Scrittore norvegese (Kvikne, Hedmark, 1832 - Parigi, 1910). Studiò dapprima a Molde e poi nella capitale, dove conobbe Ibsen, Vinje e J. Lie, ma li lasciò ben presto per passare a occuparsi di letteratura, di teatro e di giornalismo militante. Redattore e critico teatrale del Morgenbladet (1854-56), dell'Aftenbladet (1859-60), del Norsk Folkeblad (1866-67) e di altri giornali, esordì come narratore di freschi e sobrî racconti d'intonazione popolare e d'ambiente rusticano: Synnøve Solbakken ("La fattoria del sole", 1857), Arne (1858), En glad gut ("Un ragazzo allegro", 1860), Smḁstykker ("Novellette", 1860), Fiskerjenten ("La figlia del pescatore", 1868), che, malgrado l'intento pedagogico, sono quanto di meglio sia uscito dalla sua penna. I personaggi di essi esemplificano sì il trionfo della virtù sull'egoismo, della religione sugli istinti, ma insieme sono figure vive, schiette. Ben diverse appaiono le opere dell'età matura. Se i drammi della prima maniera, per lo più in versi: Mellem slagene ("Fra le battaglie", 1857), Halte Hulda ("Hulda la zoppa", 1858), Sigurd Slembe ("Sigurd il violento", 1862), rispecchiano il Romanticismo patriottico e arcaizzante, mentre quelli moderni: En fallit ("Un fallimento", 1875), Redaktøren ("Il giornalista", 1875), Leonarda (1879), Kongen ("Il re", 1877), En handske ("Un guanto", 1893), giù fino a Paul Lange og Tora Parsberg (1898), rispecchiano ora lo schietto amore del bene e della virtù, ora il liberalismo brandesiano, l'assenza di forza drammatica vizia alla base sia gli uni sia gli altri. Così pure nella narrativa: da Magnhild (1877) a Støv ("Polvere", 1882), da Det fiager i byen og på havnen ("Bandiere sulla città e sul porto", 1884) a På Guds veje ("Sulle vie di Dio", 1889) c'è più volontà di bene e buon senso che acume psicologico e senso dell'arte. Persino il dramma che già Brandes giudicava il suo capolavoro, Over aevne ("Oltre le forze umane", 1883), resta in fondo un "caso" psicologico, un esperimento pseudoscientifico. Nel 1857 successe a Ibsen nella direzione del teatro di Bergen, diresse poi quello della capitale (1865-67) e infine uno proprio (1877-82). Fra il 1870 e il 1880 combatté, anche con articoli e celebri discorsi, le sue più impegnative battaglie politiche per l'avvento al potere d'una sinistra radicale, e preparò così il paese alla pacifica soluzione del conflitto unionistico con la Svezia, ufficialmente sanzionata dal plebiscito del 1905. Nel 1903 gli fu conferito il premio Nobel per la letteratura. La sua vita di letterato, di giornalista, di uomo di teatro, di riformatore sociale e di patriota spiega il tradizionale errore di prospettiva che lo ha accostato a Ibsen. Si tratta in realtà d'uno spirito del tutto diverso. Ardente di zelo missionario, di puritana austerità e d'ingenua fede nella vita, ebbe dell'arte un'idea tutta strumentale e se ne servì a illustrazione del proprio programma morale. Fu perciò senza dubbio il massimo animatore della rinascita civile della Norvegia moderna.