Per densità storica e spaziale è senza dubbio una delle grandi capitali della galassia dell’arte urbana, una sorta di “New York del Sud”, in quanto come la città statunitense è una delle pochi metropoli al mondo a poter vantare una tipologia di graffiti del tutto indipendente, corrispondente al nome di pichação.
Writing. La vicenda dei graffiti a S. si divide nettamente in due ampie direzioni, divergenti e poco comunicanti tra loro. La capitale del Brasile è la patria del pichação (pixe in portoghese sta per catrame, lett. "scrivere col catrame”), una forma di espressione segnica completamente autoctona, caratterizzata, sin dalle origini, da una forte volontà militante e di protesta sociale. A testimoniarlo sono le lettere aguzze e disturbanti, un alfabeto calligrafico notevolmente influenzato dai caratteri runici utilizzati dalle band heavy metal più famose degli anni Ottanta. Ogni pratica di arte urbana è figlia del suo ambiente, e gli alti palazzoni bianchi che contraddistinguono l’orizzonte della metropoli divengono un target irrinunciabile per i pixadores, i quali si arrampicano a decine di metri di altezza, correndo colossali rischi pur di portare in alto il nome della propria crew. L’atto di rivendicazione sociale di autonoma conquista del proprio spazio, che forgia alle fondamenta questa forma di graffiti, sopravvive nel tempo a ogni discorso di prevaricazione estetica e cooptazione artistica del movimento, e questa è una delle fondamentali linee di demarcazione che li distingue dai cosiddetti “hip hop graffiti” provenienti dall’America Settentrionale. Questi ultimi si introducono nell’ambiente paulista attorno alla fine degli anni Ottanta, influenzando numerosi giovani locali e affiancandosi, senza sradicarla, alla pratica dei pixadores. L’esercizio del pichação si protrae intatto sino a oggi, saturando e in alcuni casi monopolizzando lo spazio visuale in numerosi punti della città. Tra le fondamentali influenze alla scena locale del writing va annoverato il fecondo incontro tra il writer di San Francisco Twist aka Barry McGee e i gemelli Otavio e Gustavo Pandolfo, conosciuti globalmente come Os Gemeos, i quali grazie al primo accedono direttamente agli stili e alle tecniche prodotte negli Stati Uniti.
Street art. La capitale concentra su di sé buona parte della scena brasiliana dell’arte urbana, offrendo grande abbondanza di originalità e freschezza. Figure artistiche cresciute nelle sue strade come Os Gemeos e Nunca raggiungono le vette della popolarità e del consenso internazionale, arrivando persino a dipingere le pareti esterne della Tate Modern di Londra (2008). Una nutrita schiera di talenti che non sempre corrisponde a un’adeguata consapevolezza da parte delle autorità e degli operatori locali. Anche per le dimensioni della città che ne amplificano la portata, la metropoli paulista può considerarsi una sorta di paradigma del cortocircuito che oggi, in buona parte delle grandi città del mondo, ruota attorno a numerosi artisti, da un lato – quello istituzionale – celebrati, dall’altro – quello della strada – spesso osteggiati e fatti oggetto di contraddizioni. In questo senso numerose problematiche sono emerse nell’ambito dell’applicazione della Lei cidade limpia (2006), una normativa varata contro l’invasività di pubblicità e graffiti nello spazio visuale della città, che fa cadere all’interno delle operazioni di pulizia dei muri, non del tutto consapevolmente, numerosi lavori di artisti autorizzati dalla prefettura o addirittura promossi in una piccola guida dall’Ente municipale del turismo. Su questo tema è nato un film-documentario emblematicamente chiamato Cidade cinza (“Città grigia”, 2013) dove alcuni dei nomi più celebri nel mondo della street art locale vengono seguiti nella ricreazione di un’importante murata, cancellata solo pochi mesi prima, sull’Avenida 23 de Maio, una delle strade più trafficate della città. Tra i protagonisti dell’opera vi sono Os Gemeos, i due gemelli che hanno portato i propri smagriti e languidi personaggi gialli dai muri scrostati di Cambuci, quartiere dell’area centro-meridionale della metropoli, sino alla conquista delle pareti di tutto il mondo. Figure dalla pelle color cacao caratterizzano, invece, l’immaginario di Nunca: il riferimento va alle popolazioni precolombiane del Brasile, tuttavia i costumi tipici subiscono spesso il confronto critico-ironico con la modernità. Il richiamo alle origini etniche è uno dei motivi che più contraddistinguono l’apparato figurativo e tematico degli artisti locali, nonché lo stile – la stessa accentuata propensione all’esprimersi artisticamente nello spazio comunitario discende da una tradizione che da millenni trova nei paesi del Sud America un terreno particolarmente favorevole sul quale attecchire. In questa direzione si sviluppa altresì la ricerca di Cranio, i cui inconfondibili omini blu di una marziana tribù amazzonica accompagnano la vista degli abitanti di S.P. in numerosi angoli della città, imbastendo quasi una colonizzazione al contrario. La ricca e accesa tavolozza cromatica è ciò che di più brasiliano contraddistingue il lavoro di Eduardo Kobra, uno dei più apprezzati e ricercati artisti muralisti sulla scena internazionale; Kobra è protagonista in città del progetto Muros da Memória, dove scenari della vita paulista dei primi decenni del Novecento rivivono dentro grandi murales realizzati con una tecnica d’imitazione fotografica in bianco e nero. Uno dei luoghi simbolo dell’arte urbana paulista è rappresentato da un piccolo vicolo interamente ricoperto da strati di pittura e chiamato Beco do Batman, situato nel cuore di Vila Madalena, area ad alta densità culturale e artistica nella parte occidentale della città. Al contrario, anche le zone di frontiera e i luoghi inospitali quali canali fognari, ponti e rifugi per senzatetto possono diventare il ricercato terreno di espressione per artisti autoctoni, come Zezão, ex pixador e autore di fluide forme blu dal carattere ornamentale, già esportate in altre città del mondo.