Spirito, buono o cattivo, che nella mitologia pagana presiedeva al destino degli uomini, e anche lo spirito che aveva sotto la sua protezione una città, un popolo, una nazione.
Il Genius era, per gli antichi Romani, una divinità pertinente al culto domestico. In origine rappresentava la virtù generativa dell’individuo di sesso maschile ed era concepito quale suo nume personale. Al G. dei maschi faceva riscontro la Iuno personale delle femmine; polarità complementare che porta a considerare il G. entro la sfera di Iuppiter. Nel culto era venerato specialmente quale G. del pater familias. In ogni casa era invocato presso il talamo nuziale (lectus genialis) e festeggiato nel giorno natalizio del suo protetto. Nell’età imperiale prese sviluppo e significato speciale il culto del G. dell’imperatore. Col tempo ogni comunità, ogni gente, ogni luogo (Genius loci) ebbero il proprio g.; così tutti gli abitanti dell’Impero venerarono il Genius urbis Romae o Genius populi Romani.
I Romani erano propensi ad attribuire al g. (come, talora, i Greci al demone) specialmente quegli atti in cui sembrava si manifestassero funzioni superiori alle normali capacità dell’individuo. Di tali funzioni la più tipica appare la creazione artistica; onde il passaggio alla concezione del g. come organo dell’arte e in genere di ogni attività eccezionale. L’intellettualismo dell’estetica aristotelica fece passare nell’ombra il concetto di g., che risorse tra 17° e 18° sec. insieme con quello della irrazionalità e sentimentalità dell’arte. Per I. Kant il g. era la facoltà delle idee estetiche, creante con spontaneità naturale i modelli dell’arte; per F. Schiller era il principio dell’arte ‘ingenua’, contrapposta alla ‘sentimentale’. Il Romanticismo esaltò soprattutto il carattere di eccezionalità del g., fino a farne, con F.W.J. Schelling, A.W. Schlegel e G.W.F. Hegel, lo strumento e la manifestazione dell’assoluto.