Ebrei
Un popolo con una storia del tutto particolare
Chi sono gli Ebrei? I protagonisti della Bibbia, uno dei libri più antichi mai scritti? Le vittime della Shoah, lo sterminio di massa voluto dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale? Il popolo eletto? Questo e tanto altro. La storia dei figli d'Israele inizia millenni avanti Cristo e continua sino a oggi: è un racconto avvincente, diverso da quello di ogni altro popolo. Gli Ebrei chiamano la storia toledot, una parola che in ebraico significa "generazioni": il passato è per loro come una lunga catena in cui ogni individuo costituisce un anello, piccolo ma indispensabile perché essa non si spezzi
Gli Ebrei non sono una razza, e nemmeno i seguaci di una determinata religione. Costituiscono invece un popolo, che condivide una storia, un'identità spirituale e di fede (giudaismo). Il modo migliore per avvicinarsi a questa storia è quello di partire dalle parole.
Ebreo, giudeo, israelita, israeliano: chi sono? E significano tutti la stessa cosa? Naturalmente no. Il primo a essere chiamato ebreo (ivrih) fu Abramo, il patriarca della Bibbia da cui discendono le tre stirpi di monoteisti (fedeli che credono all'esistenza di un unico Dio, diversamente dai pagani o politeisti, secondo i quali esistono svariate divinità): ebrei, cristiani e musulmani.
La Bibbia è il libro, anzi l'insieme di libri che racconta il cammino dell'uomo verso la fede in un unico Dio creatore dell'Universo e giudice. Abramo è fra i primi a ricevere la cosiddetta rivelazione, la parola di Dio, cioè, che dall'alto dei cieli gli parla e gli ordina che cosa fare. Il Dio della Bibbia è invisibile e inconoscibile, non va raffigurato per rispetto dell'immensa distanza che separa l'uomo da lui. Anche per questo, forse, Abramo è chiamato ivrih, una parola che probabilmente in origine significava "colui che sta dall'altra parte", "che ha attraversato".
Gli Ebrei sono detti dalla Bibbia anche figli d'Israele, o Israeliti: Israele è infatti il nome che prende Giacobbe, nipote di Abramo (perché figlio di Isacco suo figlio), dopo aver udito anch'egli la chiamata divina. Giacobbe è il capostipite delle dodici tribù (o grandi famiglie) che compongono il popolo ebraico: dalle due mogli, Lea e Rachele, e dalle serve Bila e Zilpa, Giacobbe ebbe infatti i dodici figli che diedero il nome alle tribù.
Gli Ebrei, o figli d'Israele, sono anche chiamati Giudei, da Giuda, che è uno dei figli di Giacobbe: questo Giuda non ha nulla a che vedere con l'apostolo che tradì Gesù nell'ultima cena, consegnandolo ai Romani. È invece il capostipite di una delle tribù che, con il suo piccolo territorio, riuscì più a lungo a rimanere indipendente nell'antichità, prima di cadere nelle mani dei diversi imperi che conquistarono la nazione ebraica nell'epoca antica: gli Assiro-Babilonesi, i Greci, i Romani. E tanti altri a seguire, nel Medioevo e nell'era moderna, come gli Arabi, i crociati europei, i Turchi.
Gli Israeliani, infine, sono i cittadini dello Stato di Israele, rinato alla fine della Seconda guerra mondiale dopo quasi duemila anni. Lo Stato di Israele sin dalla sua nascita è al centro di un lungo conflitto con i paesi arabi circostanti, originato dal rifiuto della decisione dell'ONU del 1947 di creare due Stati: uno ebraico e uno arabo. In Israele abitano dunque i cittadini israeliani, che sono in maggioranza Ebrei, cioè membri del popolo ebraico e seguaci dell'ebraismo inteso come fede e tradizioni. Ma qui vive anche una minoranza di cittadini israeliani che non sono Ebrei e che è composta da arabi musulmani, cristiani e membri di etnie diverse.
Dunque, gli Ebrei non sono una nazione, né soltanto una fede religiosa, né tantomeno una razza (come hanno creduto, o fatto finta di credere, coloro che li hanno perseguitati in nome della purezza della razza, come i Tedeschi durante il nazionalsocialismo). Gli Ebrei sono invece un popolo dal destino molto particolare: un popolo che ha vissuto buona parte della sua storia disperso fra le altre genti, in mezzo a culture, lingue, regimi diversi. In Italia così come in Marocco, India, Argentina, Russia, Etiopia e tanti, tanti altri paesi del mondo. E pur vivendo in questa situazione per millenni, gli Ebrei hanno continuato a custodire la propria identità (a essere, insomma, diversi dagli altri, per fede, costumi, usanze alimentari).
Oggi, quasi ovunque, gli Ebrei non sono più guardati con sospetto, diffidenza e magari anche odio a causa della loro diversità, del fatto cioè di continuare a essere sé stessi invece di assimilarsi, cioè diventare come gli altri. Gli Ebrei non sono più rinchiusi nei ghetti, i quartieri della città dove erano costretti ad abitare e da dove non potevano uscire se non con un permesso speciale delle autorità. Non sono più considerati perfidi, cioè infedeli, seguaci della fede sbagliata. Conservano invece quasi sempre un senso profondo della propria identità. Inoltre ci si può anche convertire all'ebraismo, così come si diventa cristiani, buddisti, musulmani. La conversione è però un lungo cammino di studi, di raccoglimento, di colloqui: il fatto è che quando si diventa Ebrei non si assume solo una nuova religione, un nuovo modello di vita fondato sui comandamenti della legge ebraica. Si entra anche a far parte di questa stirpe, della sua storia, delle sue convinzioni.
Partiamo dunque dalle origini, cioè da quel lungo viaggio che Dio ordina ad Abramo: "vai per questa strada che ti dirò, verso una destinazione che ancora non conosci" gli dice Dio con una voce che viene da dentro Abramo stesso. È il racconto narrato nel primo libro della Bibbia, la Genesi. In cambio dell'obbedienza, il Signore fa una promessa ad Abramo, che ripeterà varie volte nel corso della lunga vita di questo patriarca: "renderò la tua discendenza numerosa come le stelle del cielo e i granelli di sabbia sulla riva del mare".
L'altro momento cruciale delle origini è quello che ogni anno gli Ebrei celebrano con la festa di Pesach, cioè la Pasqua ebraica, che rievoca la conquista della libertà e l'esodo, cioè l'uscita dall'Egitto. Questo racconto è narrato nel secondo libro della Bibbia, detto dell'Esodo. Dopo molte vicissitudini, gli Egizi lasciarono uscire gli Ebrei, trattenuti nel loro paese. In quella notte Dio passò sull'Egitto e poi sul Mar Rosso, che si aprì davanti alle tribù guidate da Mosè, in fuga verso la libertà, e la terra promessa. Per quarant'anni, narra la Bibbia, gli Ebrei vagarono per il deserto, ricevettero la rivelazione dei comandamenti sul Sinai, e attesero di poter entrare nella terra che Dio aveva loro assegnato. Dietro questo mito delle origini c'è probabilmente la realtà storica di un'ondata migratoria verificatasi a cavallo della preistoria.
Di qui in poi, per chi vuole saperne di più basta seguire la storia narrata nella Bibbia, che ovviamente gli Ebrei non chiamano Vecchio Testamento, anche perché non ne hanno uno nuovo da contrapporvi. Dopo la conquista della terra promessa da parte delle tribù d'Israele, il paese è governato dai giudici e successivamente viene l'era della monarchia, con Saul, Davide e Salomone che si succedono al trono. Alla morte di Salomone, il sovrano che passò alla storia per le sue ricchezze, il suo potere e la sua saggezza, il regno però si divise in due: uno del Nord, che comprendeva dieci delle dodici tribù, e uno del Sud, con capitale Gerusalemme. Il territorio era infatti diviso in piccole regioni, ciascuna delle quali assegnata ai discendenti dei figli di Giacobbe.
Fra i momenti della storia ebraica destinati a lasciare ancora una volta un segno nella memoria del popolo vi è l'esilio di Babilonia. All'inizio del 6° secolo a.C. il regno del Sud, che comprende i territori delle tribù di Giuda e Beniamino e ha per capitale Gerusalemme, viene conquistato da Nabucodonosor, sovrano di Babilonia, il quale non si limita a prendere il potere, ma deporta gran parte della popolazione. Il regno del Nord, quello che comprendeva i territori delle altre dieci tribù, era già stato sconfitto e i suoi abitanti deportati anni addietro a opera di Salamanassar, re di Assur. Questi eventi sono narrati nel secondo libro dei Re della Bibbia. Finisce così l'epoca del Primo Regno in terra d'Israele, e comincia un breve esilio: grazie all'editto di Ciro (538 a.C.), infatti, una cinquantina d'anni dopo gli Ebrei poterono tornare alla loro terra. Dovranno passare alcuni secoli prima che il popolo ebraico viva di nuovo due svolte fondamentali.
Una prima svolta importante fu la predicazione di Gesù: un ebreo vissuto nella Palestina di allora che ha cambiato il volto del mondo. Il nome Palestina deriva probabilmente da quello dei Filistei, una popolazione di stirpe fenicia che viveva sulle coste. I primi cristiani, seguaci del messaggio di Gesù, furono Ebrei che vivevano all'epoca in quella terra e in altre regioni del Mediterraneo.
L'altro evento fu la conquista della regione da parte dei Romani, che arrivarono, dopo lunghe e travagliate successioni di potere, alla fine dell'epoca ellenistica. Conquistata la terra d'Israele, i Romani si trovarono di fronte a una situazione molto delicata e a un popolo ‒ quello ebraico ‒ piccolo ma estremamente difficile da domare. E soprattutto ben deciso a non prestare culto alle divinità pagane: furono anni di lotte, rivolte, disordini, finché nel 70 d.C. l'imperatore Tito decise di risolvere drasticamente la situazione, distruggendo il Tempio di Gerusalemme, l'unico luogo di culto in cui gli Ebrei offrivano sacrifici e preghiere al loro Dio, mettendo a fuoco tutta la città e cacciando il popolo ebraico dalla sua terra. In questa data precisa inizia dunque la seconda diaspora, che è esilio e dispersione al tempo stesso: cacciati dalla loro terra, gli Ebrei si sparpagliarono per il mondo, incominciando dalle città dell'Impero Romano.
Nella diaspora gli Ebrei hanno costituito delle piccole comunità: bisognava organizzare la liturgia (con la distruzione del Tempio, unico luogo di culto a Dio, la preghiera sostituì la pratica di offerte e sacrifici), garantire la distribuzione della carne macellata secondo le norme scritte nella Bibbia, provvedere all'istruzione dei bambini. La comunità è detta in ebraico qehillah ed è come una piccola società con le sue regole, all'interno della società più grande che detiene il potere.
Quando infatti il cristianesimo comprese che per diffondersi fra le genti era necessario penetrare nella civiltà romana, abbandonando il fronte dei vinti ‒ gli Ebrei sconfitti e privati della propria nazione ‒ per quello dei vincitori, rinnegò le proprie origini e iniziò a diffondere il disprezzo per la radice ebraica.
Furono secoli di cosiddetto antigiudaismo. Per un verso questo popolo doveva sopravvivere perché era il testimone della passione di Gesù Cristo; per l'altro era considerato colpevole di un delitto imperdonabile: la morte di Dio in croce, della quale erano invece storicamente responsabili i Romani che allora dominavano il paese. In questo modo gli Ebrei avevano rifiutato la rivelazione.
La diaspora, la dispersione del popolo ebraico, divenne così il marchio infamante, la dimostrazione della loro dannazione. La teologia e la politica, la letteratura e la fede contribuirono a diffondere questa immagine negativa degli Ebrei. Fra i tanti eventi di questa storia si possono ricordare le Crociate, che nel Medioevo fecero molte vittime innocenti: i combattenti diretti a liberare la terra santa dagli infedeli islamici che all'epoca la governavano, passando per l'Europa uccisero moltissimi Ebrei e incendiarono e distrussero le loro case.
Nel 1492 gli Ebrei di Spagna, una comunità molto numerosa e fiorente, furono posti di fronte all'alternativa tra la conversione e l'esilio. Più o meno a quell'epoca si definì la distinzione fra Ebrei vissuti nelle aree del Mediterraneo e dell'Oriente, detti sefarditi (in ebraico Sefarad significa "Spagna"), e quelli che abitavano nell'Europa del Nord, detti ashkenaziti (Ashkenaz significa "Germania"), cui si deve la creazione di una lingua con la sua grande letteratura, l'yiddish. Gli Ebrei spagnoli parlavano invece il ladino, un miscuglio di antico spagnolo ed ebraico.
Pochi anni dopo la cacciata dalla Spagna nacque in Italia il primo ghetto, a Venezia. Da molti secoli, peraltro, gli Ebrei erano costretti ad abitare in determinati quartieri e non in altri, non potevano possedere case né terreni, avevano un'assai limitata libertà di movimento.
In molte città dell'Europa agli Ebrei era concesso di abitare solo a patto che svolgessero una attività professionale all'epoca proibita dalla Chiesa. Si trattava del prestito, su pegno o a interesse, esercitato dagli Ebrei attraverso i banchi (gli antenati delle banche). Questa attività a cui furono per lo più costretti è alla radice della diceria secondo cui gli Ebrei sono avari, attaccati al denaro: ma non avevano altra scelta!
Così vissero dunque per molti secoli, finché fra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento iniziò il lungo cammino per l'emancipazione (cioè la liberazione) degli Ebrei. Un cammino fatto anche di passi indietro e difficoltà, che si completò solo nel 20° secolo. Finalmente accolti nella società degli altri, molti di loro si gettarono a capofitto in questa nuova esperienza, liberandosi di un passato travagliato. Questo spiega anche la conseguente affermazione di molti Ebrei nelle scienze, nelle arti, nella letteratura, nell'impresa e nella finanza: è lo slancio di entusiasmo da parte di un popolo sempre rifiutato, che ora vuole dimostrare a sé stesso e agli altri le proprie capacità e la propria riconoscenza per essere stato finalmente affrancato e accettato.
Eccoci all'epoca contemporanea, e in particolare a quel 20° secolo carico di due eventi fondamentali nella storia ebraica: la Shoah, cioè lo sterminio di sei milioni di Ebrei a opera dei nazisti, e la rinascita dello Stato di Israele, nel 1948. L'antisemitismo nazista è stato a lungo studiato: fu insieme una teoria della razza (fondata sull'errato presupposto che gli Ebrei siano una razza) e della superiorità. Strascichi d'odio antigiudaico, concretizzatosi in una macchina organizzativa di immense proporzioni.
La soluzione finale progettata dai nazisti consisteva nell'eliminazione fisica di tutti gli Ebrei dalla faccia della Terra: essa ha cambiato il volto dell'Europa e del mondo, da allora. Lo Stato di Israele, peraltro, non rinacque solo dalle ceneri dello sterminio: il movimento sionista (sionismo) era sorto già alla fine del secolo precedente, e aveva riportato molti Ebrei alla loro terra d'origine, allora sotto dominazione ottomana.
Oggi gli Ebrei sono nel mondo circa 13 milioni: abitano soprattutto nello Stato di Israele e negli Stati Uniti. In Italia (dove gli Ebrei non sono mai scomparsi del tutto) esiste una comunità molto piccola: oggi vivono qui circa 29.000 Ebrei. Molti di loro abitano in Italia da almeno cinquecento anni e hanno qui radici profonde: si sentono Ebrei non meno che Italiani, perché l'identità ‒ per tutti, non solo per loro ‒ non è mai un fatto esclusivo.
Vi sono alcune parole fondamentali per capire gli Ebrei e la loro storia. Innanzitutto la Bibbia, che in ebraico è detta Miqrah, cioè "oggetto di lettura" (mentre i cristiani la chiamano Scritture), oppure Tanach, sigla che sta a indicare i libri Torah, cioè Pentateuco, Nebi'im, cioè Profeti e Katubim, cioè Scritti.
Sinagoga è invece una parola greca e indica il luogo dove gli Ebrei si radunano a pregare insieme: in ebraico si chiama bet ha-knesset, cioè "casa di riunione", ma è detta anche "scuola". Kasher significa "adatto", ma indica in particolare i cibi conformi alle regole alimentari della Bibbia, per esempio il divieto di consumare carne di maiale (e altre) e di mischiare latte e carne nello stesso pasto.
L'antigiudaismo è l'atteggiamento contro i Giudei che ha segnato la storia della cristianità per molti secoli: in esso si mischiavano sentimenti di disprezzo per l'infedele, che non voleva saperne di convertirsi alla nuova religione e restava invece attaccato alla propria, e di diffidenza verso il diverso che aveva usanze tutte sue. L'antisemitismo è invece un sentimento moderno, nato nell'Ottocento su basi non più religiose ma razziali, per quanto errate: in questo caso l'ebreo resta tale anche se si converte. Non conta più la fede, bensì un presunto sangue impuro. Lo sterminio nazista è il culmine di quest'odio.