In generale ogni dottrina che consideri divina la totalità delle cose e che identifichi la divinità con il mondo. Il termine entrò nell’uso agli inizi del Settecento: il deista inglese J. Toland parlò per la prima volta di pantheists («panteisti») nel suo Pantheistikon, del 1705. Vi possono essere forme diverse di p. a seconda del modo in cui è concepito il rapporto tra la totalità delle cose e il suo carattere di divinità. Nel p., il principio divino è sempre più o meno distinto dalla molteplicità delle cose singole, le quali, in quanto molteplici, si contrappongono alla sua essenziale unità, pur partecipando a essa. Se è accentuato il principio della divina unità delle cose, gli aspetti di molteplicità e di reciproca differenza delle cose stesse vengono svalutati o addirittura rigettati come mere apparenze: così può aversi il p. acosmistico, ossia negatore del mondo. Non acosmistica è invece, a rigore, la concezione spinoziana, che può essere considerata esempio della forma più classica di panteismo. Per essa, infatti, la realtà di tutte le cose è divina, perché unica è la loro sostanza, la quale è Dio; e d’altra parte esse non svaniscono nel nulla, perché permangono nella sostanza come modi dei suoi attributi. Se d’altra parte la realtà delle singole cose, universalmente sostanziate dal principio divino e tuttavia da esso distinte, è concepita non come contemporanea a tale principio, ma come da esso eternamente promanante, il p. acquista carattere emanatistico, e tende senz’altro a confondersi con l’emanatismo, come accade, per es., nelle concezioni del neoplatonismo antico e medievale.
L’origine eminentemente speculativa del concetto di p. esclude che vi sia, propriamente, una religione panteistica. Tuttavia, nelle varie religioni si delineano, a volte, correnti che, avvicinandosi al concetto filosofico del p., a buon diritto possono chiamarsi panteistiche. L’approssimazione massima al p. è in una particolare corrente del brahmanesimo, espressa soprattutto dalle Upaniṣad, in cui però hanno ormai gran parte i motivi speculativi; qui viene esplicitamente affermata l’identità tra Brahman (concepito come dio universale, comprendente in sé tutte le divinità e manifestantesi nel cosmo) e l’ātman, cioè l’essenza dell’Io. Sospendendo il rapporto Io-Tu tra uomo e dio e negando la trascendenza della divinità rispetto al mondo, il p. religioso può sfociare nell’irreligiosità, in quanto l’uomo, partecipando della natura divina, non prova più il bisogno dell’adorazione. Accenni a una tendenza panteistica non mancano neanche in altre religioni, benché si trovino, per lo più, in una sfera intermedia tra religione e filosofia.