natura
Le cose e gli esseri attorno a noi e non da noi prodotti
Il mondo, in tutte le sue manifestazioni, è oggetto di continua osservazione e interpretazione da parte dell’uomo. Alcuni filosofi hanno considerato le leggi che governano l’Universo come fondamento di un ordine fisico e morale di cui anche l’uomo è partecipe: da qui l’invito a «vivere secondo natura» al fine di realizzare pienamente sé stessi. Da altri, invece, le forze che agiscono nella natura sono state considerate come dominate dal caso, del quale anche l’uomo è in qualche modo prigioniero. O ancora, la natura è stata considerata come un ambiente il cui equilibrio originario non può essere alterato senza danno per l’uomo e per la vita in genere
Aristotele chiama i primi filosofi (6°-5° secolo a.C.) fisiologi, cioè «studiosi della natura», perché mettono al centro della loro ricerca l’indagine sulla natura (in greco phýsis), intesa come insieme di tutte le cose che nascono e si trasformano, e di cui cercano il principio. Così per Talete l’acqua è il principio della vita e di tutte le cose; per Anassimene è l’aria il principio del cosmo in quanto soffio vitale che tiene assieme il corpo del mondo e quello dell’uomo; per Eraclito, invece, il principio è il fuoco «sempre vivente», che vive trasformandosi e trasformando tutte le cose.
Diversa è la concezione materialistica (materialismo) degli atomisti Leucippo e Democrito (5°-4° secolo a.C.), i quali ritengono che tutta la realtà (il mondo fisico e il mondo dei viventi, il corpo dell’uomo e la sua stessa anima) sia composta da particelle materiali, gli atomi, di varie forme e grandezze, che con il loro movimento e la loro combinazione danno luogo al divenire delle cose, cioè al nascere e al morire.
Nuove riflessioni si hanno con i sofisti (sofistica) e con Platone. I primi contrappongono alla spontaneità degli istinti e dei comportamenti naturali il mondo artificiale delle convenzioni e delle leggi costruito dall’uomo.
Platone, invece, propone una concezione negativa della natura: la vera realtà è quella del mondo delle idee eterne, eterne e immutabili, rispetto al quale il regno della natura appare come il luogo di ciò che cambia in continuazione.
Per Aristotele nel mondo naturale ogni cosa è caratterizzata da un principio immanente, cioè dalla sua causa finale, che la spinge alla realizzazione della propria essenza: così il seme è già indirizzato a diventare albero. Si afferma in tal modo una concezione finalistica che stabilisce il senso e il punto di arrivo del divenire della natura e dei processi di crescita e di riproduzione.
Gli stoici (stoicismo) concepiscono la natura come una totalità vivente: il mondo è abitato da un principio attivo, da una ragione universale, il lògos, che è insieme ragione e forza generatrice di tutte le cose che costituiscono l’Universo, continuamente soggetto a cicli di formazione e distruzione. Ma questa ragione universale è lo stesso principio divino, unico e immanente (cioè interno) al mondo. Il soffio vitale (pneuma) che pervade l’Universo e dirige ogni singolo essere secondo un ordine necessario e razionale si manifesta anche nel momento della riflessione etica: la legge morale è una legge naturale e la libertà del saggio consiste nel seguire la natura.
Il pensiero cristiano del Medioevo è caratterizzato dalla preoccupazione di distinguere il Creatore dal mondo creato: da qui la netta distinzione operata dalla filosofia scolastica (Tommaso d’Aquino) tra natura naturans («la natura che crea», cioè Dio) e natura naturata («la natura creata » da un Dio che è altro da essa).
Tra 16° e 17° secolo filosofi come Bernardino Telesio, Giordano Bruno e Tommaso Campanella sostengono che un principio intelligente abita il cosmo: è l’Anima del mondo, forza unificatrice, causa e sorgente di vita. Tale principio, che attraversa tutto l’Universo, spiega un insieme di corrispondenze che uniscono e influenzano i vari piani della realtà, per esempio, le corrispondenze tra i pianeti, i minerali e i caratteri degli uomini. Sono proprio queste corrispondenze che rendono possibili previsioni dell’astrologia, nonché l’attività del mago-sapiente che, conoscendo i processi nascosti secondo cui opera la natura, riesce a riprodurli e a modificarli.
Per il pensiero rinascimentale la natura non è quindi il prodotto della creazione divina, ma è essa stessa interamente pervasa dalla presenza di Dio come da un alito vitale: di qui la tendenza a identificarla con Dio stesso (panteismo). Questa tendenza diventa il punto di riferimento della filosofia di Baruch Spinoza (17° secolo), la cui definizione Deus sive natura («Dio o natura») esprime una perfetta identità di Dio e natura.
Attraverso la critica delle implicazioni magico-astrologiche e la scoperta delle regolarità matematiche presenti in natura, evidenti per esempio nell’astronomia, dal concetto rinascimentale di natura si fa strada una concezione meccanicistica che riconduce i fenomeni a leggi naturali uguali e immutabili. Un contributo importantissimo viene da Galilei quando scrive che la natura è come un libro aperto davanti ai nostri occhi, scritto in caratteri matematici. La concezione matematizzante della natura viene ribadita da Newton, che si sforza di definire in modo rigoroso le leggi del moto dei corpi, introducendo il concetto di attrazione gravitazionale.
Nell’Illuminismo prevale una concezione materialistica del mondo naturale; la natura razionale dell’uomo è inoltre costante punto di riferimento per la realizzazione di un ordine socio-politico, basato sull’esaltazione dei diritti dell’uomo e del cittadino.
In campo morale Rousseau insiste su un ritorno alla natura per il conseguimento della felicità individuale e di un nuovo equilibrio nelle relazioni tra gli uomini.
Con il romanticismo si afferma un nuovo modo di sentire la natura, in cui la considerazione della vitalità e della complessità delle forze che la animano prevale su quella della regolarità matematica: della natura si esalta la spinta vitale, il moto incessante, la novità delle continue trasformazioni, la bellezza e la perfezione delle opere.
Per l’idealismo il mondo della natura (come insieme di elementi corporei e particolari) torna a rappresentare un momento negativo rispetto alla vita dello spirito, in quanto costituisce un limite che esso è chiamato a superare nello sviluppo delle sue possibilità. Hegel polemizza contro l’esaltazione romantica della natura e sottolinea invece l’indifferenza, l’isolamento e la mancanza di libertà del mondo naturale, i cui fenomeni sono caratterizzati da necessità e accidentalità. Nella seconda metà dell’Ottocento il positivismo elimina ogni finalità dal campo della natura e ritorna a una concezione materialistica e meccanicistica. Mettendo in luce gli aspetti della competizione, della lotta per la sopravvivenza e della selezione naturale, il positivismo non li richiama come prove di un’armonia o di un piano ordinato verso un fine, ma come episodi di un aggiustamento meccanico e casuale che produce un miglioramento progressivo semplicemente perché le forme naturali meno adatte a sopravvivere si estinguono.
Successivamente, in polemica anti-meccanicistica, alcune correnti della filosofia del Novecento recupereranno una concezione organicistica della natura, che viene intesa come totalità vivente. In particolare, Henri Bergson parla di «evoluzione creatrice» e di «slancio vitale» della natura che continuamente riorganizza la materia creando forme nuove e originali.
Negli ultimi decenni del Novecento, soprattutto nei paesi più sviluppati e industrializzati, è stata avvertita con forza l’esigenza di un nuova riflessione sui rapporti uomo/natura, partendo dal rifiuto dello sfruttamento selvaggio delle risorse naturali e dall’impegno per la costruzione di un diverso equilibrio. Se infatti l’uomo ha bisogno della natura, oggi è anche la natura ad aver bisogno dell’uomo, che deve rispettarla e preservarla.
La natura, quindi, non appare più come fonte illimitata di risorse a disposizione dell’uomo, bensì come una ricchezza a termine, soggetta a distruzione a causa dei problemi di inquinamento, della limitata disponibilità di alcune materie prime, della diminuzione dello spazio vitale (per la costante crescita della popolazione mondiale). I problemi ecologici sono oggi vissuti come problemi sociali e politici, perché la devastazione della natura mette in pericolo la sopravvivenza dell’uomo e la coesistenza pacifica tra i popoli. Si chiede ai governi delle nazioni più evolute di tener conto dei costi economici e sociali delle distruzioni operate sull’ambiente naturale, e del conseguente abbassamento della qualità della vita dei cittadini. Nelle scelte del presente è inoltre indispensabile fare riferimento alle generazioni future, senza pregiudicarne le risorse e le possibilità.