Atto religioso con cui si cerca di calmare l’ira e di conciliare il favore della divinità.
In storia delle religioni, il presupposto della p. è che il soggetto (che può essere sia un individuo sia una comunità, per es. lo Stato) si consideri colpevole di qualche infrazione di ordine rituale o, nelle religioni a contenuto etico, di ordine morale. Nelle religioni di tipo primitivo o arcaico non è affatto necessario che il soggetto abbia la coscienza di aver commesso, intenzionalmente o involontariamente, una colpa: l’ira divina si manifesta per segni obiettivi (malattie, terremoti, prodigi) e l’importante è trovare la maniera obiettiva di placarla; poiché però il modo della p. adeguata dipende dalla natura dell’infrazione cui deve riparare, il soggetto si rivolge a oracoli, indovini, sciamani ecc. o osserva i presagi, per conformare al motivo dell’ira la propria azione.
Sacrifici propiziatori si offrono però anche in mancanza della sensazione di un’infrazione commessa, solo in base alla supposizione di un’eventuale infrazione involontaria, in tutti i momenti critici dell’esistenza individuale o collettiva (nascita, nozze, guerre ecc.). Per ragioni analoghe esistono riti propiziatori periodici che mirano ad annullare le cause di eventuali malcontenti divini, anche inavvertitamente accumulatesi nel corso di un determinato periodo di tempo.
Era detta propiziatorio (ebr. kappōret) la lastra rettangolare d’oro incastrata sul coperchio dell’antica arca dell’alleanza ebraica. Si riteneva che Yahweh si posasse su di essa come su un ‘trono di grazia’. Durante i sacrifici, il propriziatorio era spruzzato del sangue delle vittime.