viaggiare nel tempo e nello spazio.
Da quando sono nate, le storie hanno trovato due forme di espressione: la poesia e la prosa. Le narrazioni in versi possono essere di tanti tipi, brevissime come le filastrocche o lunghissime come i poemi. Anche la prosa è fatta di narrazioni brevi, i racconti, oppure di narrazioni lunghe anche più di mille pagine, i romanzi, che sviluppano le storie di tanti personaggi e descrivono l'ambiente in cui i personaggi si muovono.
Esistono tanti tipi di storie, per tutti i gusti e per tutte le necessità. Questi diversi tipi costituiscono i generi letterari: il genere mitologico, il genere storico, il fantastico, l'avventuroso, il tragico, il comico e così via. I generi sono tanti, più o meno quanti sono i desideri, le curiosità e le sofferenze degli esseri umani di ogni età e paese.
è un grande e lungo viaggio quello della scoperta dei generi letterari, per capire come si sono sviluppati nel tempo e nelle varie civiltà, come si sono più recentemente mescolati e intrec ciati, tanto che sembra sempre più difficile stabilire a quale genere appartengano le storie del nostro tempo. Qui vi potremo fare solo una rapida incursione, partendo dal genere più caro e più noto: la fiaba.
Se vogliamo sapere com'è fatto il mondo possiamo rivolgerci a uno scienziato, a un fisico o a uno storico. Ma se vogliamo afferrare il senso delle cose percepite è al poeta che dobbiamo rivolgerci. Sotto il lavoro di lima e di rima c'è sempre una verità da scoprire: la musica delle parole, come nei versi di Toti Scialoja:
"Nelle grotte di Malacca
vive un'oca anacoreta,
esce all'alba a far la cacca,
la fa secca come creta".
"Son quattro le gatte che lappano al patto
di metter le patte nel piatto del latte".
"Un pollo su un pullman
in viaggio per Baden
avvolto in un loden
si sente nell'Eden: sua moglie, col rimmel,
gli fuma le Camel".
"C'era una volta": così cominciano le storie fantastiche che fanno scoprire il mondo ai bambini mentre sono ancora al sicuro tra le braccia della mamma. Orchi, maghi e fate spaventano e rassicurano. E gli animali parlanti riescono a dare belle lezioni anche ai grandi!
Le fiabe hanno vagato a lungo sulla Terra prima di fermarsi sulle pagine dei libri. Giravano nelle piazze della città, nelle campagne e nei saloni dei re, raccontate in tante lingue diverse. Un gran numero di persone si radunava per ascoltarle perché allora non c'erano cinema, né televisione, né videocassette e quei racconti avventurosi erano una bella distrazione. Poi i poeti hanno cominciato a fermare sulla carta quelle storie vagabonde: le fiabe di tutto il mondo si sono incontrate nei libri e si è scoperto che si somigliavano molto, proprio come si somigliano i bambini di ogni tempo e paese.
Le fiabe popolari tedesche sono diventate patrimonio di tutti da quando, nel 19° secolo, i fratelli Jacob e Wilhelm Grimm le hanno raccolte nel libro Fiabe per bambini e famiglie. Più o meno in quel tempo il poeta danese Hans Christian Andersen pubblicava le sue Fiabe narrate ai bambini e la storia della dolce Sirenetta usciva dal mare dov'era nata per attraversare paesi e continenti. In Italia, è stato lo scrittore Italo Calvino a raccogliere le fiabe più importanti della nostra ricchissima tradizione.
Le fiabe sanno come prenderti e trascinarti con sé. Proprio come il Pifferaio di Hamelin, uscito dalla penna del poeta inglese Robert Browning: è il ragazzo che incanta prima i topi e poi i bambini col suo flauto. Anche noi, come i topi, finiamo in trappola: chiediamo: "E poi? E poi?…". E poi voltiamo le pagine, rapiti dalla storia. La storia di Pollicino, per esempio, una delle fiabe più famose di Charles Perrault. I genitori di Pollicino erano molto poveri e non avevano nulla da mangiare; una sera decisero di abbandonare i figli nel bosco. Pollicino, che aveva origliato i loro discorsi, lasciò dietro di sé una scia di sassi e per due volte lui e i suoi fratelli ritrovarono la strada di casa. Ma la terza volta, per segnare il sentiero Pollicino seminò briciole di pane; al momento di tornare indietro non le vide più. Le avevano mangiate gli uccelli.
Storie, favole, fiabe. Nelle fiabe chi è povero diventa ricco, chi è piccolo diventa grande. Tutto è possibile nel mondo del "c'era una volta", e tutto è credibile perché in quelle storie fantastiche si rispecchiano i nostri stessi desideri e sentimenti. La fiaba sospende tutte le leggi, tranne la logica, e arriva alla sua naturale conclusione lasciando a noi il compito di ricavare una 'morale'.
La favola, invece, contiene una morale chiara, esplicita, tramanda una sapienza antica, come fanno i proverbi. Nelle favole non ci sono esseri umani ma animali e piante che parlano e si comportano proprio come gli uomini, mettendo in mostra tutti i loro difetti e le loro virtù.
Fiabe o favole che siano, le storie invitano sempre a pensare con la propria testa: dicono che la vita è difficile, il mondo ostile, e che per sopravvivere bisogna essere scaltri e coraggiosi. Infatti, dopo aver attraversato con coraggio il bosco buio, Pollicino e i suoi fratelli vissero felici e contenti.
L'uomo fa parlare gli animali perché gli animali raccontino l'uomo. Gli animali parlanti sono una caricatura dell'uomo: ne scimmiottano i difetti, i vizi, le pose, per strappare un sorriso e una riflessione. La volpe e l'uva, il lupo e l'agnello: tramite gli animali, fin dall'antichità il greco Esopo e il latino Fedro insegnano la morale della favola. Nei secoli, ecco gli animali animare le Favole in versi di Jean de La Fontaine, Il libro della giungla di Rudyard Kipling, le Favole moderne di Trilussa, poeta che scrive nel vivace dialetto romanesco.
Molte storie raccontano di bambini che diventano grandi. Non sono fiabe ma romanzi di scrittori che hanno rappresentato il mondo attraverso occhi infantili di bambini ribelli, sfortunati, timidi, avventurosi, i quali, scoprendo le leggi della vita, formano il proprio carattere.
Il mondo di Charles Dickens è la città di Londra del 19° secolo, con le sue grandezze e le sue miserie, le sue nebbie e il suo fiume, il Tamigi. Dickens visse un'infanzia dolorosa (il padre finì in prigione per debiti) e prima di scrivere libri lavorò in una fabbrica di lucido da scarpe. Oliver Twist narra di un bambino allevato in un orfanotrofio e poi costretto a rubare per le strade di Londra. David Copperfield è la storia di un orfano di padre e poi anche di madre, mandato a lavorare sulle rive del Tamigi. Sono storie di bambini abbandonati o sfruttati dai grandi, piccoli uomini che si piegano al Male ma non spezzano il filo della speranza e dell'orgoglio. Quando fu dichiarato illegale lo sfruttamento dei bambini nelle fabbriche, il Parlamento inglese riconobbe il contributo dato a questa battaglia civile dall'"illustre scrittore Charles Dickens".
L'americano Samuel Langhorne Clemens lasciò la scuola a 12 anni e si arrangiò facendo il pilota su un battello a vapore del Mississippi: da qui il suo nome d'arte, Mark Twain, che significa "segna due!" (due braccia), grido dei battellieri che misuravano la profondità del fiume. Twain scrisse le avventure di Tom Sawyer, storia di un ragazzino senza genitori che marina la scuola e si caccia in mille guai con gli amici Finn e Harper. Il personaggio di Finn torna in un altro romanzo di Twain, Huckleberry Finn (scritto nel 1885): l'orfano Huck, insieme al nero fuggiasco Jim, naviga con una zattera sul Mississippi per scampare alle famiglie che "hanno la mania di adottarlo". Tom e Huck sono ragazzi ribelli, che sfidano la cattiva sorte con un fare sfrontato, insofferenti delle regole dei grandi, pronti al rischio, al sorriso, alla beffa.
È il 7 luglio 1881. In Italia esce il primo numero del Giornale per i bambini; tra le storie che appaiono sul giornale c'è La storia di un burattino. L'autore è Carlo Lorenzini, in arte Collodi, dal nome del paese di cui era originaria la madre. Il burattino si chiama Pinocchio, è fatto di legno ma piange e ride come un bambino. Le avventure di Pinocchio escono in volume nel 1883; da allora il burattino di legno e i suoi compagni hanno conquistato il mondo. Qualche decennio più tardi il fiorentino Luigi Bertelli, noto con lo pseudonimo di Vamba (dal nome del buffone di Ivanhoe, romanzo di Walter Scott), pubblica Il giornalino di Gian Burrasca. Giannino Stoppani è il nome del buffo protagonista, soprannominato Gian Burrasca perché è un vero ciclone e ne combina di tutti i colori.
Nel 12° secolo Chrétien de Troyes scrive di un ragazzo che si forma alla cavalleria, all'amore, alla religione. Il ragazzo, allevato fuori dal mondo per tenerlo lontano dai pericoli, abbandona la madre per unirsi ai cavalieri della corte di Artù. Passando per avventure fantastiche e incantesimi il ragazzo si mette alla ricerca del Sacro Gral, il mitico calice usato da Gesù nell'ultima cena e che conteneva il suo sangue. È un grande viaggio alla ricerca anche di sé stesso: all'inizio il ragazzo non ha nome; poi, come per incanto, lo ricorda: è Perceval, che diventerà poi il Parsifal delle narrazioni epiche tedesche.
Spesso gli scrittori si scelgono pseudonimi - nomi finti, nomi d'arte - che dicono qualcosa della loro vita o che, al contrario, nascondono la loro vera identità. Oltre a Vamba e a Mark Twain, molti altri scrittori fecero uso di pseudonimi: Joseph Conrad si chiamava in realtà Teodor Józef Konrad Korzeniowski, nome impraticabile per uno scrittore che parlava e scriveva in inglese! Molte scrittrici, in passato, firmavano le loro opere con un nome maschile, perché le donne erano spesso emarginate dai circoli letterari e temevano di non essere lette.
Da sempre, due grandi forze danno vita alle storie dei grandi: l'amore e la guerra. Due sono le forze, tre sono i poeti che alle storie dei grandi, in epoche e lingue diverse, hanno dato voce immortale: Omero, Dante, Shakespeare.
Il greco Omero è considerato il padre di tutti i poeti, il cantore di tutte le passioni, da più di tremila anni. Omero è il padre dell'epica, la poesia che celebra imprese eroiche. Di lui si sa poco, e quel poco è avvolto da leggenda: ma i suoi poemi sono sopravvissuti alla morte della lingua in cui sono stati scritti, il greco antico. Per amore si fa la guerra: l'Iliade è il poema di Ilio, antico nome della città di Troia, assediata dai Greci per vendicare il rapimento di Elena, la bellissima moglie di Menelao. Eroi greci e troiani si scontrano in duelli sanguinosi, esultano per la morte dei nemici, piangono gli amici caduti. Le loro gesta e il loro destino sono guidati dagli dei che parteggiano per gli uni o per gli altri. L'Odissea è il poema di Odisseo, nome greco di Ulisse, lo scaltro re di Itaca che ha combattuto a Troia; è il poema del suo lungo e contrastato ritorno a casa disseminato di avventure e pericoli: tempeste e naufragi, sirene malefiche, la sfida al gigante Polifemo. Ulisse lotta con l'arma del suo ingegno, avversato da Poseidone (padre di Polifemo), ma protetto da Atena.
"Nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai per una selva oscura, / ché la diritta via era smarrita". Sono i versi con cui si apre La Divina Commedia, il lungo viaggio di Dante al di là del mondo e della morte. Dante Alighieri è il poeta che, all'inizio del 14° secolo, scrive per amore di Beatrice e per amore di Dio, "l'amor che move il sole e l'altre stelle". Guidato prima dal poeta latino Virgilio, poi da Beatrice e sempre dalla fede, Dante visita i tre regni dell'oltretomba: Inferno, Purgatorio, Paradiso. Una Commedia affollata di grandi personaggi, visioni infernali e celesti, suoni, odori; una poesia che si conclude e si raccorda, per ognuno dei tre regni e delle tre cantiche, con la parola "stelle".
È così che William Shakespeare presenta Romeo e Giulietta, giovanissimi innamorati, sullo sfondo sanguinoso della lotta fra due famiglie rivali. Genio del teatro e della lingua inglese, Shakespeare ha scritto, tra il 16° e il 17° secolo, commedie ricchissime di trovate e personaggi fantasiosi (La bisbetica domata, Sogno di una notte di mezz'estate, Il mercante di Venezia, Molto rumore per nulla, Come vi piace) e cupe tragedie di gelosia, vendetta, ambizione, ingratitudine (Otello, Amleto, Macbeth, Re Lear), che per la vivezza della rappresentazione, la forza del pensiero e la squisita bellezza dei versi continuano a essere rappresentate sulle scene di tutto il mondo. Shakespeare racconta in una dimensione umana e terrena ciò che Dante canta in una prospettiva religiosa e divina. Se Dante è l'emblema dell'uomo medievale, Shakespeare 'inventa' l'uomo moderno, dilaniato dal dubbio, ferito dalla passione.
Si racconta che dall'amore tra Zeus (v. Giove), padre degli dei e degli uomini, e Maia, la figlia di Atlante, il gigante che reggeva il mondo sulle spalle, sia nato un bambino turbolento di nome Ermes (che i Romani chiameranno Mercurio). Appena nato, Ermes già sapeva camminare: scappò fuori dalla grotta dove Maia aveva partorito e vide nell'erba una tartaruga. L'afferrò, la mise a zampe all'aria e le tolse il guscio. Poi prese sette corde di budello e le tese sul guscio, ottenendo così uno dei più antichi strumenti a corda: la lira. Ermes è considerato l'inventore della poesia: è il dio protettore dei poeti e dei viandanti, ma… anche dei ladri.
Profondo e scuro come la notte, il mare è il luogo del pericolo, della scelta. Le avventure per mare sono, prima di tutto, un viaggio alla scoperta del proprio destino. In molti grandi romanzi il viaggio stesso è la vera condizione dell'uomo.
A un giovane ufficiale viene affidato il comando di un veliero, ma una bonaccia e un'epidemia mettono a rischio la navigazione: attraversando il mare, il capitano oltrepassa contemporaneamente il confine invisibile che separa l'adolescenza dalla maturità. È questa La linea d'ombra (1917) di cui scrive Joseph Conrad, che ottenne il suo primo comando a trent'anni. L'americano Hermann Melville passò quattro anni della sua giovinezza su navi baleniere e da guerra: il suo romanzo Moby Dick (1851) è la storia di un equipaggio di marinai a caccia della balena bianca, sotto la ferrea guida del capitano Ahab, che ha una gamba d'avorio e il nome di un re maledetto della Bibbia. Sete di vendetta (la balena ha mozzato una gamba al capitano), ma anche sete di conoscenza. Ahab e la balena sono una coppia di nemici inseparabili: il capitano morirà avvinto all'arpione con cui ha colpito Moby Dick, inabissandosi con l'oggetto della sua ossessione. è un romanzo tremendo. "Ho scritto un libro malvagio, e mi sento immacolato come un agnello", annota Melville dopo aver terminato Moby Dick.
Lo scozzese Robert Louis Stevenson affrontò il mare alla ricerca di climi caldi che guarissero la tisi di cui soffriva. Alla fine si stabilì con la moglie in Polinesia, venerato come Tusitala, il "narratore di storie". L'isola del tesoro (1883) racconta del tredicenne Jim Hawkins, che s'imbarca su una nave e ascolta, nascosto in un barile, i piani di un gruppo di pirati. Il capo dei pirati è Long John Silver, l'uomo con una gamba di legno; Pew, il vecchio cieco, consegna un avvertimento di morte a Bill Bones, il pirata sfregiato che ha la mappa del tesoro. I cattivi sono marchiati dalla bruttezza, sfigurati nel corpo e nell'anima.
Sandokan, creato dal veronese Emilio Salgari, è invece un pirata 'buono', sano e forte, ma la passione che lo infiamma è il desiderio di vendetta contro gli Inglesi, che hanno trucidato la sua famiglia; al suo fianco è Yanez, l'amico saggio. Sandokan, soprannominato 'la tigre della Malesia', è impetuoso come Achille; Yanez è scaltro come Ulisse: le grandi figure mitiche della letteratura ritornano sempre.
In un viaggio avventuroso per mare non si sa con certezza in quale terra si sbarcherà. Affrontare il mare è come sfidare l'ignoto. L'inglese Daniel Defoe pubblica Robinson Crusoe (1719), storia di un marinaio che, assistito dal servo Venerdì, sopravvive per 28 anni su un'isola deserta al largo del Venezuela: Robinson deve letteralmente ricostruirsi il destino con le proprie mani. Per quanto sembrino il frutto dell'immaginazione più divertita, mostrano in modo paradossale e amaro le follie dell'umanità I viaggi di Gulliver (1726), capolavoro di Jonathan Swift: dopo il naufragio della sua nave, il medico di bordo Lemuel Gulliver giunge nel paese dei nani, Lilliput, nel paese dei giganti, Brobdingnag, e in altri luoghi abitati da esseri strani e inusuali, ma tutti specchio dei vizi e delle assurdità dell'uomo. Il viaggio con Swift diventa anche un percorso di feroce critica sociale.
Ci sono viaggi che conducono in terre immaginarie: la Terra di Oz, il Paese delle meraviglie, l'Isola che non c'è sono luoghi abitati da esseri stravaganti dove gli eventi seguono regole diverse da quelle del nostro mondo.
Dorothy è una ragazzina che vive nel Kansas con lo zio Enrico e la zia Emma. Il sole nel Kansas è così forte da 'incenerire' tutto e, infatti, tutto appare grigio: la terra, l'intonaco della casa, persino la zia Emma. Un giorno un ciclone trascina via Dorothy e la sua casa, che finisce per atterrare su una malvagia strega: Dorothy, aprendo la porta di casa, scopre di essere nella Terra di Oz, che, all'opposto del Kansas, è una terra piena di colori e popolata da strane creature. Nel suo viaggio per tornare a casa Dorothy si accompagna a un leone, a uno spaventapasseri, a un uomo di latta. Il viaggio è un pretesto per ritrovare quello che ciascuno dei personaggi desidera di più: la casa (Dorothy), il coraggio (il leone), il cervello (lo spaventapasseri) e il cuore (l'omino di latta). Ciascuno scopre di avere già in sé le cose che crede di dover trovare fuori.
È l'americano Lyman Frank Baum a raccontarlo nel suo Il mago di Oz (1900) ⍃⍃, titolo che rimanda al mago che la compagnia va a consultare nella Città degli Smeraldi prima di affrontare il viaggio, perché è l'unico che li può aiutare nella ricerca di ciò che ciascuno di loro desidera di più.
Il Paese delle Meraviglie è, invece, il posto dove Lewis Carroll catapulta il suo educatissimo personaggio, reso incauto dalla sua irresistibile curiosità. Alice Liddell, ne Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie (1865), passa dalla noia della lettura di un libro di storia, fattale dalla sorella, a un mondo popolato da personaggi intenti a bizzarre occupazioni che loro ritengono 'normalissime'. Invano Alice cerca di ricondurli alla logica cui è abituata. Di tutto quello che accade intorno a loro, gli altri sembrano considerare strana solo lei e ne sono a volte incuriositi, a volte allarmati, altre volte seriamente spaventati. Alice è, invece, conquistata dalla loro diversità che, per lei, diviene uno strumento per guardare le cose in modo nuovo e per mettere alla prova tutto quello che le è stato insegnato.
Nel racconto Peter Pan nei giardini di Kensington (1906), scritto dallo scozzese James Matthew Barrie, il protagonista chiede a Wendy, una graziosa bambina di Londra, di seguirlo nell'Isola che non c'è: Wendy parte senza paura con i fratellini Gianni e Michele. L'Isola che non c'è ha una precisa geografia: c'è la laguna delle sirene, c'è la casa sotterranea dei bambini smarriti e così via. A dispetto, però, dell'aria incantevole e dei suoi colori brillanti, l'isola è un luogo triste. È popolata dai bambini smarriti che hanno eletto a loro capo Peter Pan perché sa volare, racconta loro fantastiche storie e perché sembra essere l'unico a non aver bisogno di una mamma. Insidiata dai pirati, capitanati da Capitan Uncino che vuole, a tutti i costi, catturare e uccidere Peter Pan, l'isola è spesso teatro di battaglie tra pirati e bimbi smarriti o tra pirati e indiani. Le acque della laguna, poi, sono infestate da un coccodrillo che ha 'assaggiato' un tempo Capitan Uncino e desidera tanto completare il pasto. I tre fratellini inglesi, pur essendo affascinati da Peter, capiscono presto che il vero paradiso è tornare a casa, crescere e inserirsi nel mondo degli adulti. Per restare nell'Isola che non c'è bisogna avere cuore e occhi da bambino, che si possono possedere solo a costo di una vita condotta sempre e solo nel presente.
Aprire un libro è sempre una magia. Ma alcuni libri parlano di magia dalla prima all'ultima pagina. La magia può avere colori diversi e creare atmosfere diverse. Dalla magia scura del Signore degli anelli, con le sue fantasie nere e la lotta incessante contro le potenze del Male, alla magia solare di Mary Poppins, con il suo allegro bagaglio di sorprese e la sua inesauribile fantasia luminosa.
Per arrivare al numero 17 del Viale dei Ciliegi, chiedete al vigile: vi indicherà la casa della famiglia Banks. È qui che si svolge la vicenda di Mary Poppins, libro scritto nel 1934 dall'australiana Pamela Lyndon Travers. Giovanna, Michele, Barbara e Giovannino Banks, per non parlare dei loro genitori, cercano una bambinaia. Una sera, si presenta Mary Poppins. Ha con sé una valigia fatta di tappeto da cui tira fuori un po' di tutto: una bottiglietta di sciroppo, che cambia sapore a seconda di chi lo beve, un letto da campo pieghevole, completo di coperte, e tante altre cose. La nuova bambinaia è inflessibile, ma anche imprevedibile: con lei si può fare una gita dentro un quadro, oppure bere il tè stando in volo. Quella di Mary Poppins è la magia di chi usa il proprio potere per rendere gli altri più attenti a quello che li circonda e, nello stesso tempo, più felici. Quando cambia il vento Mary Poppins se ne va: apre l'ombrello, anche se non piove, e il vento la solleva, con la sua valigia, sopra i tetti del Viale dei Ciliegi.
Alti poco più di un metro, "dolci come il miele e resistenti come le radici di alberi secolari": sono i protagonisti di Lo Hobbit, pubblicato nel 1937 dall'inglese John Ronald Reuel Tolkien. Nel 1949 Tolkien termina la trilogia de Il Signore degli anelli. L'opera comincia nella verde Contea degli Hobbit della Terra di mezzo. C'è grande attesa per il centoundicesimo compleanno dello Hobbit Bilbo Baggings; la sera della festa Bilbo sparisce lasciando al cugino Frodo tutti i suoi beni, tra cui un anello magico. È l'anello della forza assoluta, della tenebra, forgiato da Sauron, signore di Mordor. L'anello ha un potere straordinario, quello di scatenare il desiderio di chi ne viene a contatto e di renderlo capace, pur di impadronirsene, di qualsiasi azione malvagia. Colui che lo possiede sarà padrone del mondo. Le forze del male sono alla ricerca dell'anello: se riusciranno a prenderlo, tutte le creature viventi diventeranno loro schiave. Frodo e alcuni compagni si mettono in viaggio verso Mordor per gettare l'anello nel fuoco dell'abisso: formano La compagnia dell'anello, che dà il titolo al primo libro della trilogia. Nelle altre due parti, Le due torri e Il ritorno del re, si incontrano gli spettri dell'anello, alberi che camminano, eserciti spaventosi. Le oltre mille pagine del libro svelano segreti terribili, ma, nonostante tutto, alla fine la pace tornerà nella Terra di mezzo. La storia mette in guardia dal desiderio esagerato di potere che può solo condurre alla distruzione del mondo.
Nel 1997 la scrittrice inglese Joanne Kathleen Rowling pubblica Harry Potter e la pietra filosofale. Che Harry sia predestinato ad avventure eccezionali lo si capisce guardandolo in faccia: sulla fronte ha una piccola cicatrice a forma di saetta. Compiuti gli undici anni, è chiamato a frequentare la Scuola di magia e stregoneria di Hogwarts: va a lezione di pozioni, impara il Quidditch, lo sport che i maghi praticano a cavallo di una scopa, e risolve misteri. Per ogni anno che Harry trascorre alla scuola di Hogwarts, una nuova avventura. Ogni anno, un nuovo libro. Con la serie di Harry Potter, la Rowling ha ottenuto un successo mondiale.
La paura tiene in tensione e fa voltare in fretta le pagine. Ecco perché tante storie raccontano di vampiri, fantasmi, streghe. Vampiri e fantasmi sono creature sospese tra la vita e la morte: questo è il loro fascino. Quanto alle streghe, possono essere ovunque.
I vampiri hanno denti canini con cui mordono sul collo la loro vittima per succhiare sangue caldo. Per uccidere un vampiro, bisogna sorprenderlo nel sonno, conficcargli un paletto nel cuore e mozzargli la testa: così racconta lo scrittore irlandese Bram Stoker nel suo Dracula (1897). Dracula è il Vampiro per eccellenza e ha ispirato molti libri e film: si ricollega a un personaggio realmente esistito, il principe di Valacchia Vlad II, detto il Diavolo (Dràcul, in rumeno), vissuto nel Quattrocento e noto per la sua crudeltà. Dracula il Vampiro è un conte, una
figura nobile, elegante, capace di conquistare con la gentilezza, la galanteria. Ma non c'è speranza per le vittime: diventeranno a loro volta vampiri, cadaveri viventi, condannati a succhiare il sangue degli uomini.
Anche i fantasmi sono condannati per l'eternità: spesso perché malvagi in vita o perché non sepolti, sono costretti a vagare fino alla fine dei tempi, terrorizzando chi ha la sfortuna d'incontrarli. A volte scelgono una casa come rifugio, magari perché lì hanno vissuto. Il fantasma di Canterville è uno dei racconti più famosi dello scrittore irlandese Oscar Wilde: qui la paura lascia il posto all'ironia, il brivido si scioglie in un sorriso. Una famiglia di Americani giunge in Inghilterra e acquista una proprietà, Canterville Chase, con il suo fantasma, che spaventa a morte la gente. Macchie di sangue in salotto, e di notte uno strascicare di catene. Ma i membri della famiglia Otis non sembrano per nulla intimoriti: ogni giorno puliscono le macchie di sangue con il supersmacchiatore "Pinkerton" e lasciano in giro il lubrificante "Sole d'Oriente" perché il fantasma possa oliare le catene. In controluce, Wilde mette in scena lo scontro fra la vecchia Inghilterra e il senso pratico degli Americani. Di lì a poco, saranno gli Otis a spaventare il fantasma.
"Nelle fiabe le streghe portano sempre ridicoli cappelli neri e neri mantelli, e volano a cavallo delle scope. Ma questa non è una fiaba: è delle streghe vere che parleremo".
Con questo solenne ammonimento ha inizio Le streghe (1987) di Roald Dahl. La terra originaria di Dahl era la Norvegia, patria di gnomi e di giganti. E altissimo era lo stesso Dahl, quasi un gigante, e in fatto di giganti era molto informato: il suo prediletto è il Grande Gigante Gentile, di cui parla nel romanzo Il GGG (1987). Altri suoi libri raccontano di folletti dispettosi, di personaggi perfidi: è il caso della signorina Spezzindue, direttrice dell'Istituto "Aiuto!", in Matilde (1989). Dahl mette in guardia i lettori: attenti a chi porta sempre i guanti, a chi si gratta la testa, a chi si toglie le scarpe a punta sotto il tavolo e a chi ha i denti azzurrini, perché è così che le streghe camuffano gli artigli, il cranio calvo, i piedi quadrati, la saliva blu mirtillo. Scrive Dahl: "Le vere streghe sembrano donne qualunque, vivono in case qualunque, indossano abiti qualunque e fanno mestieri qualunque".
La cassiera del supermercato, la ragazza che ci sorride in autobus, forse perfino la maestra!
"Nella stanza di un poeta, mentre tutti osservavano il suo calamaio sul tavolino, qualcuno disse: "È strano, quante cose possono uscire da questo calamaio! Chi sa cosa ne uscirà ancora? È davvero singolare!". "Certo, è incomprensibile!", approvò il calamaio. "È quello che dico sempre io!" e aggiunse, rivolto alla penna d'oca e a tutti gli altri oggetti che stavano sul tavolino e potevano sentirlo: "È strano, quante cose possono uscire da me!"".
A pensarci, in effetti, è davvero incredibile quante avventure possono uscire da un calamaio. Ora non si usa più, ma succede la stessa cosa anche con la penna biro o la stampante di un computer: in ogni caso, quando vengono scritte, le storie rimangono nel tempo. Certo: si possono anche raccontare a voce o immaginarle con la fantasia, ma così scompaiono facilmente.
Se vogliamo catturarle per sempre dobbiamo fermarle sulla carta. Non che sia subito facile, anzi. Prendete Giannino Stoppani, per esempio: gli hanno regalato un diario, e dentro non sa proprio cosa metterci:
"E allora come farò a riempire tutte le tue pagine bianche, mio caro giornalino? … in un giornalino bello come questo, bisognerebbe metterci dei pensieri, delle riflessioni…".
E invece ci metterà le sue lamentele, gli sfoghi contro i grandi e contro la sfortuna che gli piomba sempre addosso. Non che lui sia cattivo, è solo nato disgraziato. È una colpa amare la pesca? È una colpa avere un vecchio zio dal nome ridicolo che fa il pisolino sempre a bocca aperta? E non è naturale, se ci si annoia, mettersi a pescare dentro la bocca di questo signor Venanzio?
Ma ecco che ci si mette la sfortuna:
"Disgraziatamente gli venne a un tratto da starnutire e nello starnuto, avendo egli chinata la testa, l'amo andò a posarglisi sulla lingua e, avendo poi richiusa la bocca, gli restò dentro, mentre io senza accorgermene, per un semplice istinto di pescatore, detti una stratta alla lenza tirando in su… Si udì un grido acutissimo, e io vidi, con mia grande maraviglia, attaccato all'amo un dente con due barbe!".
E questo è solo uno dei tanti episodi che Giannino ha scritto per sé: camini saltati in aria per errore, fuochi d'artificio appesi senza volere alla giacca di uno sposo, un colpo di pistola inavvertitamente sparato vicino all'occhio del futuro cognato, sedute spiritiche in collegio, fughe clandestine in treno, lunghe e sudate punizioni.
Anche Prisca scrive racconti per sfogarsi, ma lei sa sempre cosa raccontare perché ha un nemico ben preciso: la sua nuova maestra Argia Sforza, rinominata Arpia Sferza. Questa signora tutta grigia è la persona più falsa e crudele che si possa immaginare. Tutta gentile con i genitori, soprattutto se ricchi e di buona famiglia, un vero demonio con le bambine, peggio ancora se povere. Ma cosa può fare una semplice bambina contro una maestra all'apparenza insospettabile? Scrivere qualche storia non risolverà certo la situazione, ma può servire a prendersi qualche soddisfazione… Basta immaginare la misera vita di una trovatella accolta in casa da una perfida signora che le fa fare i lavori più pesanti mattina, pomeriggio e sera, che la maltratta e le dà gli scarti da mangiare.
Un giorno la misera fanciulla si ribella e la padrona malvagia vuole lasciarla per punizione una notte al cimitero. Ma ecco che la storia diventa vendetta! Appena entrate, infatti, il cancello si chiude da solo. Una statua a forma di angelo diventa viva, prende in braccio la bambina e la porta in salvo. La vecchia comincia a tremare:
"Appena fu rimasta sola, la signora Sferza si accorse che tutti i coperchi delle tombe stavano cominciando ad aprirsi lentamente. "Aiuto!", gridò, e cercò di arrampicarsi su un albero, ma non ci riuscì perché non era abbastanza agile e poi aveva le scarpe coi tacchi e la gonna stretta". Presa dal terrore entra in una casetta nel cimitero e va a sbattere contro centinaia di scheletri che per il colpo vanno in mille pezzi.
La vecchia dovrà rimanere nell'ossario fino a quando non avrà ricomposto tutti gli scheletri. Un enorme puzzle di ossa! E se alla fine mancasse una gamba? La vendetta sarebbe ancora più dolce…
Scrivere per sé è una bella impresa, ma quando si decide di farsi leggere dagli altri la faccenda si complica. Natalie è bravissima a fare i temi e ha iniziato addirittura un romanzo!
Ora sta facendo leggere i primi capitoli alla sua migliore amica, Zoe. Le piaceranno? Non ha sbagliato a darglieli? Quanto ci mette a leggerli? Zoe finisce, guarda l'amica e dice che sarà un libro stupendo. Bisogna assolutamente finirlo e deve essere pubblicato! Ma come può fare una ragazzina di dodici anni a farsi prendere sul serio da un editore? Sembra davvero un'impresa disperata!
Natalie lo sa bene perché ha la mamma che lavora nel mondo dell'editoria per ragazzi: quando la va a trovare vede sempre la stanza della Palude, dove vengono ammucchiati centinaia di romanzi che non verranno mai letti. Il suo sicuramente finirebbe lì. Ma Zoe non è una che si arrende facilmente: decide di diventare agente letterario, cerca l'appoggio di un'insegnante e comincia a elaborare piani sempre più complicati per far pubblicare il libro. Il coraggio e l'ostinazione saranno premiati: altro che Palude, Natalie andrà addirittura in televisione! Certo, lei è fortunata, ma non è l'unica: se tanti libri non nasceranno mai, altrettanti sono quelli che arrivano in libreria. E uno come fa a leggerli tutti?
Stefano già da bambino è ossessionato dai libri. I suoi genitori si sono convinti che a lui piacciono moltissimo, mentre invece li ridurrebbe volentieri in poltiglia:
"Ma i libri non si romperanno. Non si rompono mai, i libri. Prendo un libro da uno scaffale e lo scaglio contro la parete. Il libro urta il muro senza fare troppo rumore. Lo raccolgo; non ha subito danni. Appena una leggera ammaccatura. … Dovrebbero fabbricare i libri nello stesso materiale dei piatti; sarebbe meglio, davvero meglio".
Figuratevi quando un giorno esce con la mamma che gli ha preannunciato una sorpresa e si ritrova al Salone del libro: un labirinto di carta, copertine e inchiostro! Ma, dopo la prima disperazione, scatta la magia: da quelle righe saltano fuori avventure e amori, cavalieri e coccodrilli, guerre e risate. Quante cose escono da un calamaio! (Giordana Piccinini)
Hans Christian Andersen, Penna e calamaio, in Fiabe, Einaudi, Torino1970
Hans Christian Andersen, Penna e calamaio, in Le fiabe più belle di Hans Christian Andersen, SEI, Torino1994 [Ill.]
Andrew Clements, Una storia di scuola, Fabbri, Milano 2002 [Ill.]
Bianca Pitzorno, Ascolta il mio cuore, Mondadori, Milano 1991 [Ill.]
Brigitte Smadja, Libri? No grazie!, Emme Edizioni, Trieste 1994 [Ill.]
Vamba, Il giornalino di Gian Burrasca, Giunti, Firenze 1989 [Ill.]