INDIANA, UNIONE (App. III, 1, p. 853)
Popolazione e sviluppo urbano. - Con una popolazione di 610.077.000 ab. secondo una stima del 1976, l'U.I. è il paese più popoloso della Terra, dopo la Cina. I vistosi contrasti sono la caratteristica principale di questo stato, in cui si alternano le più alte catene montuose della Terra, vasti altipiani e sconfinate pianure, aree tra le più piovose del mondo e zone aridissime, foreste lussureggianti e ghiacciai eterni. Tutto ciò ha inciso profondamente sull'attuale distribuzione della popolazione, la cui pur elevata densità media (167 ab. per km2) non esprime realisticamente l'effettivo quadro distributivo degli abitanti.
In realtà accanto a vaste aree completamente spopolate corrispondenti in massima parte ai rilievi himalaiani e alle zone desertiche nord-occidentali, coesistono aree di fitto insediamento, in principal modo lungo le valli fluviali, nei delta, nelle isole e nelle zone che di recente hanno subìto un più intenso processo di urbanizzazione. Questa notevole eterogeneità nella distribuzione della popolazione trova corrispondenza altresì in una molteplice varietà di lingue e religioni, nonché nel diverso grado di sviluppo socio-economico degli stati federati. Nell'U.I. si distinguono tre grandi gruppi razziali (negridi, europidi e mongolidi, tutti a loro volta incrociati, tanto da originare un'accentuata mescolanza di caratteri somatici), cinque grandi gruppi linguistici (lingue dravidiche; arie; tibetobirmane; cino-siamesi e munda, a loro volta sminuzzate in oltre 200 lingue parlate: lingua ufficiale è l'hindi), due importanti gruppi religiosi (induismo e islamismo, professati rispettivamente da 453.300.000 e 61.418.000 seguaci, con minoranze cristiane, parse e di altre religioni).
Organismo geografico invero complesso e di difficile comprensione, ripartito in 22 stati e 9 territori, l'U.I. è oggi un paese in profonda evoluzione. Il suo elevato tasso d'incremento demografico, caratteristico soprattutto del periodo 1940-60, e la diffusione delle teorie malthusiane hanno indotto già dal 1965 il governo a istituire diversi centri di controllo delle nascite da attuarsi attraverso la vasectomia e la propaganda delle pratiche antifecondative, che hanno già portato a un sia pur lieve abbassamento del coefficiente di accrescimento annuo. Nonostante ciò la battaglia contro la fame, strettamente connessa all'incremento demografico, diviene sempre più aspra ed è caratterizzata essenzialmente da un crescente bisogno di generi alimentari, cereali prima di tutto, le cui importazioni all'inizio degli anni Sessanta superavano i 3 milioni di t annui e nel 1966 (anno di carestia accentuata) raggiunsero gli 11 milioni, oltrepassando persino le capacità ricettive dei porti nazionali. L'anno seguente, per l'ottimo andamento dei raccolti, si ridussero a 5 milioni; oggi l'U.I. risulta ancora un forte compratore di derrate alimentari, nonostante i progressi della sua agricoltura.
Contemporaneamente il processo di modernizzazione volge a una sempre maggiore industrializzazione, ma cozza contro resistenze ataviche e ostinate, che tendono a conservare in vita proprio quei valori culturali che contrastano maggiormente con la modernizzazione del mondo odierno. Di qui, per es., il modo disorganico e irrazionale con cui si manifesta il fenomeno urbano (bisogna tenere presente che il 20% della popolazione dell'U.I. è urbana, valore considerevole in un "paese di villaggi" di millenaria istituzione) che negli ultimi anni ha fatto riscontro a una lunga fase stagnante dello sviluppo della campagna e che accentua vieppiù il divario tra il mondo cittadino e quello contadino nonché quello tra i ricchi e i poveri di una stessa città: ciò contribuisce altresì a rendere alquanto precaria e instabile l'adozione e l'applicazione di validi modelli di sviluppo, la cui scelta da parte del governo nazionale diventa sempre più improrogabile.
La popolazione urbana è cresciuta nell'ultimo quindicennio a un ritmo del 2,5% all'anno. Gli sviluppi maggiori e insieme i contrasti tra lo squallore e la miseria della fascia periferica e la razionale e moderna funzionalità del centro urbano li ha avuti Nuova Delhi (3 milioni di ab.), capitale dello stato, formata dai due nuclei distinti di Delhi vecchia (che comprende i quartieri storici di millenaria memoria e i Civil Lines, di epoca coloniale) e Delhi nuova, costruita secondo schemi architettonici modernissimi. Delhi, però, non si configura come un importante centro industriale; le sue funzioni principali sono di natura politica, amministrativa e culturale, tanto che nel settore terziario è occupato il 71,5% della sua popolazione attiva.
Calcutta (7 milioni di ab.) è il principale agglomerato urbano dello stato, grosso emporio commerciale sul delta del Gange.
Da molto tempo Calcutta è diventata la metropoli anche culturale del Nord-Est e, all'atto della costituzione del Bangla Desh, il nuovo stato ha sentito viva l'esigenza di creare una metropoli e una regione industriale (Dacca-Narayangani) che costituissero l'alternativa a Calcutta. Nel contesto indiano Calcutta rimane la sola metropoli dotata di una vera e propria rete urbana funzionale e la sua area d'influenza, spingendosi molto oltre i limiti del delta, interessa i centri industriali del Bihar e dell'Orissa. La sua conurbazione, estesa per 50 km da Nord a Sud sulle rive dell'Hoogli, si presenta stretta e allungata, perché le fabbriche vengono sempre costruite in vicinanza dei fiumi e delle ferrovie che costeggiano le due rive, lungo le quali è tutto un susseguirsi di città-satelliti: Howrah, Bally, Kāmārhāti, Baranagar, Hoogli, Dum-Dum, Serampore, Barrackpore, Titagarh, Khardah. Alle industrie tessili della iuta si sono aggiunte in tempi recenti quelle del cotone e della seta, quelle alimentari, del cuoio, della gomma, del tabacco, chimiche e derivate e, nella più estrema periferia, una metallurgia di trasformazione associata al carbone di Jharia- Ranigani e al ferro di Asansol e Jamshedpur. La fortuna di Calcutta, infatti, dipende in gran parte pure dalla vicinanza alla più ricca regione mineraria indiana (Damodar-Jamshedpur, ecc.), la cui recente valorizzazione ha trovato un valido riscontro nell'efficiente funzionalità dell'armatura commerciale, bancaria e culturale della città.
Bombay (6 milioni di ab.) è una città ricca di industrie di trasformazione e manifatturiere, sede di attività culturali e finanziarie, che continua a essere il maggiore polo urbano del paese. La sua topografia le impone una forma particolare, caratterizzata dalla divisione in due settori: BombayCity, costituita da sette isolotti vulcanici, e Salsette, vasta penisola più settentrionale, separata da Bombay City da un'area paludosa dove oggi va estendendosi la fascia periferica della città.
Nella Bombay City è possibile riconoscere il quartiere industriale di Parel e quello residenziale di Malabar Hill, il Forte, vecchio quartiere britannico di aspetto europeo che a Est si fonde con varie installazioni portuali e a Ovest forma la Marine Drive. Nella Salsette, il nucleo centrale è rappresentato da una collina paludosa poco popolata, da cui s'irradiano i centri urbani di Trombay, Vile Perle, Bandra, Mahim, che si sono sviluppati lungo le linee ferroviarie e vanno sempre più popolandosi in questi ultimi anni. Bombay, "porto dell'India", che pure deve appunto al porto buona parte della sua fortuna, attualmente vede in pericolo la sua posizione commerciale per l'insufficienza delle infrastrutture e attrezzature portuali e per minaccia d'interrimento di gran parte del suo sito attuale. È opportuno tuttavia sottolineare che oltre il 43,5% della popolazione attiva della città è occupato nelle industrie tessili (lavorazione del cotone a tutti gli stadi), alimentari, chimiche, meccaniche, ecc., mentre meno incisivo, relativamente allo sviluppo metropolitano, è il settore terziario. Due maggiori comunità rivali, una di lingua marathi e l'altra di lingua gujarati, hanno segnato con il loro spesso violento antagonismo la storia recente di Bombay, che per la molteplicità delle comunità, per la varietà delle attività e per i contrasti sociali (coesistono, per es., quartieri lussuosi e sordidi slums) appare una delle più caratteristiche espressioni del mondo indiano e dei suoi problemi.
Madras (2,5 milioni di ab.) è il maggiore porto del Golfo del Bengala, in particolare per le comunicazioni con il Sud-Est asiatico.
Essa ha oscurato l'importanza di tutti gli antichi centri portuali vicini e solo a grande distanza è possibile reperire talune città di un certo rilievo (Bandar, Kākinada, Vishākhapatnam). Madras è una città poliglotta (74% Tamil, 25% Telugu) che manca di un vero e proprio centro, con la periferia caratterizzata da un susseguirsi di nuclei specializzati (bazar, quartieri amministrativi, residenziali e industriali). Il porto è completamente artificiale; esporta prodotti locali (cuoi, pelli, tessuti, arachidi, minerali di ferro e manganese, mica, sale marino) e importa carburanti, materie prime, manufatti. Madras non svolge un ruolo di primaria importanza nel campo industriale, anche se l'industria (tessile prima di tutto e poi metallurgica) occupa il 31% della popolazione attiva; la sua funzione principale rimane quella di prima piazza commerciale e finanziaria e di primo centro culturale dell'India meridionale.
Infine non bisogna dimenticare Hyderābād-Sikanderābād, articolata con duplice centro intorno a un lago, e una tra le più belle città dell'India. Il suo sviluppo è dovuto più a ragioni politiche che economiche; ecco perché a un relativamente debole settore secondario (21% della popolazione attiva) fa riscontro un potente settore terziario (72% di cui 45% addetti ai pubblici servizi). Pertanto si può dire che Hyderābād-Sikanderābād, posta in una povera regione del Deccan, ha una funzione principalmente sociale e intellettuale, mentre i centri costieri hanno una funzione prevalentemente commerciale. Nell'interno, la città di Bangalore ha saputo trarre notevoli impulsi dal processo d'industrializzazione (industrie tessili, alimentari, elettriche) e contemporaneamente amministrare lo spazio della propria crescita: oggi, essa rappresenta forse la più bella città residenziale dell'U.I., con quartieri ordinati e ben strutturati, su di una superficie estesa per oltre 70 km2.
Attività economiche. - A questo pur così diffuso sviluppo urbano fanno purtroppo ancora da contrappeso il basso reddito annuo procapite (140 dollari SUA, contro i 2760 dell'Europa occidentale e i 6240 degli SUA nel 1975) e la larga incidenza sull'economia nazionale dell'agricoltura. Questa, pur fornendo tra il 46% e il 52% della produzione nazionale lorda, è espletata con sistemi arretrati e dominata da un'élite rurale assai dotata che condiziona e quasi sempre capovolge i fini precipui di ogni programma di sviluppo, con conseguente ulteriore aggravio dei più impellenti problemi sociali ed economici del paese. Il settore più vitale è a tutt'oggi la cerealicoltura, la quale ha più che raddoppiato nell'ultimo quindicennio la sua produzione (nel 1975, la produzione del riso, la cui coltura è diffusa in tutto il paese, ammontava a 705 milioni di q, quella del frumento - nel Panjāb e Uttar Pradesh in particolar modo - a 242 milioni di q, quelle del sorgo e del miglio, importanti alimenti della popolazione indigena, a 201 milioni di q, mentre un discreto posto vanno assumendo anche il mais - 56 milioni di q, e l'orzo - 31,5 milioni di q).
I rendimenti medi per ettaro si mantengono però ancora bassi (riso, 18 q; frumento, 13; miglio 5) laddove sarebbe possibile ottenere grandi progressi con un maggiore uso di concimi, con la selezione delle sementi, con la riduzione delle perdite causate dalla distruzione di alimenti da parte di insetti e roditori (si calcola che i topi raggiungano i due miliardi) e, soprattutto, con l'irrigazione.
A partire dal 1960 sono stati predisposti numerosi piani, finanziamenti e apporti tecnici per la diffusione delle pratiche irrigue. Nel 1968, risultavano irrigati oltre 27 milioni di ha di terreno, mentre sono tuttora in atto numerosi progetti (Gandak, Kosi, Kakrapara, Tawa, Bhadra, Krishna, Malpratoha, Bahkra, Nangal, Rājasthān) tendenti a un più razionale sfruttamento irriguo dei corsi d'acqua e a una più efficiente utilizzazione agricola dei terreni.
Il controllo delle acque risulta oggi più avanzato nel Deccan (dove sono già ultimate e funzionanti da tempo le dighe di Tungabhdra, Damdar e Hirakud, Konya e Mettur), meno nelle regioni settentrionali e himalaiane (dighe di Sukkur, ultimata, e di Satlj e Kosi, progettata da poco) a causa della maggiore complessità dei problemi tecnici da risolvere.
Altre produzioni agricole rilevanti sono la patata, la manioca, le banane, le piante oleaginose (che dànno un notevole contributo alle esportazioni), la iuta, la canapa, il cotone (tipico delle regioni aride del NO indiano), gli agrumi, gli ortaggi e il tabacco. Un cenno particolare meritano infine il tè dell'Assam, il caffè delle regioni più meridionali e la canna da zucchero della piana gangetica (produzione di zucchero e di gur). Il quadro colturale delle regioni indiane si è comunque diversificato solo in alcuni casi. Generalmente solo le colture ad alto reddito (cotone, tabacco, ecc.) hanno attirato nell'India gl'investimenti e le cure adeguate che richiede l'agricoltura moderna. Le altre colture commerciali e quelle alimentari, sia in forma cooperativistica che privata, sono invece praticate secondo gli schemi più tradizionali e insufficienti.
Un cenno merita l'allevamento, che quasi mai risulta veramente associato all'agricoltura. L'India è un paese di tradizione pastorale, come testimonia l'alto numero di bovini (viene calcolato approssimativamente che ve ne sia uno ogni 2,7 abitanti), tra i quali è da rilevare una larga prevalenza dell'animale da latte. I rendimenti rimangono però miseri e il prezzo del prodotto è alto, il che ne limita il consumo.
A completare il quadro delle attività del settore primario, resta la pesca. Essa viene praticata lungo tutta la fascia costiera, ma specialmente nel Kerala, con mezzi insufficienti e tecniche rudimentali che consentono uno sfruttamento molto limitato dell'ambiente marino (nel 1975, 2.328.000 t). I pescatori si servono di piccole imbarcazioni, i kattu-maram, semplici zattere formate da tre o cinque tronchi legati, su cui essi si reggono in piedi, o i masula, barche di tavole legate assieme, governate con un timone. Tali imbarcazioni consentono solo la pesca costiera. Nel periodo interessato dal monsone di mare, stagione di grandi tempeste e di micidiali cicloni, il pescatore deve interrompere la sua attività. I rendimenti della pesca sono molto bassi, per cui le condizioni attuali sono misere quanto quelle degli anni Sessanta. Maggiori investimenti, la creazione di cooperative, un ammodernamento delle strutture consentirebbero al contrario il pieno sfruttamento di una risorsa che potenzialmente (si calcola che le possibilità della pesca nel Kerala, per es., siano 10 volte superiori alla produzione attuale) offre cospicue prospettive per avviare un programma di sensibile miglioramento socio-economico. Ma gli aspetti negativi già esaminati, oltre a frenare gl'impulsi di una maggiore produttività nel settore primario, allontanano anche i termini di una radicale rivoluzione industriale che solo nell'espletamento di una razionale ed efficiente agricoltura potrebbe trovare i presupposti per un rapido sviluppo. Così, a parte il fatto che le risorse minerarie, né abbondanti né complete nella loro gamma, non sono state ancora interamente valorizzate, l'industria, in concomitanza con il carattere "dipendente" dell'economia nazionale, ha ampliato più che restringere le già vaste disparità socio-economiche. Essa infatti dipende in massima parte dagli "aiuti" stranieri, che incidono poi profondamente sia sulla struttura delle esportazioni e importazioni sia (e soprattutto) sull'impostazione e sull'attuazione delle varie politiche di sviluppo programmato, con conseguente rilevante controllo di larghi settori dell'industria locale da parte dei capitali esteri. Il dominio tecnologico esercitato negli ultimi anni dagli Stati Uniti, oltre a frenare ogni impulso da parte degl'industriali indiani, ha letteralmente cancellato dalla scena politica ed economica la borghesia nazionale, che tanta parte ha avuto invece nello sviluppo economico dei paesi occidentali. Tra i settori industriali più vitali, comunque, compaiono proprio quelli che hanno subìto un più intenso processo di nazionalizzazione nell'ultimo decennio, vale a dire quello tessile (cotonifici di Bombay, Surat, Baroda, Aḥmadābād, Coimbatore, Nagpur, Sholapur, Madras, che nel 1973 hanno prodotto 7833 milioni di m di tessuto di cotone e 998.200 t di filati; lanificio di Kanpur, setifici di Varanasi, Mysore, Jagirood; iutifici, ecc.), del ferro, dell'acciaio e del carbone, che hanno dato origine a una forma mista di gestione industriale, insieme con quelli siderurgico, chimico e petrolchimico (i maggiori complessi sono gl'impianti siderurgici di Jamshedpur, Udaipur, della valle del Damodar, di Raurkela e di Bhilai) gl'impianti metallurgici di Tundao, gli svariati opifici meccanici, le cartiere di Calcutta, Ranigany, Poona, ecc.; gl'impianti chimici e farmaceutici di Calcutta, Sinti, Bombay; i cementifici di Madras e Sindi; le industrie alimentari, soprattutto gli zuccherifici nel Bihar, nell'Uttar Pradesh, a Madras, a Cossipur, ecc. e infine, l'industria cinematografica di Bombay. È bene sottolineare inoltre che la mancanza di sufficienti risorse petrolifere (gas naturale: 1032 milioni m3 nel 1975, petrolio della pianura del Gujarat, nel Panjāb e nell'Assam con appena 8,2 milioni di t nel 1975), incide negativamente sull'economia del paese, in cui è in atto, proprio in connessione con il generale aumento del costo delle materie prime sul mercato mondiale, un processo inflazionistico che minaccia di rompere il già delicato e precario equilibrio economico dello stato. Così, se nel 1972 il commercio estero dell'U.I. ha raggiunto il valore complessivo di circa 4,5 miliardi di dollari SUA, è difficile che vi possa essere negli anni prossimi un ulteriore aumento delle esportazioni, che fino a tale data sono state costantemente inferiori alle importazioni e che solo a partire dal 1972 segnano un valore lievemente superiore rispetto a queste ultime.
Bibl.: S. P. Griffith, Modern India, Londra 1965; M. Kidron, Foreign investments in India, ivi 1965; R. Segal, The crisis of India, ivi 1965; M. Edwards, British India 1772-1947, ivi 1967; G. Etienne, Studies in Indian agriculture: The art of the possible, Berkeley 1968; Ch. Bettelheim, L'Inde independante, Parigi 1971; G. Myrdal, Saggio sulla povertà di undici paesi asiatici, Milano 1971.
Finanza. - Nonostante il lento ritmo di sviluppo, l'economia indiana ha manifestato gravi tensioni inflazionistiche. I prezzi all'ingrosso sono cresciuti fra il 1971 e il 1975 del 66,50% e i prezzi al consumo hanno mostrato un andamento analogo. Soltanto verso la fine del 1974 le misure restrittive imposte dal governo indiano hanno dato i primi frutti, decelerando il tasso d'inflazione che nel 1975, secondo i dati del Fondo monetario internazionale, sarebbe stato addirittura negativo: −4,4%. Tali misure hanno avuto il loro fulcro, oltre che nelle usuali azioni di contenimento dell'espansione monetaria, nell'introduzione di un sistema di tassazione fortemente progressivo, che oltre a ridurre il disavanzo del bilancio dovrebbe contenere i consumi delle classi più abbienti.
Tuttavia l'aspetto più significativo dell'azione pubblica nel campo dell'economia è rappresentato dal tentativo di promuovere e orientare lo sviluppo per mezzo della programmazione economica e in particolare attraverso una serie di piani quinquennali.
Il terzo Piano quinquennale (1961-62/1965-66) aveva come obiettivo quello di assicurare una crescita stabile e duratura del reddito nazionale. I suoi obiettivi immediati erano: 1) garantire una crescita del reddito del 5% annuo, e, nello stesso tempo, una struttura degl'investimenti tale da assicurare un analogo sviluppo anche nei periodi successivi; 2) raggiungere l'autosufficienza alimentare e sviluppare la produzione agricola al fine di soddisfare le esigenze dell'industria e delle esportazioni; 3) espandere le industrie di base in modo da poter soddisfare autonomamente, nell'arco di 10 anni, le ulteriori esigenze dello sviluppo industriale; 4) occupare interamente la manodopera del paese; 5) redistribuire il reddito in modo da eliminare le sacche di povertà estrema.
La situazione creata dal conflitto indo-pakistano ritardò la definizione del quarto Piano quinquennale. Al suo posto, fra il 1966 e il 1969, furono formulati tre piani annuali, che, però, furono fortemente condizionati dalla situazione contingente e, soprattutto, dalla scarsità delle risorse finanziarie disponibili.
Il quarto Piano quinquennale (1969-74) si proponeva di accelerare il ritmo dello sviluppo in condizioni di stabilità e di ridurre le fluttuazioni della produzione agricola e degli aiuti esteri resi necessari da tali fluttuazioni. Si proponeva inoltre di elevare lo standard di vita della popolazione attraverso programmi che dovevano promuovere sia l'eguaglianza sia la giustizia sociale. Il piano poneva l'accento sul miglioramento delle condizioni di vita della parte più debole e meno privilegiata della società, soprattutto attraverso lo sviluppo dell'occupazione e dell'educazione.
I risultati concreti di tali piani sono abbastanza contraddittori. Durante il terzo piano il reddito nazionale crebbe di circa il 20% nei primi anni, ma diminuì del 6% nell'ultimo anno. L'andamento della produzione agricola non fu soddisfacente e una serie di crisi diffuse durante gli anni 1965-67 rallentò il tasso di crescita della produzione, rendendo necessario il ricorso all'importazione di generi alimentari. Il tasso di crescita della produzione industriale si mantenne intorno al 10% nei primi anni del piano, ma poi si ridusse al 5,7% nell'ultimo anno, a causa della guerra col Pakistan e della riduzione del flusso degli aiuti esteri. Il tasso di crescita effettivo della produzione industriale fu così, durante il periodo del piano, dell'8,2%, contro un tasso previsto dell'11%.
Il quarto Piano fu formulato in un periodo in cui l'economia doveva riprendersi da un'esperienza di recessione e in cui c'era, inoltre, un'ampia capacità inutilizzata nel settore industriale. Una migliore utilizzazione della capacità produttiva esistente fu quindi uno degli obiettivi principali del piano. Nel settore industriale il piano prevedeva una crescita media dell'8-10% annuo mentre la crescita realizzatasi in realtà fu inferiore. Nei primi quattro anni del periodo coperto dal piano i tassi di crescita furono rispettivamente del 7,3%, del 3,1%, del 3,3%, e del 5,3%, mentre per il 1975 la crescita è stata stimata intorno all'1%.
Successivamente è stato approvato il piano per il periodo 1974-79 i cui principali obiettivi sono, nuovamente, quelli della riduzione della povertà e del raggiungimento dell'indipendenza economica.
Il risparmio pubblico (negativo per il periodo del quarto piano) dovrebbe assorbire il 42% delle risorse interne destinate ai consumi. Tutto ciò però sembra difficilmente attuabile; la stretta creditizia attuatasi nel 1974, in conseguenza dell'aumento dei costi petroliferi che avevano fortemente inciso sulla bilancia commerciale, ha infatti permesso di ottenere in tempi brevi la stabilità dei prezzi interni (+0,6% nel 1974-75 contro +27,8% nel 1973-74), ma ha portato a un rallentamento nel ritmo di crescita. Infatti il peggioramento della ragione di scambio si riassorbe in tempi lunghi e il deficit petrolifero per il 1975-76 ammonterebbe, secondo dati ancora ufficiosi, a 2 miliardi di dollari.
La bilancia commerciale indiana si è chiusa quasi ogni anno in pareggio, mentre quella relativa ai servizi è sempre in deficit, sicché il saldo delle operazioni correnti è sempre passivo. L'India, però, beneficia tutti gli anni di molti aiuti internazionali, prima di tutto dai paesi occidentali: 341 miliardi di lire nel 1972, 410 miliardi nel 1973 e 633 nel 1974 (pari al doppio circa del deficit commerciale e all'1,3% del prodotto nazionale lordo). Altri aiuti vengono dai paesi dell'OPEC (180 miliardi nel 1974), senza contare quelli impiegati a sostegno della politica nucleare. Secondo dati ancora ufficiosi gli aiuti, per il 1975, sarebbero ammontati a circa 5 miliardi di rupie.
Storia. - Dopo il 1960 lo sviluppo economico e sociale è stato rallentato dalla pressione demografica, malgrado l'aiuto internazionale fornito per il secondo e terzo piano quinquennali. Gli avvenimenti di politica estera condizionarono quasi permanentemente l'azione del governo. Fino al 1959 il problema dominante era stato la continua tensione col Pakistan per la questione del Kashmir. In quell'anno la rivolta tibetana e la sua dura repressione deviarono l'attenzione verso i confini himalayani, dove la cosiddetta linea Mac Mahon, concordata nella conferenza tripartita di Simla del 1914, non era mai stata riconosciuta dai vari governi cinesi. L'incertezza del tracciato dei confini condusse a una serie di incidenti di frontiera, mentre lunghe trattative risultavano vane. Sebbene impegnato in quella direzione, il governo di Nehru poté conseguire un successo propagandistico mediante la breve campagna con cui l'esercito soverchiò facilmente la resistenza dei 3000 soldati portoghesi di guarnigione a Goa (19 dicembre 1961). L'India portoghese fu annessa; ma il facile successo tolse ogni credibilità alla conclamata non-violenza della politica indiana, mentre generava un'eccessiva fiducia nelle forze armate. Questa fiducia si dimostrò ingiustificata quando la situazione alla frontiera tibetana precipitò. Il 20 ottobre 1962 grandi contingenti cinesi passavano all'attacco e travolgevano le difese indiane nel settore orientale, giungendo a poca distanza dalla valle del Brahmaputra. Sorprendentemente i cinesi, vittoriosi su tutta la linea, un mese dopo dichiaravano unilateralmente la cessazione del fuoco e si ritiravano dietro le linee di partenza. La mediazione dei paesi non-allineati (conferenza di Colombo, dicembre 1962) non ebbe successo e un armistizio formale non fu mai concluso; ma da allora non si ebbero incidenti di rilievo nella zona himalayana.
La breve guerra del 1962 segnò una svolta netta non solo nella politica dell'India ma anche nella sua posizione internazionale. Essa significò la fine della politica della pacifica coesistenza regolata dai principi (pañcaśīla) fissati alla conferenza di Bandung del 1955; a lungo termine pose fine anche alla politica di equidistanza e all'influenza internazionale dell'India come capo morale di una terza forza, ormai irreale. Il Congresso mantenne la sua preminenza sulla scena politica, malgrado la diminuzione dei seggi subita nelle elezioni del gennaio 1962. Alla morte di Nehru, nel maggio 1964, gli successe L. B. Shastri, figura piuttosto scialba condizionata dall'ala conservatrice del partito.
Nel frattempo ritornavano in primo piano le relazioni col Pakistan. All'epoca della tensione con la Cina vi era stato un riavvicinamento, il cui frutto migliore era stato l'accordo del 19 settembre 1960 per l'equa distribuzione delle acque dell'Indo e dei cinque fiumi del Panjāb. Poi gli attriti ripresero. Si ebbero anzitutto nel 1964 gravi disordini nel Bengala orientale, in seguito ai quali circa 200.000 hindu fuggirono in India. Un incontro di Shastri col presidente pakistano non ebbe risultati concreti e nel maggio-giugno 1965 si ebbero combattimenti di una certa gravità causa l'incertezza del confine della maremma costiera (Rann del Kutch) ai confini col Sindh; la questione fu poi risolta da un arbitrato. Più grave fu la ripresa delle ostilità nel Kashmir, regione che il governo stava integrando sempre più completamente nell'Unione. Un'offensiva pakistana (i settembre 1965) ebbe come risposta una controffensiva indiana nella zona di Lahore; si ebbero accanite battaglie di mezzi corazzati e il conflitto minacciò di estendersi per un ultimatum (poi ritirato) della Cina all'India. Il Consiglio di Sicurezza dell'ONU riuscì a imporre una tregua, ma un vero e proprio armistizio si ebbe soltanto per la mediazione dell'URSS (conferenza di Tashkent, 4-10 gennaio 1966); tuttavia i generici accordi ivi conclusi non risolsero nessun problema.
L. B. Shastri morì per un attacco cardiaco a Tashkent l'11 gennaio e il suo posto come primo ministro fu preso da I. Gandhi, figlia di Nehru. Essa trovò il paese in una situazione alquanto difficile, anche perché le insufficienti piogge del 1965 e 1966 avevano causato una grave carestia e quindi una situazione economica pesante; nel 1966 fu dovuta svalutare la rupia. Altri indizi preoccupanti furono la vittoria comunista nelle elezioni provinciali del Kerala (1965) e i disordini studenteschi del 1966-67, dovuti alla povertà, all'affollamento delle università, ecc. Quindi le elezioni generali del febbraio 1967 conservarono bensì la maggioranza al Congresso, ma con un notevole ridimensionamento. Nel marzo 1967 scoppiarono delle piccole rivolte locali a Naxalbari e altre località pedemontane del Bengala, guidate dall'ala estrema del partito comunista di osservanza cinese; le attività di terrorismo e di guerriglia dei cosiddetti Naxaliti costituirono un grave imbarazzo al governo per diversi anni. Anche il problema della lingua non era di facile soluzione, data la recisa opposizione del sud a lasciarsi imporre l'uso del hindi: si finì col prorogare ancora l'uso ufficiale dell'inglese. Nello stesso quadro psicologico e nella stessa epoca furono create delle nuove unità federali, onde soddisfare esigenze locali di autonomia linguistica. Dal Panjāb furono staccati i distretti di lingua hindi (stato di Hariana); dall'Assam furono staccati i territori della frontiera nord-orientale (Arunachal Pradesh), delle tribù Naga (Nagaland, dopo una guerriglia durata tre anni), delle colline di Jaintia e Garo (Meghālaya), dei monti del sud tra Birmania e Bengala (Mizo). Alcuni dei territori sotto governo federale furono elevati a stati dell'Unione.
Nel luglio 1969 la precaria situazione finanziaria indusse I. Gandhi a nazionalizzare le 14 banche maggiori, procurandosi l'accanita ostilità dell'ala conservatrice del Congresso capeggiata dal ministro delle Finanze M. Desai; e nel novembre si giunse a una scissione del partito, sebbene la maggioranza dei parlamentari congressisti rimanesse fedele alla Gandhi. Per qualche tempo le due fazioni si osteggiarono in parlamento, finché la situazione fu chiarificata dalle elezioni del marzo 1971, che rappresentarono una grande vittoria per il primo ministro.
Ormai però la vita politica indiana era dominata dalla questione del Bengala orientale, dove i fermenti separatisti erano stati sanguinosamente stroncati dall'esercito pakistano (marzo-aprile 1971). L'India fu costretta a dare temporaneo asilo a masse enormi di profughi (si parlò di circa dieci milioni), e ben presto cominciò a concedere il suo pieno appoggio ai guerriglieri. Di fronte al pericolo di un'intesa cino-pakistana, l'India concluse il 9 agosto un trattato di amicizia e cooperazione con l'URSS, che concesse importanti forniture militari. Coperte così alle spalle, il 3 dicembre 1971 le truppe indiane varcavano il confine. La breve guerra, limitata quasi al solo Bengala, finì con la resa delle forze pakistane in quella regione (16 dicembre). Cominciò così la sua difficile esistenza il nuovo stato del Bangla Desh (v.), con cui l'India concluse un trattato di assistenza. Infine, dopo molte difficoltà sul rimpatrio dei prigionieri di guerra, una serie di accordi tra il 1972 e il 1975 stabilirono un modus vivendi col Pakistan.
Anche questa guerra ebbe ripercussioni rilevanti. Anzitutto l'accordo con l'URSS e l'ostilità aperta dimostrata durante la guerra dalla Cina e (in misura minore) dall'America portarono alla fine anche formale dell'equidistanza in politica estera. All'interno, ai magri risultati del quarto piano quinquennale (1969-1973) si aggiunse il rimando sine die del quinto piano, reso impossibile da una nuova siccità (1972-73) e soprattutto dalla crisi mondiale del petrolio che colpì l'India come tutti gli altri paesi non produttori. Bilancia commerciale passiva, inflazione, ecc. non impedirono però l'attuazione del primo esperimento indiano di esplosione nucleare al plutonio, avvenuto nel maggio 1974, che provocò proteste generali nei paesi asiatici.
Le difficoltà crescenti, il sempre più rigido autoritarismo del primo ministro, l'arresto di vari capi dell'opposizione portarono a una situazione sempre più tesa, malgrado la proclamazione dello stato d'emergenza. Ai primi del 1977 I. Gandhi s'illuse di poter ottenere un avallo popolare alla sua politica e convocò i comizi elettorali, togliendo allo stesso tempo lo stato d'emergenza. Ne approfittò l'opposizione, confluita nel nuovo partito Janata, per condurre un'intensa quanto abile propaganda elettorale. Le elezioni del marzo 1977 risultarono, con sorpresa generale, un completo disastro per il Congresso e per I. Gandhi che non venne neppure rieletta al Parlamento. Il 24 marzo 1977 entrava in carica un nuovo governo, capeggiato dall'ottantenne Morarji Desai, antico discepolo del Mahatma Gandhi e capo del partito Janata.
Presidenti dell'U. I. in questo periodo furono il filosofo S. Radhakrishnan (1962-1967), il musulmano Z. Husain, morto in carica nel 1969, V. V. Giri (1969-1974), un altro musulmano, Fakhr ud-din Ali Ahmad, morto in carica nel 1976, e quindi B. D. Jatti.
Bibl.: N. M. Maxwell, India's China war, Londra 1970 (trad. it. Milano 1973); W. J. Barnds, India, Pakistan and the great powers, New York 1972; S. M. Burke, Mainsprings of Indian and Pakistan foreign policies, Minneapolis 1974.
Letteratura. - La presente voce è intesa a trattare nel loro più ampio raggio le letterature dell'India sulle quali, in passato, non si era soffermata adeguatamente l'attenzione e che gli studi recenti portano in piena evidenza.
Letteratura assamese. - Nel periodo più antico, la maggior parte delle opere scritte in lingua assamese, o Ahamiya, ha carattere religioso e consiste per lo più in versioni o rielaborazioni dei grandi poemi epici sanscriti. La prima traduzione del Rāmāyaṇa si deve a Mādhava Kandalī, un poeta elogiato dal suo ben più illustre successore Saṅkaradeva (1449-1568), che diffuse in Assam il movimento bhakta e scrisse, oltre a diverse opere ispirate al Bhāgavata-purāṇa, un'importante raccolta di canti religiosi dal titolo Kīrtana-ghoṣā, canzoni (ãaragīt) e drammi (aṅkīya-nāṭa). L'arrivo degl'inglesi nel 1826 e l'introduzione della stampa nel 1836 diedero l'avvio alla letteratura moderna, caratterizzata dall'uso di nuovi generi letterari di tipo occidentale.
Letteratura gujarati. - Una delle opere più illustri dell'antica letteratura del Gurjaradeśa (odierno Gujarat) è il Kānhaḍade-prabandha, composto da Padmanābh verso la metà del sec. 15°: si tratta di un poema che, sullo stile delle chansons de geste, narra l'epica lotta di Kānhaḍade, re di Jhalor, contro il sultano Allā-ud-din. Un grande impulso alla letteratura fu dato dai bhakta visnuiti, fra i quali Narsiṃha Mehtā (circa 1500-1580) occupa un posto di rilievo. La letteratura gujarati moderna si sviluppò dal sec. 19° in poi. Il primo rappresentante della nuova poesia fu Dalpatrām Dahyābhāī (1820-1898), collaboratore di A. K. Forbes, che fondò nel 1848 ad Ahmedabad la Gujarat Vernacular Society. Naturalmente un posto di primaria importanza spetta a Mohandās Karamcand Gāndhī, il "padre" dell'I., che non solo nella sua Ātmakathā, ma anche in una nutrita serie di articoli, dimostrò di possedere uno stile semplice e vigoroso che fu di esempio ai successivi prosatori.
Letteratura oriya. - Fra le lingue indo-europee moderne dell'I., l'oriya, parlato in Orissa (l'antico Kaliṅga), vanta il documento più antico, l'iscrizione di Ananta Varma Vajrahasta Deva (1051 d. Cristo). La letteratura del primo periodo è per lo più anonima, e le sue opere più importanti sono una cronaca degli avvenimenti del regno intitolata Mādaḷā Pāñji e le Brata kathā (Racconti del culto). Verso la metà del sec. 15° visse il primo grande poeta dell'Orissa, Sāraḷā Dāsa, autore di un rifacimento del Mahābhārata, che comprende anche parti del Bhāgavata-purāṇa e che è tuttora assai popolare. All'inizio del sec. 16° scrissero cinque poeti bhakta noti come i "cinque amici" (Pañca Sakhā), mentre nei secc. 17° e 18° il prevalere d'una poesia di corte in stile ornato s'accompagna al declino politico; Upendra Bhañja (1670-1720) è forse il più prolifico autore di questa età. In epoca moderna si segnalano due poeti, Rādhānātha Rāya (1848-1908), il cui capolavoro è Mahāyātrā, e Madhusūdana Rao (1853-1912), poeta mistico e fervente seguace della Brāhma Samāj, il quale svolse anche, attraverso una serie di periodici, un'ampia opera educativa. Un notevole prosatore moderno è Phakīrmohana Senāpati (1843-1918), autore, fra l'altro, di un romanzo di grande successo; Chaa māṇa āṭha guṇṭha (Sei acri e mezzo).
Letteratura hindī. - La lingua hindī moderna, fondata sulla parlata khaṛī bolī della regione di Delhi, è diventata lingua nazionale dell'Unione indiana, dove si va sempre più diffondendo come lingua ufficiale. Il padre della letteratura hindī del periodo moderno è Bhārtendu Hariścandra (1850-1885) e la sua importanza è tale che il periodo in cui visse viene ricordato come "età di Bhārtendu". Ma il momento forse più fecondo di tutta l'epoca moderna è quello che va dal 1920 al 1935, periodo in cui appaiono non solo i più bei romanzi e racconti di Prem Cand (1880-1937), il Verga dell'I. (il suo Godan è stato tradotto in molte lingue anche occidentali), ma si afferma anche la più importante scuola poetica del Novecento. Si tratta del Chāyāvād o "scuola dell'ombra", un movimento romantico i cui poeti costituiscono il famoso quartetto, e sono: Sūryakānt Tripāṭhī "Nirālā" (1896-1962), il fondatore della scuola, Jayaśaṅkar Prasād (1889-1937), Sumitrānandan Pant (nato nel 1900) e Mahādevī Varmā (nata nel 1907). Dopo il 1935 si è affermato un movimento progressista in letteratura, che ha fra i suoi maggiori esponenti Agyey; nel 1943 è stata pubblicata un'opera poetica antologica dal titolo Tār Saptak, i cui autori si definiscono "sperimentalisti".
Letterature dravidiche: v. dravidiciie, lingue, XIII, p. 207.
Letteratura tamil???. - I primi documenti in lingua tamil risalgono al 2° secolo d.C. e sono pertanto i più antichi documenti in una lingua neo-indiana. Nel 3°-4° secolo d.C. troviamo già due ampie antologie, il Patir???r???uppattu (I dieci idilli) e l'Ĕṭṭuṭṭŏkai (Otto antologie) che comprendono poemi d'amore (akam) e ballate eroiche (pur???am). Allo stesso periodo sembra appartenga anche la prima grammatica della lingua tamil???, il Tŏlkāpiyam, compilata dal jaina Tŏlkāppiyar; il Kur???aḷ di Tiruvaḷḷuvar è invece un'opera di alto valore morale, che illustra i tre fini dell'esistenza terrena (puruṣārtha). A carattere epico è il Cilappatikāram di Iḷaṅkovatikal, composto intorno al 6° secolo. Di estrema importanza, fra il 6° e il 9° secolo, sono le opere dei bhakta scivaiti (nāyan???mār) e visnuiti (āḷvār), raccolte rispettivamente nel Tirumur???ai e nel Nālāyirappirapantam di Nātamuni. Nel periodo Col???a (10°-13° secolo) l'opera più importante è un libero rifacimento del Rāmāyan???a, dovuto a Kampan???. Fra i poeti moderni spicca la figura di C. Subrahmaṇya Bhārati (1884-1922), autore di Kaṇṇan??? Pāttu e Pāñcāli Capatam.
Letteratura tĕlugu. - La prima figura di scrittore della zona Andhra è Nannaya, che scrisse durante il regno del sovrano Cālūkya orientale Rājarājanarendra (1022-1063) la sua versione del Mahābhārata. L'opera, rimasta incompiuta per la prematura morte del poeta e del suo patrono, fu poi ultimata da due scrittori più tardi, Tikkapna (sec. 13°) ed Ĕrrāpragaḍa (sec. 14°). Ancor oggi assai popolare è una versione libera del Bhāgavata-purāṇa composta da Potana (1400-1475), ma la letteratura classica in tĕlugu vive il suo momento più splendido nel secolo successivo, sotto il governo dell'imperatore di Vijayanagar Kṛṣṇadevarāya (1509-1530), poeta insigne egli stesso. Nel periodo moderno, oltre alla poesia lirica (bhāvakavitvam) sono molto coltivati il teatro e il romanzo, e si segnala anche una vivace attività letteraria attraverso riviste specializzate come Bhārati, fondata da K. Nageśvara Rao.
Letteratura kannaḍa. - Le "tre gemme" della letteratura canarese antica (10° sec.) sono Pampa, Pōnna e Ranna, il primo dei quali scrisse un noto rifacimento del Mahābhārata, col titolo di Vikramārjunavijaya o Pampabhārata. Nel 12° secolo si colloca un'opera di particolare interesse, in quanto è una versione jaina del Rāmāyaṇa, composta da Abhinava Pampa, o Pampa II. Il primo romanzo kannaḍa, la Līlāvatī, fu composto attorno al 1370 da Nemicandra, in stile campū. Nello stesso stile è scritta una delle opere più famose di questa letteratura, il Rājaśekharavilāsa di Sadaksara Deva (1675). D. R. Bendre (nato nel 1896), prosatore e poeta, si può considerare il fondatore della letteratura kannada moderna, mentre B. M. Shrikanthayya è noto per aver introdotto il verso sciolto. Celebre poeta lirico contemporaneo è V. K. Gokak (nato nel 1909), mentre nella prosa si è affermato il racconto breve, in cui è maestro Masti, uno scrittore dallo stile vigoroso e personale.
Letteratura malayāḷam.- Le prime opere di una certa importanza sono datate a partire dal sec. 9°, quando, per influenza dei brahmani Nambūdiri, si sviluppò uno stile particolare, ricco di espressioni sanscrite e chiamato Maṇipravālam ("Pietra preziosa" o "Corallo"). Altre opere, come il Rāmacaritam (10° sec.), rivelano invece una spiccata influenza tamil???. Nel 14° secolo si colloca un'opera assai importante, l'Uṇṇunīli Sandeśam, pregevole contributo del Kerala alla letteratura dei dūtakāvya. Il secolo successivo annovera opere come la Rāmāyaṇacampū di Punam Nambūdiri e il Rāmāyaṇa di Kaṇṇaśśa Rāman, scritta quest'ultima in puro malayāḷam. Ĕl???uttaccan, il cui nome significa "Padre delle lettere", autore dell'Adhyātmarāmāyaṇa, è un poeta assai popolare del sec. 16°, e altrettanto popolari sono le due forme di arte drammatica, la Kathākali e il Tuḷḷal, che si svilupparono nei secoli immediatamente successivi. Fra i poeti moderni meritano di essere ricordati Kumāran Āśān, Vallathol, Ullur e G. Śaṅkara Kurūp, mentre il più originale e valido romanziere dei nostri giorni è Śivaśaṅkara Pillai, autore di Cemmīn e di altri romanzi anche a sfondo psicologico.
Bibl.: Autori vari, Letterature medievali e moderne dell'India, in Storia delle Letterature d'Oriente, diretta da O. Botto, III, Milano 1969; L. P. Mishra, Le Letterature moderne dell'India, in Le Letterature dell'India, ivi 1970.
Archeologia. - Negli ultimi decenni, le ricerche in campo archeologico si sono rivolte essenzialmente alla civiltà dell'Indo, alle altre culture calcolitiche e al primo periodo storico. Piuttosto trascurati appaiono invece la preistoria da un lato e il periodo hindu dall'altro. Quasi completamente negletto è infine il periodo musulmano. Accanto a numerosi, benché spesso limitati scavi, gli studiosi indiani sono giunti a scoperte in gran parte nuove grazie all'usatissimo metodo del C-14. Fra i siti scavati che cadono nella "civiltà dell'Indo" e che coprono ormai un'area che a oriente giunge alla piana gangetica e a sud fino alla Tāptī, i più rilevanti sono Lothal e Kālibangan, entrambi nel Saurāshtra. A Kālibangan, una città dalla struttura tipica di questa civiltà, esistono anche costruzioni in muratura che appartengono a un'epoca precedente alla cultura di Harappā vera e propria. È opinione degli archeologi indiani che mentre le città "metropolitane" di Harappā e Mohenjo-dāro fiorirono in un lasso di tempo piuttosto breve, fra il 2350 e il 2000 a. C., le città "provinciali" del Saurāshtra siano sorte in ritardo, rimanendo però in vita fin verso il 1750. Questa nuova datazione aggrava naturalmente il problema relativo al lungo periodo che corre tra la fine delle città dell'Indo e gl'inizi del periodo storico. Intorno al 2000 a. C., contemporaneamente alla fine di Harappā e di Mohenjo-dāro, si ha, sempre nel Saurāshtra, il sorgere della cultura di Banas, caratterizzata dall'assenza di microliti, dall'abbondante Black and Red Ware e da edifici ancora costruiti in mattoni cotti. Le si sovrappone, verso il 1700 a.C., un'altra cultura calcolitica, quella del Mālwā, in cui si hanno invece i microliti e semplici capanne di argilla. La ceramica è bruno-chiara o rossa con disegni neri. Terza giunge la già nota cultura di Jorwe, databile al 1400-1100 a. Cristo. La Black and Red Ware si diffonde insieme con la cultura del riso in parecchie località dell'I. centro-occidentale e gangetica, secondo un andamento in cui cronologia e geografia non si accordano. La si trova già nel 2200 a.C. a Lothal, nel 2000 ad Ahar, nel 1700 a Navdatoli, nel 1500 a Eran, nel 1200 ad Atranjikhera e solo nell'800 a.C. a Chirand (in questa località del Bihār si è individuato il primo insediamento neolitico consistente della valle del Gange: poiché i livelli più bassi della cultura calcolitica sono datati al 1650 a.C., l'inizio della precedente cultura neolitica dovrebbe risalire a circa il 2000 a.C.). L'uso del ferro pone fine alla cultura calcolitica. Anche in questo caso alcune recenti scoperte hanno rivoluzionato le già accettate datazioni. Infatti i reperti di ferro trovati ad Atranjikhera (Uttar Pradesh) nel nord e a Hallūr (Mysore) nel sud si datano circa al 1000 a.C., se non prima. Abbassata la datazione del ferro, cambia di prospettiva anche il problema della cultura megalitica del Deccan. Fantasiosamente datati prima degli scavi del Wheeler a Brahmagiri, e poi da questo assegnati ai primi secoli a.C., i megaliti ridiventano antichi. Nello scavo dei siti megalitici, particolarmente attiva è stata l'università di Nāgpur: sono da ricordare gli scavi di Takalghāṭ, Khapa, Kauṇḍinyapura I, Mahurjari e di Junapani, tutti nella regione del Vidarbha (Mahārāshṭra).
Più vicino all'epoca storica, un importante scavo è stato condotto a Sonkh (Mathurā), dove, attraverso i livelli medievali e gupta, si è giunti al più antico livello kuṣāṇa con la scoperta di un tempio absidato, già fondato in epoca śuṅga, dedicato al culto dei Nāga e provvisto di una balaustra, per la prima volta trovata in un tempio. Nel Saurāshtra, i due limitati scavi di Nagara e di Dwarka hanno rivelato un'occupazione assai lunga, che attraversa il periodo più vivace nei primi secoli dell'era cristiana, caratterizzato dalle anfore romane e dalla Red Polished Ware. Non lontano, a Devnimori (ora sommersa dall'acqua di una diga), si è scavato un insediamento buddhista - probabilmente della scuola Sammitīya del Piccolo Veicolo - che accanto a un più antico vihāra ha rivelato un grande stūpa della fine del 4° secolo, adorno di sculture che sembrano costituire il ponte fra l'arte del Gandhara e l'arte gupta.
Nel Maharāshtra, lo scavo di Bhokardan, la città sātavāhana di Bhogavardana, oltre alle anfore romane e alle Red Polished Ware, ha dato una statuetta mutila di avorio del tutto simile a quella famosa di Pompei. A Pauni, nei pressi di Nāgpur, si sono parzialmente scavati due antichi stūpa buddhisti. Le sculture che provengono dal primo stūpa, più volte ampliato sono vicinissime a quelle di Bhārut e di Sāñcī, tanto che Pauni può essere considerata il centro di trasmissione del buddhismo (e della Northern Black Polished Ware) nelle regioni meridionali. Ancora un sito buddhista, ma molto più tardo, nel Bengala, è Rājbāḍīdāṇgā, identificata con Karṇasuvarṇa, la metropoli di Śaśāṅka, il primo re del Bengala (7° secolo d. Cristo). Il sito buddhista di Salihundam (Āndhra Pradesh), infine, mostra un'occupazione pressoché ininterrotta dal 2°-3° sec. a. C. al 7°-8° sec. d. Cristo. Per l'epoca hindu si hanno in tutta l'I. grossi restauri monumentali, che a volte - come ad Aihoḷe (Mysore) - servono a chiarire la cronologia dei templi. A Paṭṭaḍakal, a poca distanza da Aihole, sono apparse le rovine di un tempio pilastrato probabilmente di epoca sātavāhana. Vedi tav. f. t.
Bibl.: Accanto alla rivista Indian Archaeology, che informa puntualmente degli scavi, delle ricognizioni e dei restauri che si compiono ogni anni in I.: S. R. Rao e altri, Excavation at Rangpur and other Explorations in Gujarat, in Ancient India, 18-19 (1962-63), pp. 5-207; H. D. Sankalia, Prehistory and Protohistory of India, Bombay 1962; W. Willetts, An 8th Century Buddhist Monastic Foundation. Excavation at Ratnagiri in the Cuttack District of Orissa, in Oriental Art, n. s., XI, i (1963), pp. 15-21; B. B. Lal, Indian Archaeology since Independence, Delhi 1964; R. Subrahmanyam, Salihundam, a buddhist site in Andra Pradesh, Hyderabad 1964; N. R. Banerjee, The Iron Age in India, ivi 1965; S. B. Deo e altri: Sangaon Excavations 1965, Poona 1965; H. D. Sankalia, Excavations at Langhnaj: 1944-63, 3 voll., ivi 1965; Z. D. Ansari, M. S. Mate, Excavations at Dwarka, ivi 1966; S. C. Malik, The Late Stone Age Industry from excavated Sites in Gujarat, India, in Artibus Asaiae, XXVIII (1966), pp. 162-74; R. N. Metha, S. N. Chowdary, Excavation at Devnimori, Baroda 1966; R. N. Metha, A. J. Patel, Excavation at Shamalaji, ivi 1966; K. N. Dikshit, A Note on Palaeolithic Site at Bairat, in Rajasthan, in The Researcher, a Bullettin of Rajasthan's Archaeology and Museums, VII-IX (1966-68), p. 26-30; V. N. Misra, Pre-and Proto-history of the Berach Basin, South Rajasthan, Poona 1967; B. e R. Allchin, The Birth of Indian Civilization, Harmondsworth 1968; S. R. Das, Rājbāḍīdāṇgā: 1962, Calcutta 1968; S. B. Deo, M. K. Dhavalikar, Paunar Excavation (1967), Nagupur 1968; M. G. Dikshit, Excavations at Kaundinyapura, Bombay 1968; H. Härtel, Excavations at Sonkh (Mathura), in Bullettin of Museums and Archaeology in Uttar Pradesh, nn. 1 (1968), pp. 3-8, 2 (1968), pp. 3-5, 3 (1969), pp. 1-5, 5-6 (1970), pp. 1-4; R. N. Metha, Excavation at Nagara, Baroda 1968; Autori vari, Potteries in Ancient India, Patna 1969; Z. D. Ansari e altri, Excavation at Sangankallu, 1964-65, Poona 1969; H. D. Sankalia, Mesolithic and Pre-mesolithic Industries from the Excavations at Sangankallu, Bellary, 1965, ivi 1969; H. D. Sankalia e altri, Excavations at Ahar (Tambavati), ivi 1969; H. D. Sankalia, Some Aspects of Prehistoric Technology in India, Nuova Delhi 1970; D. P. Agrawal, The Copper Bronze Age in Technology in India, Nuova Delhi 1970; D. P. Agrawal, The Copper Bronze Age in India, ivi 1971; W. Faiservis Jr., The Roots of Ancient India, New York 1971; A. Sudnara, A Unique Megalithic Monument and other Megalithic tombs in Hunur, Dist. Belgaum Mysore State, in East and West, 21 (1971), pp. 97-102; S. B. Deo, J. P. Joshi, Pauni Excavation 1969-70, Nagpur 1972; R. S. Gupte, Excavations at Bhorkadan, ivi 1972; B. K. Gururaja Rao, The Megalithic Culture in South India, Prasaranga 1972; S. R. Rao, A Note on the Chronology of Early Chālukyan Temples, in Lalit Kalā, 15 (1972), pp. 9-18; S. B. Deo, Mahurjari Excavation 1970-72, Nagpur 1973; K. N. Dikshit, Excavation at Kaseri and Allahapur, in Bulletin of Museums and Archaeology in Uttar Pradesh, 11-12 (1973), pp. 1-6; H. Härtel, A Kusāna Nāga Temple at Sonkh, ibid., nn. 11-12 (1973), pp. 1-6; id., Die Kuṣāṇa-Horizonte im Hugel von Sonkh (Mathura), in Indologen-Tagung, Wiesbaden 1973, pp. 1-24; S. Koskenniemi e altri, Materials for the Study of the Indus Script, I, Helsinki 1973; V. N. Misra, A New Prehistoric Ceramic from Rajasthan, in East and West, 23 (1973), pp. 295-306; S. R. Rao, Lothal and the Indus Civilization, Londra 1973; B. K. Thapar, Recent Excavations in India, in Indologen-Tagung, Wiesbaden 1973, pp. 25-46; D. P. Agrawal, S. Kusumgar, Prehistoric Chronology and Radiocarbon Dating in India, Nuova Delhi 1974; M. D. Raghavan, N. Devasahayam, Excavations by the Madras Museum at Kipaulk, Panunda, Punnol and Sankavaram, in Bullettin of the Madras Governement Museum, XII, i (1974); M. H. Rao, S. Nagavaju, Excavations at Hemmige, Mysore 1974; S. Bhan, Excavation at Mitathal (1968) and other Explorations in the Sutlej-Yamuna Divide, Kurukshetra, 1975.