Insieme delle dottrine, delle idee e dei movimenti d’opinione che rifiutano la guerra come mezzo per risolvere i contrasti internazionali e che auspicano la pace permanente tra gli Stati.
Le prime associazioni pacifiste nacquero nei paesi anglosassoni all’inizio del 19° sec. per iniziativa di alcuni membri delle sette mennonite e quacchere, seguite in alcuni paesi del continente europeo da organizzazioni pacifiste ispirate al liberismo come fondamento di uno sviluppo pacifico delle relazioni fra gli Stati. Una componente pacifista trovò spazio anche all’interno del movimento operaio, soprattutto in relazione alla tendenza internazionalista della dottrina socialista. Nel corso del Primo dopoguerra si ebbe la costituzione di alcune formazioni internazionali, che affiancarono l’International peace bureau già fondato a Berna nel 1892: l’International fellowship of reconciliation (IFOR) e il War resisters’ international (WRI). Ma fu soprattutto nel Secondo dopoguerra che, di fronte alla minaccia della proliferazione delle armi nucleari, la causa del p. acquisì una rilevante diffusione e capacità organizzativa. Nel contesto politico internazionale dominato dalla guerra fredda e dalla superiorità strategica degli USA, i protagonisti della lotta all’escalation militare furono soprattutto i gruppi legati ai partiti comunisti. L’avvicinarsi dell’URSS alla parità strategica e l’affermarsi della politica di distensione fra i due blocchi indebolirono l’azione del p. comunista.
Dalla seconda metà degli anni 1950 ripresero l’iniziativa le sezioni nazionali della WRI e dell’IFOR e nel 1958 fu fondata in Gran Bretagna la Campaign for nuclear disarmament (CND), che concentrò la propria attività contro i test nucleari. La fine degli anni 1960 registrò l’assorbimento delle tematiche pacifiste nei programmi e nell’attività dei gruppi della nuova sinistra, delle organizzazioni femministe ed ecologiste. In molti paesi dell’Europa occidentale e negli USA le tendenze pacifiste inoltre si collegarono alla mobilitazione contro l’invasione statunitense del Vietnam, mentre sempre negli USA le campagne di M.L. King per i diritti civili mostravano un legame con le tendenze all’azione non violenta ispirate all’elaborazione del Mahatma Gandhi. La crisi del processo di distensione sul finire degli anni 1970, riportò in primo piano la mobilitazione pacifista. Dopo la decisione della NATO (1979) di installare in Europa nuovi missili a testata nucleare, in tutti i paesi coinvolti si svilupparono iniziative di protesta. L’attenuarsi del conflitto Est-Ovest, a partire dagli ultimi anni 1980, e soprattutto la fine del bipolarismo nelle relazioni internazionali diffusero nel movimento pacifista un complessivo ripensamento della propria ragion d’essere e dei propri scopi. Al centro della riflessione del movimento pacifista degli anni 1990 vennero posti il tema delle nuove guerre nazionali ed etniche, la questione dell’ordinamento internazionale e degli strumenti per un suo governo democratico, le politiche per prevenire, fronteggiare e risolvere i conflitti senza ricorrere alla guerra.
Una forte ripresa delle tematiche pacifiste si registrò in occasione dell’intervento della NATO in Iugoslavia (1999) per evitare il genocidio dei kosovari e dell’intervento militare (sotto l’egida ONU) contro l’Afghanistan, che aveva rifiutato di consegnare alle autorità internazionali i terroristi responsabili dell’attacco alle Torri gemelle (New York, 2001). Proteste più forti e diffuse sono state sollevate dalla ‘guerra preventiva’ intrapresa dagli USA contro l’Iraq (2003), in relazione alla questione palestinese su cui nel 2009 è stato costituito un nuovo Tribunale Russell, alla guerra civile siriana esplosa nel 2011 e, in anni più recenti, alla rinascita dell'Emirato Islamico dell'Afghanistan (2021) e all’invasione russa dell’Ucraina (2022). Indirizzando la sua azione verso la costruzione di alternative politiche fondate sul disarmo, la prevenzione dei conflitti e il ruolo delle istituzioni sovranazionali, nel secondo decennio del 21° secolo la dimensione politica del p. si è dunque riproposta con forza, congiuntamente alla riaffermazione della priorità della risoluzione dei conflitti attraverso i negoziati e la mediazione internazionale, anteponendo la riflessione sul futuro del mondo alla logica bellica e alle sue degenerazioni.