stipulatio In diritto romano, contratto verbale, con il quale era possibile assumere obbligazioni di qualsiasi contenuto mediante la pronuncia di determinate parole. La s. è frutto di uno sviluppo storico della sponsio (➔), negozio più antico, che si concludeva mediante l’utilizzo, da parte dei contraenti, del solo verbo spondere; nel concludere una s., invece, era possibile ricorrere a qualsiasi altro verbo dalla valenza promissoria, purché il promittente, l’unico che rispondendo contraeva un’obbligazione, replicasse alla domanda rivoltagli dallo stipulante pronunciando solennemente, in presenza di testimoni, esattamente la stessa parola (per es.: «prometti di dare cento?»; «prometto»). Come l’antica sponsio, per risultare valida la s. richiedeva – oltre alla congruentia verborum nel meccanismo di interrogazione-risposta – che entrambe le parti fossero fisicamente presenti al momento della conclusione del contratto, il quale dunque si connotava necessariamente per la unità di tempo e di luogo.
Della s. i Romani fecero amplissimo uso: essa era adatta a far sorgere obblighi a eseguire prestazioni di qualsivoglia contenuto lecito (di dare, di fare, di non fare), e anche a garantire l’adempimento di obbligazioni altrui (nella forma, più propriamente, della fideiussione, che comunque costituisce l’effetto di un’evoluzione storica della stessa s.). Inoltre, contrariamente alla sponsio, la s. venne ritenuta accessibile anche agli stranieri, configurandosi, sotto questo profilo, come il più importante contratto di ius gentium, al quale dunque, in età romana, si faceva ampio ricorso anche nei traffici internazionali. La s. si concludeva verbalmente, non essendo pertanto necessario, ai fini della sua validità ed efficacia, il disbrigo di alcun’altra formalità; tuttavia, specie nella parte orientale dell’impero, di cultura giuridica greca, ben presto si diffuse la tendenza a documentare per iscritto, con finalità di carattere probatorio, le formalità inerenti alla stipulatio. Questo portò, con il passare del tempo, alla degenerazione del negozio, rispetto alla sua fisionomia originaria, giacché spesso i contraenti inserivano nei documenti la cosiddetta clausola stipulatoria anche quando, fra di loro, non vi era stata, in realtà, nessuna interrogazione-risposta, e – nella prassi della tarda epoca romana – perfino quando nessuna interrogazione-risposta avrebbe potuto esserci, sul piano giuridico, giacché l’affare concluso non tendeva, per es., a produrre effetti di tipo obbligatorio.