Vedi Etiopia dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
La vastità, il complesso percorso storico e la molteplice identità etnica e culturale fanno dell’Etiopia un paese leader e dalle enormi potenzialità e allo stesso tempo ne rappresentano gli elementi di maggiore fragilità.
Il controllo esercitato dall’Eprdf si è mantenuto negli anni, riproducendo di fatto un sistema politico a partito unico e impedendo una reale transizione al multipartitismo. Il federalismo ha permesso l’emersione di nuove élites locali, ma non ha alterato una politica di governo paternalistica e autoritaria. La reale partecipazione delle diverse forze di opposizione alle elezioni federali e regionali, che si sono susseguite dal 1995 al 2010, è stata impedita o limitata da una serie di intimidazioni e discriminazioni riconducibili, appunto, al partito di governo. L’opposizione anche su base etnica all’egemonia dell’Eprdf ha così progressivamente assunto un carattere violento.
La morte del primo ministro Meles Zenawi, leader del Tplf dai tempi dell’opposizione al Derg, avvenuta nell’agosto del 2012, dopo pochi mesi di malattia, ha messo la leadership etiopica di fronte alle difficoltà di una transizione non attesa. I delicati equilibri etnici che sono alla base della tenuta dello stato sono stati così messi a rischio. Il presidente Hailemariam Desalegn, di etnia wolayta, vice e successore di Meles secondo quanto previsto dalla Costituzione, ha rappresentato una soluzione temporanea per tenere sotto controllo le spinte esogene all’interno e fra i gruppi etnici. Alla fine del 2012, Hailemariam ha operato un rimpasto di governo che ha assegnato a esponenti di varie origini e fazioni un ruolo di rilievo: forse non si è trattato di una maggiore apertura verso un modello meno accentratore, ma della manifestazione dell’incapacità di Hailemariam di tenere unite le diverse anime del movimento e quindi del bisogno di fare importanti concessioni ai principali attori sulla scena politica. In ottobre 2013 Mulatu Teshome Wirtu è stato eletto nuovo presidente e ha così sostituito Girma WoldeGiorgis, che è stato in carica per 12 anni.
La riorganizzazione dell’Etiopia sulla base dell’autonomia locale attraverso il principio di autodeterminazione ha costituito la premessa della secessione dell’Eritrea già nel 1991. L’ex colonia italiana ha mantenuto un ruolo strategico importantissimo per l’Etiopia in ragione della sua complementarietà culturale, economica e geopolitica: i porti eritrei di Massaua e Assab costituiscono lo sbocco naturale per i commerci dell’Etiopia.
L’uscita dell’Eritrea dall’area monetaria del birr nel 1997 non ha solo portato alla ritorsione da parte etiopica di non accettare pagamenti in nakfa, la nuova valuta eritrea, ma ha innescato una crisi sfociata in una vera e propria guerra. I combattimenti sono iniziati nel 1998, prendendo il via da una controversia confinaria, e sono terminati solo nel 2000 con l’intervento di una missione di interposizione delle Nazioni Unite. Nel 2008 si è conclusa anche la missione internazionale, per il ripetuto boicottaggio da parte eritrea. Da allora la tensione è andata aumentando lungo il confine. Nel 2012 è esplosa, in seguito a un’azione dell’esercito etiopico all’interno dei confini eritrei.
L’Etiopia è membro delle Nazioni Unite, dell’Intergovernmental Agency for Development (Igad), l’organizzazione regionale del Corno d’Africa, e dell’Unione Africana (Au), che ha la sua sede in Addis Abeba.
Le relazioni con gli Stati Uniti sono oggi molto strette, dopo che il regime rivoluzionario del Derg (il governo militare di ispirazione socialista) aveva indotto durante gli anni Settanta a un ribaltamento delle alleanze nell’intera regione con il passaggio dell’Etiopia al blocco sovietico e della Somalia al campo occidentale.
La controversia con il Sudan per le reciproche interferenze è andata smorzandosi con la firma nel 2000 di un trattato bilaterale per la pacifica risoluzione dei conflitti e la sicurezza del confine.
Il conflitto con l’Eritrea si è riprodotto indirettamente anche durante l’intervento militare che l’Etiopia ha compiuto in Somalia dal dicembre 2006 al gennaio 2009 e poi dalla fine del 2011, a tutela della propria sicurezza nazionale e a servizio della politica statunitense nella regione. Le truppe etiopiche sono intervenute in aiuto del governo federale di transizione somalo contro i gruppi islamisti che godevano dell’appoggio del governo eritreo. Nell’ottobre 2013 due cittadini somali sono morti in seguito a un’esplosione presso lo stadio di Addis Abeba: si sospetta che stessero preparando un attentato. Il rischio di ritorsioni dei gruppi terroristici islamici somali rimane dunque alto e le norme di sicurezza sono state rafforzate.
Nell’altopiano centrosettentrionale il cristianesimo ortodosso di rito copto costituisce la religione più diffusa. La Chiesa copta d’Etiopia è stata storicamente uno dei pilastri del potere imperiale etiopico ed è stata formalmente dipendente dal patriarcato di Alessandria d’Egitto fino al 1959, quando divenne autonoma sotto le pressioni dell’imperatore Hailè Selassiè. Il cristianesimo copto è stato la religione ufficiale dello stato fino alla rivoluzione del Derg, nel 1975. Secondo le stime odierne, circa il 42% della popolazione etiopica è cristiano-ortodossa, mentre il protestantesimo e il cattolicesimo, diffusi in epoca coloniale e precoloniale, costituiscono una minoranza. Le Chiese evangeliche registrano però una crescente influenza negli ultimi anni.
Ribaltando una tendenza storica di lungo periodo, i musulmani hanno superato oggi i cristiani e ammontano al 4550% della popolazione totale. Sono concentrati soprattutto nelle regioni orientali, occidentali e meridionali. I Beta Israel, denominati spregiativamente falasha (‘straniero’ in amarico), costituivano la comunità ebraica d’Etiopia: sono stati trasferiti in Israele, su iniziativa del governo israeliano, tra il 1984 e il 1991. I trasferimenti autorizzati degli ebrei etiopici sono continuati fino al 2013, quando Tel Aviv ha decretato la fine del provvedimento, suscitando molte proteste a proposito dell’arbitrarietà e della natura discriminatoria di una tale decisione.
In contrasto con il principio di autodeterminazione incardinato nella nuova Costituzione federale, il rispetto dei diritti civili rimane fortemente limitato per la repressione operata dal governo contro i diversi movimenti di opposizione e in particolare contro gli studenti universitari. Gravi violazioni dei diritti umani sono state inoltre perpetrate quando, a seguito della guerra del 19982000, tutti gli eritrei e gli etiopi di origine eritrea sono stati espulsi dal paese secondo la logica di una deportazione di massa che non ha risparmiato donne e bambini. I mezzi di comunicazione e la stampa continuano a subire limitazioni, benché la legge statuisca la piena libertà di informazione. Alla fine del 2013 il maggiore partito di opposizione, e l’unico a essere rappresentato in parlamento, Unity for Democracy and Justice (Udj), ha accusato le forze di polizia della detenzione e tortura di più di 150 affiliati in due anni.
La dipendenza da Sudan e Sud Sudan per l’approvvigionamento di petrolio e idrocarburi rappresenta un elemento di fragilità: tra il 2012 e il 2013 il presidente sudanese Al Bashir ha più volte manifestato la volontà di chiudere gli oleodotti, come ritorsione dei presunti aiuti del Sud Sudan ai gruppi ribelli sudanesi. Questo avrebbe danneggiato anche i paesi riforniti, come l’Etiopia. La diga Grand Renaissance, in costruzione sulle acque del Nilo, ha a sua volta creato forti tensioni, raffreddando i rapporti con l’Egitto, che non ha mai accettato una più equa distribuzione delle risorse idriche, fatto salvo un accordo col Sudan. Mentre Etiopia, Ruanda, Tanzania, Kenya, Uganda e Burundi hanno firmato un accordo quadro per la gestione concertata delle acque del Nilo, l’Egitto si è sempre rivelato contrario a questa soluzione. Rappresentanti del governo etiopico ed egiziano si sono incontrati a più riprese, senza raggiungere per il momento risultati significativi.
Con i suoi 138.000 effettivi l’esercito etiopico è uno dei più grandi dell’intero continente. La sicurezza nazionale è a rischio in diverse zone del paese dove sono attive forze antigovernative. Particolarmente critiche sono la regione dei Somali, dove opera il movimento armato dell’Ogaden National Liberation Front (Onlf), e l’Oromia, territorio d’azione dell’Oromo Liberation Front (Olf). Le truppe etiopiche sono state inviate a sostegno del governo federale di transizione in Somalia.
Un contingente di 4200 soldati etiopici è impegnato in una missione di peacekeeping nella regione di Abyei, un territorio conteso e dunque smilitarizzato fra Sudan e Sud Sudan.
La Costituzione federale del 1995 ha incluso nel nuovo stato le diverse nazionalità su base etnica, ridefinendo anche i contenuti della stessa cittadinanza alla luce del principio di autodeterminazione.
La nascita della Repubblica Federale Democratica d’Etiopia ha dunque incentivato il rafforzamento delle identità etniche a livello delle diverse province, disegnate secondo confini che riprendono in parte quelli dell’Africa Orientale Italiana (AOI). Questa sistemazione territoriale sconta un’evidente semplificazione e riduzione della complessità sociale e culturale del paese. Gli Oromo, oggi la nazionalità più numerosa, sono solo in parte raggruppati nella regione etnica dell’Oromia, mentre la stessa denominazione data alla Regione delle nazioni, nazionalità e popoli del Sud (SNNPR) rinvia a una complessità evidentemente maggiore. Gli Amhara, che non sono propriamente un gruppo etnico, ma costituiscono l’élite culturale dominante nella storia del paese, sono stati costretti a identificarsi con un territorio e ad autodefinirsi in termini etnici. Hanno così perso gran parte del loro potere all’interno della nuova repubblica federale in favore delle popolazioni periferiche, almeno secondo gli antichi confini dell’Impero etiopico.