India
– Al passaggio del nuovo secolo l’I. si presentava come una realtà in profonda trasformazione dove emergevano, prepotentemente, forti contraddizioni. Infatti, pur diventata una potenza economica mondiale, l’I. continuava a ospitare circa un quarto dei poveri del pianeta, e nonostante potesse vantare un sistema universitario di ottimo livello e una posizione di vertice in tutti i settori ad alto contenuto tecnologico a questi aspetti faceva riscontro la presenza di una massa enorme di analfabeti (più di un terzo della popolazione). I cambiamenti in atto vedevano coinvolti tutti gli aspetti della vita nazionale, dalla politica alla società, dall’economia alla cultura alla religione. In primo luogo il laicismo, uno dei tratti più qualificanti del cosiddetto modello indiano, era entrato progressivamente in crisi già nel corso degli anni Novanta del 20° sec. con l’emergere del fondamentalismo induista, rappresentato sul piano politico dal Bharatiya Janata party (BJP); il richiamo all’identità induista contraddiceva, infatti, il modello laico fondato sulla visione inclusiva della cittadinanza come espressione di una scelta indipendente dall’appartenenza a una particolare comunità. La violenza esercitata dai fondamentalisti induisti sulla minoranza musulmana (e cristiana) aveva in diverse occasioni assunto la forma di veri e propri pogrom, con la partecipazione passiva, ma anche attiva, di quelle forze dell’ordine che avrebbero dovuto garantire la sicurezza delle vittime. Sotto il profilo più prettamente politico, il declino dell’Indian national congress (comunemente denominato Congress) aveva determinato la fine del sistema incentrato sul partito dominante e aveva aperto l’era delle grandi coalizioni e dell’ascesa dei partiti regionali. Dopo essere andato al potere nel 1999 il BJP era stato sconfitto nel 2004 dalla coalizione guidata dal Congress, di cui aveva preso le redini Sonia Ghandi riuscendo a rinnovarne l’identità morale, a democratizzarne le strutture interne e a creare nuove alleanze caratterizzate dal richiamo alla laicità. Di fronte al rifiuto di Gandhi, nel 2004 assumeva la carica di primo ministro Manmohan Singh (v.), riconfermato nel suo incarico dopo la vittoria del Congress nel 2009. Anche in politica estera si è assistito a un cambiamento di rotta verso la fine del primo decennio del 21° sec. con un raffreddamento dei rapporti con gli Stati Uniti, dei quali si criticavano l’accordo strategico con il Pakistan, storico nemico dell’I., nella lotta al terrorismo e una maggiore vicinanza di interessi con la Cina, manifestata in più occasioni dall’amministrazione Obama. In ambito regionale il conflitto indo-pakistano, le cui radici affondavano nella questione ancora aperta della sovranità sul Kashmir, territorio oggi di fatto spartito e conteso tra i due paesi, si alimentava anche dei problemi relativi alla irrisolta situazione afgana, di vitale importanza per lo stato indiano: l’I., infatti, teme di doversi preparare a contrastare la possibilità che il Pakistan accresca la sua influenza in Afghanistan attraverso i Talebani quando le forze occidentali lasceranno il Paese come previsto nel 2014. Corruzione, disequilibrio sociale e terrorismo completano un quadro non privo di incognite per la più popolosa democrazia del pianeta: accanto alla ripresa del movimento armato maoista dei naxaliti (dal nome del villaggio di Naxalbari), responsabile di un crescendo di violenze nell’arco del primo decennio del 21° sec. e forte dell’appoggio degli strati più poveri della popolazione nel ‘corridoio rosso’ che va dall’Andra Pradesh al Bengala occidentale, si verificava un’intensa campagna di atti terroristici da parte di organizzazioni indipendentiste del Kashmir, di frange estremiste della comunità musulmana e anche, come già detto, di parte della comunità maggioranza induista. Ma a fronte degli elementi di tensione e di crisi, è stata la crescita economica del Paese la leva di maggiore cambiamento al passaggio di secolo, dischiudendo per l’I. un futuro da grande potenza il cui cammino, però, appare ancora molto incerto.
Le riforme strutturali dell'economia. – Dopo essere rimasta a lungo chiusa agli scambi internazionali, a partire dai primi anni Novanta del secolo scorso l’I. ha avviato una politica di riforme strutturali dell’economia che hanno abolito il sistema di licenze per le importazioni e gli investimenti esteri e allentato i vincoli all’iniziativa privata. Scardinando il vecchio sistema centralizzato di intervento statale che imbrigliava l’esercizio dell’attività d’impresa, le riforme hanno dato impulso all’economia favorendo un’accelerazione della crescita del PIL che negli anni Novanta si assestava al 6% in media annua e che nel primo decennio del nuovo secolo ha fatto registrare incrementi oscillanti intorno all’8%, con punte del 9÷10%, alternate a fasi di rallentamento che si sono verificate in coincidenza della crisi internazionale del 2008-09. Complessivamente, la crescita cumulata del PIL nel periodo 2005-12 è risultata pari al 66% e, a livello mondiale, è stata inferiore solo a quella della Cina (85%). In circa un decennio il reddito pro capite della popolazione è raddoppiato, superando la soglia dei 1000 dollari, mentre in termini assoluti il PIL ha raggiunto nel 2011 il valore di1700 miliardi di dollari, permettendo all’I. di posizionarsi al nono posto tra le maggiori economie mondiali subito dopo l’Italia. Una caratteristica del modello di sviluppo dell’economia indiana è la rapida crescita del settore terziario, che lo differenzia da quello più tradizionale dei paesi emergenti contraddistinto dal ruolo prevalente della componente industriale a bassi salari. Osservando i mutamenti della composizione del sistema produttivo indiano, si può rilevare infatti che tra il 1981 e il 2011 il contributo del settore agricolo alla formazione del PIL è sceso dal 40% al 18% circa, quello dell’industria è rimasto fermo al 24% (ma aveva raggiunto il 28% nel 2004), mentre quello dei servizi è balzato dal 36% al 58%. Nell’arco di trent'anni, dunque, il declino della quota di valore aggiunto dell’economia prodotta dall’agricoltura è stato assorbito interamente dal settore terziario. L’accelerazione della crescita, inoltre, ha avuto un effetto solo parziale sul mutamento della composizione settoriale dell’occupazione e alla fine del primo decennio del 21° sec. oltre il 50% della popolazione attiva è risultata ancora occupata in attività connesse all’agricoltura, mentre la quota di occupati nel settore terziario è stata pari a circa il 30%. Contrariamente a quanto avvenuto in Cina, dove l’esodo dalle campagne verso le città ha alimentato un serbatoio di manodopera che ha permesso di mantenere bassi i salari e rendere competitivi i prodotti dell’industria manifatturiera, nel caso dell’I. la crescita del terziario ha generato una domanda di occupazione con livelli di formazione medio-alto, rivolgendosi dunque alle componenti più qualificate delle forze di lavoro quantitativamente molto rilevanti in I., ma decisamente contenute se considerate in termini di incidenza sulla popolazione attiva. Questa caratteristica, che costituisce probabilmente l’aspetto più noto del successo della globalizzazione in I., è legata al crescente ruolo assunto da servizi innovativi e ad elevato contenuto di conoscenza trainato dalla domanda delle grandi imprese multinazionali che, a partire dagli anni Novanta, hanno iniziato a delocalizzare in I. i propri servizi di back office (call center, gestione del personale, attività connesse all’e-ticketing e all’e-commerce, ecc.) sfruttando la presenza di una forza lavoro qualificata di madre lingua inglese, remunerata con salari da 10 a 15 volte inferiori a quelli pagati in madrepatria. L’attività di outsourcing di servizi alle imprese (detta anche Business process outsourcing, BTO), si è fortemente evoluta ed oggi coinvolge prestazioni professionali, un tempo escluse dai processi di globalizzazione, quali i servizi legali (il salario medio annuo di un professionista che lavora in I. è di circa 8000 euro contro i 130.000 di un professionista statunitense), la consulenza giuridico-amministrativa alle imprese o le prestazioni medico-diagnostiche.
Protagonista mondiale della conoscenza. – L’I. si è trovata a essere uno dei protagonisti mondiali della globalizzazione grazie alla posizione particolare in cui si trova, che le consente di cogliere i vantaggi competitivi offerti delle migliori opportunità di un’economia diffusamente fondata sulla conoscenza. L’I. gode in primo luogo di un forte vantaggio in termini demografici. La Banca mondiale prevede che nel 2050 la popolazione indiana supererà quella cinese, ma rispetto a questa conserverà una forte prevalenza percentuale della popolazione giovanile: attualmente il 54% dei 1100 milioni di abitanti è composto da persone al di sotto dei 25 anni di età. Il Paese dispone poi di una consolidata infrastruttura scientifica e tecnica dell’istruzione superiore, costituita da oltre 350 università, 1500 istituti primari di ricerca e più di 10.000 istituti di istruzione superiore, che abilitano ogni anno 415.000 ingegneri e 300.000 laureati specializzati in altre discipline. Inoltre già operano più di 1200 business school specializzate in varie discipline gestionali, che coprono tutti gli spettri delle attività organizzative aziendali con corsi di laurea e di post laurea. Inoltre, l’I. può avvalersi anche di un’ampia disponibilità di manodopera anglofona composta da personale specializzato, con evidente vantaggio per l’imprenditoria europea in generale e anglosassone in particolare. Oggi l’I. è il maggiore esportatore mondiale di servizi connessi alle tecnologie dell’informazione (Information technology, IT) e il forte sviluppo di software, hardware e periferiche, dell’informatica e dei servizi connessi, delle telecomunicazioni fisse e mobili, della telematica e dei servizi a valore aggiunto in ambito web e non contribuisce a rendere l'I. uno dei paesi tecnologicamente più sviluppati al mondo. Questa ampia area dell’ITha inoltre influenzato e correlato nella Ricerca e sviluppo (R&S) altri campi innovativi della collaborazione aziendale e istituzionale: biotecnologie; farmaceutica; scienza e tecnologia; innovazione e automazione industriale; energia nucleare per applicazioni agricole, mediche, biotecnologiche, elettroniche e metallurgiche; satelliti di rilevamento, di trasporto in orbita e di comunicazione. Negli ultimi anni centinaia di società multinazionali hanno stanziato i propri centri di R&S in I.: a Bangalore, la General electric ha aperto il più grande centro tecnologico al di fuori del territorio statunitense. Altrettanto hanno già fatto la Microsoft nello Stato dell’Andhra Pradesh e numerose altre società tra cui Bell labs, Cummins, DuPont, Daimler Chrysler, Eli Lilly, General motors, Hewlett-Packard, Intel, Honeywell, Qualcomm, Whirlpool, l’italo-francese STMicroelectronics. La crescita degli insediamenti di imprese statunitensi, europee ed anche asiatiche ha contribuito inoltre a trainare tutti i campi dei settori immobiliari tradizionali e innovativi grazie alla moltiplicazione esponenziale di centinaia di SEZ (Special economic zones), parchi industriali, parchi tecnologici, parchi per lo sviluppo del software e dell’informatica, parchi per le biotecnologie e le nanotecnologie, parchi e centri spaziali. Per questi motivi, l’I. figura come una delle destinazioni più appetibili nel mondo tra tutti i competitori globali in via di sviluppo ed emergenti, e si stima che una quota compresa tra il 50 e il 75% delle prime 500 società multinazionali al mondo censite dalla rivista Fortune fruiscano di servizi in outsourcing erogati da società indiane con sede in I. o con succursali o filiali negli USA.
Problemi aperti per l’economia indiana. – Malgrado i progressi compiuti in pochi anni, la strada verso l’equilibrio e il consolidamento economico dell’I. è ancora lunga e passa necessariamente attraverso lo sviluppo delle infrastrutture di base (strade, porti, energia), l’accesso alla sanità e all’istruzione per larghi strati di popolazione che ne sono esclusi, la riduzione della corruzione e il miglioramento del sistema burocratico. L’accelerazione della crescita ha permesso l’emergere di una nuova classe media (stimata in circa 300 milioni)caratterizzata da livelli di reddito tali da consentire un accesso sempre maggiore ai beni di consumo e l’affermazione di un numero crescente di persone con grandi disponibilità finanziarie (gli individui con un patrimonio superiore al milione di dollari esclusa l’abitazione principale erano 123 mila nel 2012), ma non una riduzione significativa del numero di persone che vive al di sotto della soglia di povertà, stimato intorno al 37% della popolazione. A gettare incognite sulla sostenibilità nel medio-lungo periodo di una crescita veloce come quella registrata nell’ultimo decennio concorrono infine alcuni aspetti legati agli stessi meccanismi che hanno guidato la nuova fase di sviluppo dell’economia della conoscenza. La crescita dei servizi innovativi ha infatti offerto importanti occasioni di lavoro, spesso altamente qualificato, ma solo ad una quota esigua della popolazione (l’occupazione diretta ed indiretta creata dal settore IT indiano è stimata in poco meno di 4,5 milioni di addetti) ma non è in grado, da sola, di generare diverse e migliori opportunità di impiego per la crescente massa degli oltre 500 milioni di indiani per i quali è previsto il progressivo esodo dalle campagne o la progressiva marginalizzazione nei settori informali dell’economia.