Gian Pietro Carafa (Sant'Angelo a Scala 1476 - Roma 1559). Inquisitore, divenne papa nel 1555. Intransigente fautore della Controriforma, ampliò i poteri dell'Inquisizione e nel 1559 pubblicò il primo Indice dei libri proibiti (elenco delle pubblicazioni ritenute contrarie alla dottrina cattolica). Rigido anche verso gli ebrei, impose l'istituzione dei ghetti. In politica estera cercò un'intesa con la Francia in chiave antiasburgica, che però si rivelò fallimentare.
Appartenente a una delle più antiche famiglie della nobiltà napoletana, a 14 anni fuggì nel convento napoletano di S. Domenico Maggiore ma venne ricondotto a casa; a 18 anni fu chierico; a 26 anni venne nominato cameriere pontificio e visse intemerato alla corte di Alessandro VI. Protonotario apostolico (1503), vescovo di Chieti (1504), legato presso Ferdinando il Cattolico (1506) ed Enrico VIII (1513-14), cardinale (1536), arcivescovo di Napoli, inquisitore (1542); papa dal 1555. Tutta la sua opera, prima e dopo la sua elezione a pontefice, si concentrò nella lotta contro l'eresia e nella riforma della Chiesa. A ciò fu dovuta la fondazione dei teatini (1524) che si proposero, appunto, di imporre alla società cattolica un diverso e più rigido sistema di vita. A Venezia, ove s'era dovuto rifugiare coi suoi compagni a cagione del sacco di Roma (1527), i molti incarichi politici non gli impedirono di preoccuparsi segnatamente del dilagare dell'eresia; donde un suo memoriale a Clemente VII (1532), che proponeva, fra l'altro, di affidare l'Inquisizione all'ordinario o ai nunzi, togliendola ai frati, e preluse al memoriale della congregazione cardinalizia del 1537, di cui Carafa fu ascoltatissimo componente. Non conobbe riguardi né per sovrani (da cardinale, partecipò alla compilazione del breve di biasimo contro Carlo V) né per alti prelati, taluni dei quali (G. Morone, nel 1557) fece addirittura imprigionare; impose riforme durissime, sancì l'obbligo della residenza per i vescovi, affrontò con eccessiva intransigenza la situazione religiosa inglese sino al punto di destituire Reginald Pole, suo legato, e deferirlo all'Inquisizione (1556). Particolarmente rigido nei confronti degli Ebrei, ordinò il rogo del Talmud nel 1553; nel 1555 con la bolla Cum nimis absurdum impose l'istituzione dei ghetti; un anno dopo ad Ancona fece condannare al rogo venticinque marrani. Avverso in linea di principio alla riapertura del Concilio di Trento, tentò di sostituirne l'opera con una congregazione generale per la Riforma di 72 membri (1556), successivamente riordinata in 4 sezioni. La sua politica estera, violentemente antiasburgica, costituì l'insuccesso più clamoroso del suo breve pontificato: la guerra contro Filippo II, concordata con la Francia, si concluse con una minacciosa vittoria del duca d'Alba (1558) e col fallimento del progetto di Carlo Carafa, nipote del papa, d'insignorirsi di Siena. La sua rigidità morale e le necessità politiche gli fecero condannare all'esilio e privare delle cariche questo suo nipote, creato inopportunamente cardinale segretario di stato e padrone per qualche tempo della politica pontificia, insieme a due suoi fratelli (1559). Alla sua morte, un tumulto popolare manifestò la stanchezza dei Romani per il regime troppo austero da lui imposto.