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La Siria è uno dei paesi più importanti dell’area del Medio Oriente. Il paese, infatti, incarna tutta una serie di peculiarità che lo rendono unico nella regione, sia dal punto di vista storico che rispetto alle dinamiche geopolitiche contemporanee. Situata al centro tra Iraq, Turchia, Libano, Israele e Giordania, la Siria ha sempre giocato un ruolo di fondamentale importanza nella definizione degli equilibri regionali. Prima di essere spartita tra Regno Unito e Francia in seguito al cosiddetto Accordo Sykes-Pickot, firmato durante la Prima guerra mondiale per definire le rispettive sfere di influenza sul Medio Oriente, la regione della Siria, sotto l’Impero ottomano, includeva anche l’attuale Libano. Ottenuta l’indipendenza dal mandato francese nel 1946, fu testimone di diversi colpi di stato e della nascita del partito panarabista Ba’th (che successivamente si sarebbe sviluppato anche in Iraq), tutt’oggi al potere. Nel periodo della Guerra fredda era definita la ‘Cuba del Medio Oriente’, dal momento che rappresentava il satellite più importante dell’Unione Sovietica nella regione, soprattutto in contrapposizione alla filoccidentale Turchia. Attualmente, Damasco si trova in un periodo di transizione rispetto al decennio passato, in cui era stata isolata dalla comunità internazionale, soprattutto per via dei privilegiati rapporti con l’Iran e per le accuse di sostenere movimenti destabilizzatori nell’area mediorientale.
Il regime siriano è retto da una minoranza sciita e, oltre a tale elemento di convergenza, Teheran e Damasco hanno storicamente avuto interesse nel sostenersi a vicenda, visto l’isolamento internazionale e regionale cui sono state sottoposte. Tra la Siria e l’Iran vi sarebbe inoltre l’interesse comune a equilibrare l’influenza delle monarchie del Golfo e dell’asse arabo-sunnita costituito da Egitto, Giordania e Arabia Saudita, oltre che a contrastare lo Stato di Israele. La retorica di Damasco è però meno aggressiva di quella di Teheran e, soprattutto dal 2008 in poi, la Siria si è dichiarata disponibile ad aprire un dialogo con Israele, con i vicini arabi e con l’Occidente. Ciò non le ha impedito di mantenere la propria alleanza strategica con l’Iran, ponendosi d’altra parte come possibile interlocutore tra Teheran e la comunità internazionale. Le repressioni atuate dal regime di Assad a danno dei manifestanti a partire dall’aprile del 2011, hanno d’altra parte provocato un rinnovato isolamento politico e diplomatico di Damasco a livello internazionale, portando la Siria ad avere nuovamente rapporti pi stretti ed escusivi con ll’Iran.
La politica estera del presidente Bashar al-Assad ha mirato, fino ai primi mesi del 2011, in primo luogo a riconquistare legittimità internazionale e a ottenere un ruolo di primo piano in Medio Oriente, funzionale a spezzare l’isolamento degli anni passati e, contemporaneamente, a rilanciare i rapporti con l’Occidente. Funzionali a questo scopo sono il ritiro delle truppe dal Libano, avvenuto nel 2005, il riavvicinamento all’Arabia Saudita, il nuovo ruolo di stabilizzazione giocato nell’Iraq post-bellico e i tentativi di negoziati con Israele. Quest’ultimo rappresenta il vicino più problematico, dal momento che i due stati risultano ancora formalmente in guerra, dopo aver già combattuto due conflitti armati nel 1967 e nel 1973, e le possibilità di un nuovo scontro non sono del tutto scongiurate.
Pesava inoltre sulla Siria la linea politica tenuta nei confronti del Libano, paese in cui, fino al 2005, Damasco ha mantenuto una presenza militare, non riconoscendo la sovranità di Beirut. Dopo il ritiro delle forze militari dal territorio libanese e la normalizzazione delle relazioni con il Libano, la Siria ha intrapreso un cammino di distensione anche con l’Occidente e, nel 2008, il presidente siriano si è recato in visita ufficiale a Parigi in occasione dei lavori per il lancio dell’Unione per il Mediterraneo, incontrandosi con l’omologo francese Nicolas Sarkozy. La Siria, del resto, aveva contemporaneamente intavolato negoziati indiretti con Israele, grazie alla mediazione della Turchia, e avviato i colloqui per la normalizzazione delle relazioni con gli Stati Uniti, a seguito della nomina (2010) di un ambasciatore statunitense a Damasco dopo anni di congelamento dei rapporti. Nonostante ciò, l’amministrazione Obama non ha ancora annullato le sanzioni imposte da quella Bush. Le relazioni con l’Unione Europea e gli stati Uniti, sono diventate nuovamente tese in seguito all’ondata repressiva che il regime di Assad ha scatenato nei confronti delle manifestazioni anti-regime del 2011. Nonostante gli Stati Uniti non abbiano assunto nei confronti di Damasco una posizione netta -come accaduto invece in Libia -l’Eu ha imposto una serie di sanzioni economiche e politiche contro il regime.
Fattore centrale della nuova politica regionale siriana è costituito dal rilancio delle relazioni con la Turchia, paese confinante con cui la Siria ha avuto rapporti tradizionalmente molto tesi. A inficiare le relazioni bilaterali turco-siriane è stata principalmente – oltre al retaggio storico rappresentato da secoli di dominazione ottomana sulla regione – l’adesione agli opposti blocchi internazionali tipici dell’era bipolare. La questione della gestione delle risorse idriche (la Turchia ha il controllo a monte dell’Eufrate e del Tigri, vitali per l’economia siriana) e il sostegno siriano al terrorismo curdo, attivo in Turchia, hanno portato i due paesi sull’orlo di un conflitto armato nel 1998. Scongiurata tale eventualità grazie agli Accordi di Adana (1998), Ankara e Damasco si sono rese protagoniste di un progressivo e profondo avvicinamento che – riguardando i settori energetico, economico, politico e strategico – ha determinato l’emergere di un asse di cooperazione di primaria importanza nello scacchiere regionale. Tale relazione privilegiata è stata in parte messa in discussione a causa della repressione del regime siriano nei confronti della propria popolazione, a seguito della quale il governo turco ha pubblicamente condannato Damasco.
La vita politica interna della Siria è dominata, dal 1971, dalla minoranza alawita e, in particolar modo, dalla famiglia al-Assad. Al 1971 risale infatti il colpo di stato che portò al potere, dopo un decennio di crisi, Hafez al-Assad. Questi è riuscito a rafforzare il ruolo dell’autorità centrale e a creare un’efficiente rete di contatti per gestire gli affari interni. Alla sua morte, nel 2000, il figlio Bashar è stato nominato e, successivamente, confermato tramite referendum suo successore anche alla guida del Ba’th.
La Siria è una repubblica presidenziale in cui il capo di stato ha un mandato settennale e, nel 2007, al-Assad è stato riconfermato alla presidenza. Si è trattato tuttavia di elezioni senza oppositori, vale a dire di un plebiscito, vinto con una percentuale superiore al 97%. Il Parlamento, unicamerale, è eletto ogni quattro anni ed è dominato dal partito Ba’th. Nonostante abbia nominalmente poteri legislativi, il vero fulcro della politica siriana rimane la presidenza, che esercita un ruolo assolutistico anche grazie ai Servizi segreti militari, alla cui guida vi è il cognato di Assad, Asif Shawkat. La stabilità del sistema politico-istituzionale siriano è stata messa in discussione nei primi mesi del 2011 dai movimenti di protesta popolare che hanno coinvolto vari centri urbani del paese.
Il presidente Assad, nonostante avesse un grado di popolarità relativamente alto, non è stato in grado di venire incontro alle richieste riformatrici della popolazione, scatenando una reazione violenta nei confronti dei manifestanti. Soprattutto in piccoli centri come Daraa, al confine con la Giordania, Baniyas, nell’ovest, Jisr al-Sughur, al confine con la Turchia e anche in città come Homs, la terza più importante del paese, le forze dell’ordine hanno sparato sui manifestanti, causando più di mille morti. La comunità internazionale non ha reagito in maniera unanime e decisa nei confronti di tale repressione, per le ripercussioni che la caduta del regime di Assad potrebbe avere su tutto il Medio Oriente.
La popolazione siriana, composta da quasi 22 milioni di persone, ha registrato una notevole crescita rispetto agli anni Novanta (nel 1990 c’erano 12 milioni di abitanti). Il tasso di crescita è infatti elevato (3,26% tra il 2005 e il 2010), così come il tasso di fecondità (3,29 figli per donna tra il 2005 e il 2010). Inoltre, più del 50% della popolazione ha meno di 24 anni. La maggior parte della popolazione è araba, vi è poi una cospicua minoranza curda (5%) e minoranze turcomanne, assire e armene. La minoranza curda è vittima di discriminazioni e restrizioni alla libertà di espressione (le pubblicazioni in curdo sono vietate) e il governo controlla gli attivisti curdi che rivendicano maggiore autonomia e diritti. Allo stesso tempo, i curdi siriani non hanno diritto allo status di cittadini siriani, nonostante il presidente Assad, durante le rivolte popolari del 2011, abbia promesso che concederà la cittadinanza alla popolazione di origine curda. La Siria ospita una delle comunità di rifugiati più ampie del mondo, composta, secondo le stime dell’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite (Unhcr), da mezzo milione di palestinesi e più di un milione di iracheni.
Gli alawiti, corrente minoritaria dell’Islam sciita cui aderisce la famiglia del presidente Assad, costituiscono solo il 14% della popolazione, ma detengono le leve della politica nazionale. La maggioranza della popolazione è infatti musulmano-sunnita (72%), e vi sono cospicue minoranze di cristiani (12%) e drusi (3%). La costituzione garantisce la libertà religiosa, generalmente rispettata, ma prevede che il presidente debba essere musulmano. Gli appartenenti ai movimenti di ispirazione islamica, come i Fratelli musulmani, sono però perseguiti dalla legge. Per quanto concerne il matrimonio, ogni gruppo religioso può applicare i rispettivi precetti, mentre la successione mortis causa è regolata dalla legge islamica per tutti cittadini, con l’unica eccezione dei cattolici.
Il tasso di alfabetizzazione è piuttosto elevato (84%), soprattutto per i giovani (più del 90% sia per gli uomini che per le donne). La scolarizzazione primaria (6-11 anni) è ormai al 99% (dato 2008) rispetto al 95% del 1990, ma la qualità deve essere migliorata per il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del millennio. La disparità di genere nell’istruzione va riducendosi: la proporzione di bambine iscritte alla scuola primaria rispetto ai bambini è salita dal 90,3% nel 2004 al 95,6% nel 2009. Dal 1963 in Siria è in vigore un decreto legislativo che impone lo stato di emergenza in presenza di una minaccia all’integrità dello stato e ha permesso al governo di effettuare delle detenzioni arbitrarie di oppositori politici, attivisti per i diritti umani e giornalisti.
Sebbene la costituzione garantisca la libertà di espressione e di stampa, queste sono di fatto molto limitate. Una legge del 2001 vieta di riportare questioni di sicurezza nazionale e di unità nazionale, a pena di sanzioni elevate. Dal 2001 la stampa privata è permessa, ma il governo controlla la diffusione delle informazioni nelle pubblicazioni nazionali e straniere. Nel 2008 gli utenti internet – mezzo sempre più usato dai giornalisti, ma è anch’esso controllato dal governo – erano il 17,3% e la stessa rete ha rappresentato uno dei veicoli di comunicazione e organizzazione più efficienti per i manifestanti nel paese durante le rivolte del 2011.
Tradizionale produttore ed esportatore di petrolio, la Siria deve oggi affrontare il costante declino della produzione del medesimo, sviluppando altri settori dell’economia. L’industria del petrolio, del gas e del fosfato rappresenta la principale risorsa economica del paese insieme al settore agricolo, che conta per il 21% del pil e contribuisce alle esportazioni di prodotti agricoli, cotone e tessili. Il turismo è un’altra risorsa importante, mentre acquisiscono sempre maggior peso i servizi finanziari (nel 2009 la Borsa di Damasco ha iniziato ad operare dopo 46 anni di chiusura), le telecomunicazioni e il commercio.
Il legame con l’Unione Sovietica ha improntato l’economia pianificata siriana sino all’inizio degli anni Novanta, a partire dai quali è stato invece avviato un processo di liberalizzazione e privatizzazione. Il dibattito rimane tuttavia acceso nell’ambito del partito Ba’th e le riforme procedono lentamente. Nel settore bancario, la prima banca privata ha aperto nel 2004, seguita da altre, ma la Banca centrale siriana continua per certi aspetti a vincolarne il budget e le strategie imprenditoriali. Nel settore petrolifero, la Compagnia siriana, braccio del ministero per il petrolio e le risorse minerarie, controlla circa la metà della produzione nazionale, anche se gli investimenti esteri (tra cui Shell e l’impresa cinese Cnpc) rimangono importanti per incrementare i livelli di produzione. Inoltre, la Siria attrae meno investimenti esteri rispetto ad altri paesi del Medio Oriente, le infrastrutture sono inadeguate e la corruzione è molto diffusa e rappresenta un freno allo sviluppo – secondo l’indice di corruzione percepita di Transparency International, la Siria è uno dei paesi più corrotti dell’area mediorientale, dopo Iraq, Iran, Libia e Libano. Il paese ha fatto richiesta di adesione all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) nel 2001, ma gli Stati Uniti hanno mostrato dei segnali di apertura in proposito solo negli ultimi anni, per esempio acconsentendo a concedere al paese lo status di osservatore nel maggio 2010.
L’economia siriana non ha risentito particolarmente della crisi del 2009, registrando una crescita del 4%. Il sistema economico è ancora relativamente chiuso, sebbene il paese abbia rapporti commerciali con i vicini Iraq, Turchia, Libano ed Egitto, ma anche con Cina e Unione Europea – primo partner commerciale della Siria con 5,4 miliardi di dollari di interscambio nel 2009 (equivalenti al 23% del commercio siriano). Il commercio con gli Stati Uniti è invece limitato dalle sanzioni.
Secondo i dati dell’Undp del 2005, il 30% dei siriani (più di 5 milioni) viveva in povertà, mentre l’11% in estrema povertà. Tale dato è legato anche alle limitate risorse idriche e all’impatto di fenomeni come la siccità e la desertificazione, che hanno conseguenze negative sulla produzione agricola e contribuiscono al processo di ‘urbanizzazione della povertà’. La Siria affronta non a caso le maggiori sfide per il raggiungimento degli Obiettivi del millennio proprio in relazione alla riduzione della povertà e alla tutela ambientale. Il pil pro capite, pari a circa 4700 dollari, è tra i più bassi dei paesi del Medio Oriente.
La Siria produce quantità modeste di petrolio (400.000 barili al giorno nel 2009) rispetto agli altri paesi mediorientali e il declino della produzione dovrebbe renderla in futuro un importatore netto. Per compensare tale fattore nel mix energetico, il paese prevede di aumentare la produzione di gas (circa 7 miliardi di metri cubi nel 2009), avendo riserve per 280 miliardi di metri cubi. Inoltre il paese è collocato in una posizione strategica per il transito del gas. Nel 2008 è stato aperto il collegamento in Siria dell’Arab Gas Pipeline (proveniente dall’Egitto) e vi sono progetti di approfondimento della cooperazione regionale con l’espansione dei gasdotti verso Turchia, Iraq e Iran; in base a un accordo con la Turchia del 2009, con l’apertura della sezione Siria-Turchia dell’Arab Gas Pipeline la Siria importerà quasi un miliardo di metri cubi di gas. La Siria mira a diventare quindi uno stato di transito per il gas egiziano, iracheno, iraniano e potenzialmente dell’Azerbaigian, traendo così maggiori entrate e aumentando la propria disponibilità di gas.
Priorità strategica per la Siria è la difesa dei propri confini con Israele, dal momento che i due paesi sono ancora formalmente in guerra e una crisi regionale potrebbe potenzialmente coinvolgere entrambi gli attori in un conflitto armato. Il principale motivo del contenzioso tra Israele e la Siria, al di là delle motivazioni di carattere ideologico, è costituito dall’occupazione israeliana delle Alture del Golan, territorio rivendicato da Damasco e di importanza strategica per l’accesso che consente alle risorse idriche del Lago di Tiberiade e del fiume Giordano.
È uno dei territori più contesi di tutto il Medio Oriente e al tempo stesso, da quasi quarant’anni, è il fronte di guerra più tranquillo della regione: altopiano dall’alto valore strategico, dal fertile terreno di origine vulcanica e ricco di falde acquifere, il Golan è stretto oggi tra Israele, Siria, Giordania e Libano. Territorio appartenente alla Siria moderna sin dal 1923, fu occupato nel 1967 da Israele per diventare, quattordici anni più tardi, parte integrante dello stato ebraico sotto il nome di ‘distretto settentrionale. Quest’annessione però non è mai stata riconosciuta internazionalmente e da decenni le Nazioni Unite impongono allo stato ebraico la restituzione alla Siria del territorio occupato.
Dal 2000 i negoziati ufficiali tra Damasco e Tel Aviv sono fermi e ogni eventuale nuova trattativa dovrà di fatto ricominciare da zero. La Siria, che nell’ambito della guerra arabo-israeliana del 1973 tentò invano di liberare la regione, continua a condizionare ogni futuro accordo con Israele al suo ritiro dietro le linee del ‘4 giugno 1967’, vigilia dello scoppio della Guerra dei sei giorni. Ufficialmente favorevole a raggiungere un’intesa con la controparte, Tel Aviv considera però la richiesta siriana una ‘precondizione’ inaccettabile per avviare colloqui diretti. Tra febbraio e novembre 2010, il Parlamento israeliano ha inoltre approvato due leggi che non faciliteranno certo la risoluzione consensuale della controversia: la prima prevede incentivi economici per chi sceglie di abitare negli insediamenti ebraici delle Alture; la seconda impone che una maggioranza qualificata di due terzi della Knesset ratifichi eventuali accordi di pace che prevedano il ritiro dall’altopiano. Qualora essa non fosse raggiunta, secondo la legge sarà necessario rivolgersi con un referendum all’intero popolo israeliano.
Il Golan (Jawlan in arabo) occupa un’area prevalentemente montuosa che si estende per circa 1800 chilometri quadrati come proseguimento meridionale della catena dell’Antilibano posta tra i moderni Libano e Siria. Tre quarti della sua area è sotto controllo israeliano, mentre il rimanente quarto nel 1974 è stato restituito alla Siria. Da allora, tra le due porzioni di territorio si estende, da nord a sud, una terra di nessuno sorvegliata dai caschi blu della forza Undof delle Nazioni Unite (United Nations Disengagement Observer Force), che mantengono il loro quartier generale ai margini di Qunaytra, capitale ‘liberata’ del Golan siriano, riconsegnata da Israele ai siriani dopo esser stata quasi completamente rasa al suolo.
I rilievi dell’altopiano controllano la piana siriana a est, mentre a ovest dominano il Lago di Tiberiade, l’alta valle del Giordano e parte della Galilea. A sud-est passa il fiume Yarmuk, mentre a nord-ovest si ergono le cime del gruppo del monte Hermon (Shaykh in arabo), sul cui picco, alto 2814 metri, sono da anni installate potenti stazioni radar israeliane. Da qui, lo stato ebraico vigila sulla valle libanese della Beqaa, bastione del movimento sciita filoiraniano Hezbollah, e sulla periferia sud-occidentale di Damasco, distante appena 60 chilometri, dove sono schierate alcune delle divisioni chiave dell’esercito siriano.
Dall’antichità ai giorni nostri, passando per le conquiste arabo-islamiche e per le crociate, il Golan è stato più volte al centro di dispute e teatro di scontri militari, tanto che l’odierna contesa tra Siria e Israele appare come uno degli episodi di un avvincente sequel storico senza fine. Controllare i valichi delle Alture in passato ha sempre significato controllare le rotte commerciali e militari che collegavano Damasco con i porti della Palestina settentrionale. In epoca più recente, il Golan è stato anche il passaggio del Trans-Arabian Pipeline, oleodotto che fino allo scoppio della guerra civile libanese nel 1975 trasportava il greggio dai pozzi sauditi fino alla costa mediterranea a nord di Sidone. E sebbene l’avvento dei missili balistici e della tecnologia satellitare abbia ormai privato le Alture della sua secolare funzione di bastione difensivo, queste mantengono un’elevata importanza strategica, rimanendo il punto di passaggio e di confluenza di almeno il 15% delle risorse idriche di Israele. Il Lago di Tiberiade è la principale riserva d’acqua dolce dello stato ebraico e le sue sponde orientali sono inserite nella regione contesa, mentre i suoi affluenti settentrionale (Hasbani) e orientale (Banyas) s’ingrossano anche grazie ai corsi provenienti dall’altopiano. Il Golan è inoltre da più parti ormai considerato il ‘giardino’ di Israele: oltre ai vitigni dai quali si producono vini di fama internazionale, dalle sue terre proviene gran parte della produzione agricola del paese. Ambìto luogo di residenza per moltissimi israeliani, i suoi siti archeologici e naturalistici e le stazioni sciistiche sulle pendici sud dell’Hermon rendono le Alture una meta turistica sempre più richiesta. Tra le colline verdeggianti e i rilievi di basalto del plateau si distinguono però ancora oggi le rovine delle oltre 300 località siriane, sistematicamente distrutte dagli israeliani a partire dal 1974. Prima della guerra del 1967, la popolazione del Golan si aggirava intorno ai 140.000 siriani, 130.000 dei quali fuggirono profughi verso Damasco.
Dai dati del più recente censimento del 2009, poco meno di 80.000 sono i siriani che popolano la porzione di altopiano restituita a Damasco, mentre sono oltre 40.000 gli abitanti del Golan occupato da Israele. Di questi, circa 18.000 ebrei risiedono nelle 30 colonie agricole e nelle sei municipalità, la più importante delle quali è Katzrin (la siriana Qasrayn). Accanto a loro, circa 22.000 drusi si concentrano invece nelle quattro località di Majdal Shams, Mas‘ada, ‘Ayn Qiniya e Buq‘ata. A differenza dei drusi palestinesi della Galilea, la stragrande maggioranza dei loro correligionari del Golan rifiuta di esser naturalizzata israeliana. Pur usufruendo dei servizi di base forniti dallo stato ebraico, i drusi delle Alture rivendicano infatti la loro appartenenza alla madrepatria siriana.
L’apparato militare siriano è ritenuto non all’avanguardia, soprattutto considerando che il maggiore fornitore di armi di Damasco è stata storicamente l’Unione Sovietica, in maniera funzionale al confronto con i satelliti occidentali dell’area. Come retaggio della presenza sovietica, inoltre, la Siria ospita una base navale nel porto di Tartus, che potrebbe essere nuovamente operativa come base mediterranea della Federazione Russa. Attualmente l’esercito siriano è ancora equipaggiato da armamenti di derivazione sovietica e non sembra poter competere, almeno dal punto di vista qualitativo e tecnologico, con quello israeliano. Damasco ha tuttavia un discreto arsenale missilistico, grazie alla collaborazione nel settore con Iran e Corea del Nord. Nel 2007 Israele ha bombardato una località siriana sospetta di ospitare un reattore nucleare, ma alla notizia non è mai stata data ufficialità e non è chiaro se Damasco stesse davvero tentando di dotarsi di questo tipo di armamenti.
Proprio la presenza di rifugiati pone problemi di sicurezza interna, vista la loro difficile integrazione nel tessuto socio-economico della Siria e le conseguenze economiche interne, come una maggiore inflazione.
Dal punto di vista politico, la potenziale minaccia alla stabilità del regime costituita da movimenti legati all’Islam radicale sembra essere state debellata quasi del tutto, in seguito alla repressione della Fratellanza musulmana siriana negli anni Ottanta. Le organizzazioni islamiche più conservatrici e avverse al regime, concentrate nella cittadina di Hama, furono infatti sradicate nel 1982 per mezzo di un’operazione militare che provocò la morte di un elevato ma imprecisato numero di persone, stimato intorno a 20.000. La Siria è ritenuto uno dei paesi più sicuri dell’area e immune dal terrorismo di matrice islamista, sebbene abbia subito un attentato contro la propria comunità sciita nel 2008. Diversa appare invece la situazione sotto il profilo dell’opposizione politica interna. Le rivolte del 2011 hanno dimostrato come il regime non possa ritenersi immune dalle manifestazioni di dissenso interne, nonostante il proprio stretto controllo sulla società.