Termine con cui si suole designare quella poetica e quel gusto che furono propri, in Italia, degli scrittori posteriori a G. D’Annunzio, raccolti per lo più intorno alla Voce; e quindi la letteratura e il ‘genere’ del frammento che predominarono negli anni precedenti e durante la Prima guerra mondiale. Al centro di questa poetica è il concetto di poesia come brevità, immediatezza autobiografica, folgorazione lirica dei sensi, fuori di ogni disegno e struttura: cioè l’idea che la poesia non possa essere che a frammenti e, come tale, inconciliabile con la narrativa, la drammaturgia, e, in genere, con ogni forma di letteratura ‘costruita’ e ‘oggettiva’. Di qui l’esaltazione della lirica quale unica espressione compatibile con l’arte: una lirica, peraltro, che, a eliminare ogni diaframma tra ispirazione e stesura, si serva, come mezzo, della prosa piuttosto che del verso (sia pur libero); di qui il vagheggiamento di una ‘prosa lirica’ o ‘lirica in prosa’, depurata da tutto ciò che paia estraneo all’impressione o emozione originaria, comune di lessico e media di tono, ma poeticamente ‘essenziale’. Sono evidenti in tutto questo le tracce, oltre che dell’estetica crociana, delle poetiche irrazionali, decadenti, dal simbolismo francese al futurismo; come pure è evidente, nelle forme del ‘taccuino’, del ‘giornale di bordo’, del ‘paesaggio’, della ‘natura morta’ e simili, che il frammento venne assumendo, presso i suoi migliori rappresentanti, l’influsso di un gusto pittorico esercitato sull’impressionismo francese e sull’arte contemporanea in genere (parecchi frammentisti furono anche pittori o intenditori d’arte, come A. Soffici che ammoniva di «posar le parole come il pittore i colori»).
Ma il significato più importante del f. sta nell’avere a suo modo risolto quello che fu uno dei problemi fondamentali della letteratura italiana a partire dal Romanticismo: affrancare la poesia dal linguaggio ‘poetico’, cioè aulico e convenzionale. Pertanto, se da un lato il f. si configurò come antitradizionalista ed europeizzante, dall’altro venne a ricollegarsi con la tradizione, innovandola. Naturalmente, l’acuta consapevolezza critica e i lieviti morali impliciti in tali atteggiamenti sono poi l’opposto della perseguita immediatezza, e il f. riammette di fatto, seppure nelle forme particolari del diarismo autobiografico e dell’esame di coscienza, quello psicologismo, quella logica e insomma quel pensiero che in teoria vorrebbe banditi dall’arte; così come nel suo gusto della parola sopravvive più di un’eredità dannunziana.
Ma nell’insieme i frammentisti, da A. Soffici, appunto, a G. Papini, a C. Linati a C. Sbarbaro, da G. Boine a P. Jahier, contribuirono a creare una nuova prosa d’arte, che esercitò grande influsso sulla letteratura successiva.