positivismo e neopositivismo
La filosofia del progresso scientifico e della società industriale
Sorto in Francia nella prima metà dell’Ottocento, il positivismo si diffuse nella seconda metà del secolo nei principali paesi europei, divenendo non soltanto la filosofia dominante, ma una sorta di mentalità, caratterizzata dall’amore per i fatti (contro ogni forma di astrazione) e dalla fiducia illimitata nella scienza e nel progresso tecnico. Al positivismo si deve la nascita di alcune scienze, come la sociologia, la psicologia e l’antropologia. Il ruolo attribuito ai dati empirici della scienza, considerati l’unica forma valida di conoscenza, caratterizzò anche il neopositivismo, corrente filosofica sorta negli anni Venti del Novecento a Vienna e a Berlino
I tre stadi. Adoperato per la prima volta dal francese Claude-Henri de Saint-Simon nel 1823, il termine positivismo fu ripreso pochi anni dopo da un altro filo;sofo francese, Auguste Comte, per indicare un nuovo orientamento di pensiero, ispirato ai seguenti principi: il riconoscimento della scienza come unica forma di sapere valido; l’interesse per i problemi reali e sperimentabili e il rifiuto delle questioni astratte tipiche della metafisica; l’intento di offrire conoscenze utili per l’uomo e per la società; l’atteggiamento costruttivo e non soltanto critico-distruttivo (qui il bersaglio polemico era la filosofia dell’Illuminismo).
Comte era convinto di aver scoperto – osservando la storia dell’umanità e lo sviluppo del singolo individuo – la legge di un inesorabile progresso, caratterizzato dalla successione di tre stadi. Nel primo stadio, teologico, l’uomo aspira a una conoscenza assoluta e cerca quindi di individuare le cause finali dei fenomeni, che rintraccia nell’azione di entità soprannaturali o divine; nel secondo stadio, metafisico, l’uomo sostituisce le entità divine con concetti astratti (per esempio, le essenze), ma il suo atteggiamento conoscitivo rimane lo stesso; nel terzo stadio, quello positivo, l’uomo riconosce infine l’impossibilità di raggiungere una conoscenza assoluta e si limita a cercare – tramite l’osservazione e il ragionamento – le relazioni costanti tra i fenomeni, cioè le leggi del loro funzionamento.
La scienza sociologica. Secondo il filosofo francese soltanto la matematica e le scienze della natura (astronomia, fisica, biologia, chimica) erano giunte nello stadio positivo: si trattava ora di estendere il loro metodo agli altri campi del sapere e, in particolare, allo studio della società. Comte fondò così la sociologia, con la quale si proponeva di raggiungere una conoscenza scientifica dei fenomeni sociali, sulla cui base sarebbe stato possibile fondare un nuovo regime socio-politico (la sociocrazia) che, a differenza dei regimi liberal-democratici, si sarebbe basato non sul caos delle opinioni soggettive, ma sulle certezze della scienza.
Nella seconda parte della sua vita, tuttavia, Comte finì per trasformare il suo positivismo sociale in una vera e propria religione, di cui fissò in modo minuzioso le credenze (l’Umanità al posto di Dio), le massime morali (l’altruismo) e il culto.
Il positivismo sociale di Comte fu ripreso, in Inghilterra, da John Stuart Mill. Il filosofo inglese fece suo il rifiuto di ogni spiegazione teologica o metafisica della realtà, elaborando un rigoroso sperimentalismo empiristico, che aveva il suo lontano progenitore in David Hume e che lo tenne al riparo da ogni forma di dogmatismo (al contrario di Comte, che finì per trasformare il sapere scientifico in una nuova metafisica).
Quanto al piano socio-politico, Mill si distaccò ancor più nettamente da Comte, sviluppando un insieme di idee ispirate al liberalismo. Se lo Stato di Comte, fondato sulle verità esatte della scienza, non ammetteva la libertà individuale, lo Stato teorizzato da Mill lasciava il più ampio spazio alla libertà dei singoli, affinché si sviluppasse la massima varietà di opinioni, interessi e stili di vita. Inoltre, mentre Comte aveva immaginato una rigida disciplina della vita economica e sociale, Mill riteneva che lo Stato, anche se doveva favorire una maggiore giustizia sociale, dovesse intervenire nella sfera economica soltanto per rimuovere gli ostacoli alla concorrenza (cioè i monopoli).
Le leggi dell’evoluzione. Con l’inglese Herbert Spencer il positivismo divenne, nella seconda metà dell’Ottocento, una concezione generale della realtà, incentrata sul concetto di evoluzione o progresso. Ogni aspetto della realtà – dal Sistema Solare all’organismo umano, dalle organizzazioni sociali a qualsiasi fenomeno culturale (linguaggio, arte e così via) – è sottoposto alle leggi dell’evoluzione, che ne determinano un continuo progresso dal semplice al complesso, dall’omogeneo all’eterogeneo, dall’indifferenziato al differenziato.
Dal punto di vista politico, Spencer fu ancora più liberale di Mill. Lo sviluppo della società, come quello dell’individuo, è inevitabile, ma lento e graduale: volerlo accelerare – tramite l’intervento dello Stato e le riforme care al positivismo sociale – non fa che ritardarlo, alterarlo o sconvolgerlo. La società occidentale ha già conosciuto un significativo progresso, passando dai regimi militari, fondati sul potere coercitivo dello Stato e sulla cooperazione forzata tra gli individui, ai regimi industriali, fondati sull’attività indipendente degli individui e sulla loro libera cooperazione.
Scienza e religione. Spencer riteneva che scienza e religione non fossero inconciliabili, perché fondate entrambe sulla realtà del mistero che ci circonda. Per la religione l’esistenza del mondo è un mistero che esige di essere sempre interpretato; quanto alla scienza, essa estende sempre più la sua conoscenza del mondo finito, ma finisce per urtare contro alcuni enigmi insuperabili. Alla religione spetta di tenere vivo il sentimento del mistero (che Spencer chiama anche inconoscibile o assoluto); alla scienza spetta di indagare il mondo limitato dei fenomeni. Esse entrano in contrasto soltanto se la religione pretende di pronunciarsi sul mondo dei fenomeni (come fece la Chiesa cattolica con Galilei), oppure se la scienza pretende di occuparsi dell’assoluto.
La filosofia di Spencer ebbe un successo immediato e straordinario, dovuto alla sua aderenza al momento storico: il suo ottimismo socioeconomico e la sua conciliazione di scienza e religione rispecchiavano infatti perfettamente le esigenze pratiche e ideali della moderna società industriale in una delle fasi più impetuose del suo sviluppo.
Pedagogia e criminologia. Nel nostro paese il positivismo filosofico condusse una vita abbastanza stentata (il suo più illustre esponente fu Roberto Ardigò, che riprese in gran parte le teorie di Spencer) e venne spazzato via agli inizi del Novecento dalla reazione neoidealistica di Croce e Gentile.
Il positivismo italiano produsse risultati più significativi in singole discipline, come la pedagogia, la criminologia e la storiografia. In campo pedagogico la personalità più eminente fu Aristide Gabelli, il quale sottolineò – in polemica con la tradizione umanistica dei nostri studi – l’importanza dello studio delle materie scientifiche, di una formazione laica e di una didattica che lasciasse spazio alle tendenze creative dello studente. Quanto alla criminologia, Cesare Lombroso sostenne che il comportamento criminale aveva radici non morali, ma sociali e genetiche (che si rendevano evidenti nell’aspetto fisico): ma se le cose stavano così, la pena detentiva non doveva essere un castigo da scontare, bensì uno strumento per proteggere la società e rieducare il colpevole.
Agnosticismo, materialismo, psicologia. In Germania il positivismo ricevette diverse interpretazioni. Nel fisiologo Émil du Bois-Reymond esso si tradusse in un’acuta coscienza dei limiti del sapere umano: egli sostenne i problemi ultimi della conoscenza – l’origine della materia, della forza e del movimento, il sorgere della vita, la presenza o meno nella natura di un fine, l’origine della coscienza e del linguaggio, la libertà o meno del volere umano – erano enigmi che l’uomo non avrebbe mai potuto risolvere. Il biologo Ernst Haeckel, invece, elaborò un positivismo di ispirazione materialistica (materialismo), secondo il quale l’intero universo obbedisce alla medesima legge evolutiva, basata sul principio di conservazione della materia. Haeckel ritenne inoltre di aver scoperto la legge biogenetica fondamentale, secondo la quale esiste un perfetto parallelismo tra lo sviluppo dell’individuo (ontogenesi) e l’evoluzione della specie (filogenesi).
Infine il filosofo Wilhelm Wundt – applicando il metodo sperimentale allo studio dei fenomeni psichici – fondò la moderna psicologia sperimentale, dando vita alla psicologia come scienza autonoma. Egli studiò la psiche prescindendo dal concetto di anima o spirito e applicando ove possibile i procedimenti quantitativi della matematica, giungendo a sostenere che tra fenomeni psichici e fenomeni fisici, tra mente e corpo, esiste uno stretto parallelismo.
Con neopositivismo o positivismo logico (o empirismo logico) si intende un indirizzo di pensiero elaborato dal cosiddetto Circolo di Vienna, cioè da un gruppo di filosofi e scienziati raccolti intorno a Moritz Schlick, professore all’Università della suddetta città, negli anni che vanno dal 1929 al 1937. Questo gruppo comprendeva fra gli altri Rudolf Carnap, Otto Neurath, Philip Frank, Kurt Gödel, sui quali avevano influito fortemente le idee esposte da Ludwig Wittgestein nel Trattato logico-filosofico (1922). Di grande importanza per l’indirizzo neopositivista fu anche l’apporto della Scuola di Berlino (Hans Reichenbach, Kurt Levin e altri).
Il presupposto fondamentale dei neopositivisti è che oltre i dati empirici rilevati dalle scienze e il linguaggio logico-formale (assunto però nella sua elaborazione logico-matematica) non esistono altre forme di conoscenza, sicché tutte le proposizioni che non sono riducibili o ai risultati delle scienze particolari (fisica, biologia e così via) o al discorso logico-matematico, devono essere rifiutate. Ne consegue che per i neopositivisti le proposizioni della metafisica, dell’etica e dell’estetica – che non sono riducibili né alle scienze positive né alla logica matematica – sono completamente prive di senso. Veniva così liquidata la maggior parte della speculazione filosofica occidentale elaborata in più di due millenni.
Il rifiuto della metafisica è stato teorizzato in particolare da Schlick, per il quale il significato di una proposizione coincide con le condizioni che la rendono verificabile (principio di verificabilità); in questa prospettiva soltanto le proposizioni che possono essere confermate o falsificate dall’esperienza hanno un senso. A Carnap si deve l’applicazione sistematica di questi concetti ai fini di una ricostruzione unitaria, su basi rigorosamente empiriche, dei linguaggi della scienza. Il neopositivismo ha quindi raggiunto i suoi risultati più originali proprio nell’analisi del linguaggio scientifico. Tali analisi hanno permesso di abbandonare le conclusioni tendenti ad affermare valori assoluti, tipiche del vecchio positivismo, e di fornire una lettura degli asserti scientifici che ne ha messo in luce il carattere ipotetico e correggibile.
Dopo una fase iniziale, in cui ha predominato l’accettazione del criterio empirico di significanza e del principio di verificabilità, il neopositivismo ha avuto una seconda fase – soprattutto a opera di Carnap e di Neurath – in cui la concezione della verità elaborata da Schlick è stata sottoposta a critica. In luogo del criterio di verificabilità, consistente in un raffronto tra gli enunciati e le ‘constatazioni empiriche’, si è fatto valere il principio che un enunciato può essere confrontato solo con un altro enunciato. Di conseguenza una proposizione è vera solo quando concorda con il sistema già disponibile dell’insieme degli enunciati scientifici. Questa impostazione del problema della verità delle proposizioni aveva il proprio fondamento nella tendenza a unificare i vari linguaggi scientifici in un unico discorso, le cui proposizioni fossero formulabili in termini esclusivamente fisici. Soprattutto Neurath si adoperò in questo senso, cercando di ricondurre i vari linguaggi scientifici al linguaggio della fisica.
Dopo l’avvento al potere del nazismo in Germania, la maggior parte dei pensatori neopositivisti è emigrata negli Stati Uniti d’America. Qui si è realizzato un incontro tra neopositivismo e pragmatismo, che ha dato vita a una filosofia sostanzialmente nuova, incline a riconoscere come significativi e meritevoli di studio ambiti anche differenti da quelli delle scienze naturali e formali. La verità non è più considerata unica, e dipendente o da una corrispondenza con i dati empirici rappresentati dalle scienze o da una congruenza con il sistema degli enunciati scientifici, ma come variabile e dipendente dalle convenzioni che si è deciso di assumere.