Iniziative finalizzate a rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono la realizzazione delle pari opportunità tra lavoratori e lavoratrici, introdotte dalla l. 125/10 aprile 1991; devono essere promosse da soggetti istituzionali (il comitato e i consiglieri di parità), dai sindacati e dai datori di lavoro; inoltre, è fatto obbligo alle amministrazioni pubbliche di adottare piani di azioni positive. Le azioni positive trovano un sostegno costituzionale nell’art. 37 della Costituzione (secondo il quale «la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione») e costituiscono un completamento della disciplina legislativa esistente in materia di divieto di discriminazioni fondate sul sesso. Tale disciplina, contenuta nella l. 903/9 dicembre 1977, prevede il divieto di ogni discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l’accesso al lavoro, il trattamento retributivo, l’attribuzione delle qualifiche, delle mansioni, e in genere la progressione di carriera, nonché i trattamenti di natura previdenziale. Questa normativa si è dimostrata insufficiente a risolvere il problema dell’uguaglianza nel lavoro per le donne come per altri gruppi svantaggiati, in quanto la semplice affermazione formale del divieto di discriminazione non ha trovato adeguati riscontri nel mercato del lavoro. Al fine di aumentare l’efficacia del principio di parità, il legislatore ha così ritenuto necessario aggiungere, alla parità formale degli strumenti, le azioni positive, che consentano di contrastare in concreto situazioni che impediscono il realizzarsi dell’uguaglianza effettiva tra lavoratori e lavoratrici.
Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro. Profili sostanziali
Atti e trattamenti discriminatori