Pala d’altare (dipinta, talora anche scolpita) costituita da vari elementi (scomparti) uniti fra loro, talvolta anche con cerniere, in modo che possano essere chiusi come sportelli. P. a due o tre elementi, più propriamente detti dittici e trittici, anche di piccole dimensioni e portatili, erano già diffusi in età classica e tardoantica. Come pala d’altare, il p. è proprio del mondo occidentale e si diffonde soprattutto dal 13° secolo. Lo sviluppo orizzontale, a unico registro, dei più antichi p. diviene nel tempo più complesso, su vari registri, con cornici, cimase, colonnine ecc., anch’essi dipinti o scolpiti con immagini o motivi simbolico-decorativi; la struttura lignea di supporto dei vari scomparti diviene così sempre più complessa e importante (fig. A). Anche la predella, la tavoletta rettangolare allungata, che costituisce la base inferiore di un p. nata con funzione strutturale, è dipinta, spesso suddivisa in pannelli, con scene relative al tema principale. In Italia prevale il p. fisso, che talvolta presenta anche il retro dipinto. Al di là delle Alpi sono frequenti, oltre ai trittici, i p. chiudibili con doppie coppie di ali, incernierate in sequenza o sovrapposte su uno stesso cardine; le facce esterne dei pannelli laterali sono decorate talora con finte sculture e grisaille. Nel 15° e 16° sec., in Italia, il p. va scomparendo con l’imporsi di una visione spaziale unitaria, mentre nell’arte nordica si sviluppa ulteriormente, con la parte centrale spesso costituita da rilievi e statue. In Spagna il p. può assumere la forma di grandiosa parete decorata da scomparti disposti su più registri (➔ retablo). Nel 17° e 18° sec. i p., poco diffusi, sono in genere di grandi dimensioni, con tele o tavole giustapposte; nel 19° sec. ritorna in uso, soprattutto nell’ambito della ripresa di modelli artistici del passato e per soggetti profani. Nell’arte contemporanea il p. è inteso come scomposizione e ricomposizione, o successione, di dipinti e rilievi, anche privi di cornici e intelaiature (fig. B). Ricordiamo, tra gli altri, quelli di G. Pellizza da Volpedo, G. Balla, H. Matisse, R. Magritte, J. Johns, C. Twombly, F. Bacon.
Nell’antichità romana, si chiamò p. un libretto formato da più tavolette cerate. Nel Medioevo, il registro o inventario nel quale venivano descritti i beni di uno stesso padrone, elencate le famiglie alle quali questi erano dati a coltivare e specificati i diritti da esigere. Distinti in pubblici e privati, i p. furono prescritti da Gregorio Magno per i beni della Chiesa romana, e più tardi praticati nei regni longobardo e franco. Si distinsero in pubblici e privati: i primi avevano forza esecutiva davanti a tutti, gli altri solo per le parti che li avevano redatti.