Mutamento del luogo in cui il lavoratore svolge della prestazione lavorativa, stabilito del datore di lavoro. Nell’ordinamento italiano, la disciplina del trasferimento è contenuta nell’art. 2103 c.c. (testo modificato a seguito dell’entrata in vigore dello Statuto dei lavoratori nel 1970). La norma stabilisce che il lavoratore non può essere trasferito ad altra unità produttiva da parte del datore di lavoro se non per comprovate ragioni di carattere tecnico, produttivo o organizzativo. Ciò valorizza l’interesse del lavoratore a una sostanziale inamovibilità dal proprio posto di lavoro, dal momento che un consistente spostamento geografico del luogo di esecuzione della prestazione comporta effettivi disagi. Tra le cause di trasferimento figura spesso quella di incompatibilità ambientale, dovuta a difficoltà nei rapporti tra il lavoratore oggetto di trasferimento e i colleghi o i superiori. L’esercizio del potere di trasferimento non può essere sindacato nel merito da parte del giudice; si può soltanto verificare la sussistenza di un nesso di causalità tra il trasferimento e la scelta tecnico-produttiva. Quanto agli oneri formali di comunicazione, la legge nulla prevede, poiché demanda tale aspetto della materia interamente alla contrattazione collettiva di riferimento (Contratti collettivi di lavoro). Il trasferimento si distingue dalla trasferta, poiché questa è uno spostamento temporaneo dal luogo della prestazione lavorativa, ed è, pertanto, sempre ammessa. Diverso dal trasferimento di cui all’art. 2103 è anche il trasferimento disciplinato dagli art. 15 e 22 dello Statuto dei lavoratori, facenti riferimento, rispettivamente, ai trasferimenti discriminatori e ai trasferimenti dei sindacalisti interni. Queste due forme di trasferimento sono infatti sempre vietate, la prima perché illecita, la seconda perché andrebbe a colpire il rappresentante sindacale eletto all’interno dell’azienda, il quale necessita di un contatto con la base per il ruolo e l’attività che è chiamato a svolgere. Il trasferimento collettivo, ulteriore fattispecie prevista dall’ordinamento italiano, consiste invece nello spostamento di una pluralità di lavoratori dell’impresa da una sede all’altra e la sua disciplina è soggetta a regole e procedure proprie. In quanto investe problematiche legate alla sopravvivenza della stessa impresa, nonché dei posti di lavoro, tale forma oltrepassa le ragioni di carattere tecnico-produttivo e organizzativo, su cui si basa il trasferimento individuale. La normativa contenuta nell’art. 2103 c.c. si applica anche al pubblico impiego, in virtù della privatizzazione di tale rapporto di lavoro. Il trasferimento nel pubblico impiego è ammesso, inoltre, all’interno delle procedure dirette a ottenere un impiego più razionale delle risorse impiegate.
Contratti collettivi di lavoro