Ramo della musicologia nato in Gran Bretagna e in Germania alla fine del 19° secolo. Suo oggetto di studio è l’insieme delle tradizioni musicali che non rientrano nella musica colta europea e che comprendono invece tutte le espressioni musicali legate a gruppi etnici o sociali, tramandate principalmente per via orale. La metodologia di ricerca deve tener conto di tre fattori fondamentali: la peculiarità di trasmissione, la modalità di creazione/esecuzione e i differenti contesti (la funzione).
L’assetto attuale assunto dalla disciplina è dovuto al decisivo lavoro di due importanti generazioni di studiosi. Alla prima, cui appartengono i pionieri della ‘musicologia comparata’ tedesca K. Lachmann, E. Hornbostel, C. Stumpf, va il merito di avere creato i famosi Phonogramm Archivs di Berlino (le prime fonoteche di etnografia musicale, cui ne seguirono molte altre in Europa e in America). La successiva generazione vede i nomi di G. Herzog, M. Schneider e J. Kunst che, insieme a B. Bartók, C. Brailoiu, Z. Kodàly e A. Schaeffner, sono da considerare come i capiscuola dell’e. contemporanea, basata su precisi criteri metodologici di notazione e trascrizione.
Per quanto riguarda l’Italia, i ricercatori G. Ferraro e A. Favara furono attivi a cavallo tra 19° e 20° sec., mentre negli anni 1930 apparve la cosiddetta ‘generazione di mezzo’, legata ai nomi di G. Nataletti e L. Colacicchi, il cui principale obiettivo fu quello di rapportarsi al livello internazionale della ricerca etnomusicologia. Nel 1948 venne creato, presso l’Accademia di Santa Cecilia a Roma, il Centro nazionale studi di musica popolare, con il quale prese avvio un progressivo processo di raccolta sul campo e di documentazione, compiuto in vaste zone dell’Italia centro-meridionale da un gruppo di ricercatori, in collaborazione con l’etnologo meridionalista E. De Martino; citiamo, tra essi, D. Carpitella, il cui fondamentale apporto alla nascente e. italiana ha molto contribuito allo sviluppo della disciplina.