Musicista (Żelazowa Wola, presso Varsavia, 1810 - Parigi 1849). Figlio di un insegnante francese (di Nancy), Nicolas Ch., e della polacca Justina Krzyżanowska. Precocissimo pianista (allievo di A. Živny) e compositore (allievo di J. Elssner), iniziò per tempo la pubblica attività di concertista. Dopo qualche soggiorno in patria e fuori (Vienna), si stabilì dal 1831 a Parigi. Rapida fu la sua ascesa alla gloria di pianista e di compositore che non ebbe eclissi nonostante le traversie economiche e le infermità. Dolcezze e angosce d'amore (nelle relazioni con Costanza Gladkowska, Marja Wodzińska e Aurora Dudevant, cioè George Sand), e rimpianti della patria lontana, allora oppressa dai Russi, impressero nella sua vita e nella sua arte i segni più costanti e più profondi. Il mondo musicale, allorché l'arte di Ch. cominciò a imporsi, era ormai orientato verso il romanticismo; Ch. fu uno dei maggiori creatori della nuova vita musicale. La sua arte, pur delineandosi in forme di classica euritmia, di assoluta solidità costruttiva, si libera completamente da ogni influenza scolastica, volgendosi a manifestare anche nella musica pianistica - fino allora alquanto vincolata dalle tradizioni tecniche del clavicembalo - il nuovo senso romantico, e a valorizzare il colore armonico. F. Liszt, J. Brahms, lo stesso C. Debussy, non sono immaginabili ove si dimentichi la precedenza chopiniana. L'opera di Ch. è quasi tutta destinata al pianoforte e infatti i suoi caratteri richiedono, per la propria emersione, il timbro e le particolari risorse del pianoforte. Con Ch. si rinnovano, di questo strumento, e la tecnica e la scrittura, con i larghi arpeggi, le melodie a larghi intervalli, l'improvviso passare da un'ottava all'altra, il dilagare di tutti i disegni sonori della composizione lungo tutta la tastiera. E, d'altro lato, questi modi stilistici strumentali sono nel tempo stesso modi di composizione: dalla melodia, che in Ch. s'abbellisce di volute, d'arabeschi, si nutre di gradazioni cromatiche, di sottili alterazioni, di larghi intervalli, al ritmo: quel ritmo a vaste ondulazioni (si pensi al "rubato"), che più che dalla battuta è spiegato dal respiro stesso della frase melodica, e che difficilmente sarebbe realizzabile se non nel regno del pianoforte solo; all'armonia infine, che anche più degli altri elementi chiamava tale strumento: Ch. seppe infatti creare un mondo armonico incantato e sognante. I suoi accordi non si riproducono, ma variano per infinite sfumature, le modulazioni giungono di sorpresa e conducono la melodia attraverso tonalità lontane, sprigionando una atmosfera di meraviglia, d'imprevisto: un'armonia che, per vivere, come essa vive, fuori di qualsiasi consequenzialità contrappuntistica, ha bisogno d'essere concentrata nei limiti d'un solo strumento. Le forme preferite da Ch. sono quelle che gli consentono maggiore libertà di movimento: forme, comunque, riconducibili agli schemi della Canzone o della Canzone in Rondò. Le differenze tra Preludi, Notturni, Scherzi, Ballate, Improvvisi, ecc. sono, più che di schema, di carattere, e così si dica anche delle varie danze: Walzer, Mazurke, Polacche, di cui è costellata l'opera di lui. Le Sonate sono rare: le tre per pianoforte solo e i due Concerti per pianoforte e orchestra mostrano del resto (nonostante le loro fulgide bellezze) la legittimità della preferenza chopiniana per le forme libere e per la composizione breve.