pop
La musica come fenomeno di massa
Pop è l’abbreviazione del termine inglese popular («popolare»), con cui sono state qualificate produzioni e manifestazioni artistiche di vario tipo che hanno avuto diffusione di massa nella seconda metà del Novecento. Riferito alla musica, connota uno stile di sicura presa sul pubblico e di facile consumo. Il pop si è affermato a partire dagli anni Cinquanta rompendo gli schemi tradizionali della canzone melodica, dando grande importanza al ritmo e imponendosi come espressione del mondo giovanile
La locuzione popular music comparve già all’inizio del 19° secolo per distinguere il repertorio delle canzoni popolari dalla produzione di musica colta. Veniva genericamente usata per indicare forme musicali dalla struttura semplice, per lo più strofica, e dalla melodia accattivante, prive di cambi di tempo – genericamente in 4/4 –, di variazioni dinamiche e fondate su scale pentatoniche (musica, grammatica della).
La musica popolare, basata su una certa ripetitività melodica e capace al tempo stesso di un notevole potere aggregativo, ha subìto profonde evoluzioni, sfuggendo talvolta a rigide classificazioni: lo dimostra anche il fatto che compositori classici come Mozart o Johann Strauss figlio nel 18° e nel 19° secolo hanno goduto di enorme diffusione popolare.
Alla fine del 19° secolo e agli inizi del successivo, negli Stati Uniti la musica leggera – ribattezzata folk music – iniziò a divenire un fenomeno commerciale, con il mercato delle partiture di canzoni popolari, per lo più musica da vaudeville e ragtime i cui ritmi sincopati conquistarono l’America attraverso le composizioni di Scott Joplin e Irving Berlin.
Nacque proprio in quel periodo a New York l’editoria musicale, antesignana della moderna industria discografica: un gran numero di autori e compositori si mise al soldo di editori in cerca di melodie accattivanti e di fruizione immediata.
Già a partire dall’inizio del 20° secolo la musica popolare si affermò quindi parallelamente allo sviluppo tecnologico dell’industria dell’intrattenimento, quella discografica in primo luogo.
La commercializzazione del grammofono e del disco in lacca nitrocellulosa (shellac), successivamente perfezionato tanto nella forma quanto nei materiali, rivoluzionò il mercato musicale alla metà degli anni Dieci del Novecento.
Ma è solamente negli anni Trenta che la musica pop comincia a esercitare il suo impatto di massa raggiungendo le case di milioni di persone in tutto il mondo grazie alla diffusione del disco microsolco – che divenne il supporto d’elezione fino agli anni Ottanta – e allo sviluppo della radiofonia.
Il trombettista Louis Armstrong, dopo avere suonato con Kid Ory e l’orchestra di Fletcher Henderson, registrò con i suoi gruppi – Hot five e Hot seven – tra il 1926 e il 1928 dischi considerati uno snodo cruciale della storia del jazz. Personaggio istrionico e dotato di grande talento, contribuì negli anni successivi a rendere il jazz un fenomeno pop sommando le sintassi musicali dei due generi; in tal modo il jazz ottenne un grande successo non solo tra la popolazione afromericana.
La commistione tra la sensibilità musicale bianca e quella nera avvenne nella sua forma più compiuta nel 1924 con la Rapsodia in blu del compositore George Gershwin, prima vera e propria opera pop, caleidoscopio di influenze colte e popolari che riscosse un enorme successo in America. Tra gli anni Venti e Trenta compositori come Gershwin, Richard Rodgers e Cole Porter introdussero arrangiamenti orchestrali jazz nelle commedie musicali per il teatro: il musical si affermò in quegli anni come genere pop, mentre dischi e partiture andavano a ruba.
La metà degli anni Trenta vide spopolare il genere swing delle grandi orchestre di Duke Ellington, Count Basie, Jimmy e Tommy Dorsey, Glenn Miller e Benny Goodman. È stato ancora una volta l’incontro tra due culture, quella del ritmo prepotente del jazz e quella della musica orchestrale bianca di discendenza europea, a creare un fenomeno pop che l’America – impegnata in una faticosa via d’uscita dalla Grande depressione del 1929 – accoglie come un’occasione di intrattenimento per dimenticare i problemi quotidiani.
Aspetto primario del pop è il divismo connesso ai suoi protagonisti. Se fino agli anni Trenta era la composizione, la canzone, il tema, l’opera il centro dell’attenzione degli ascoltatori, a partire dagli anni Quaranta nacque la figura della pop star idolatrata da schiere di fan (abbreviazione di fanatics «fanatici»).
Due i fattori che portarono al successo crooners («sussurratori») dalle voci ben spiegate e impostate, come Bing Crosby e Frank Sinatra: la vicinanza dei temi trattati – per lo più sentimentali – con quelli prediletti dal pubblico, e l’esponenziale aumento del pubblico stesso.
A partire infatti dalla seconda metà degli anni Quaranta, la musica pop come fenomeno commerciale crebbe con l’aumento del benessere conseguente alla congiuntura economica positiva del secondo dopoguerra e con la nascita di una nuova categoria sociale, quella degli adolescenti come soggetti attivi di consumi. A soddisfare il bisogno di pop ci furono le case discografiche (majors) che si dotarono di strutture produttive e distributive e iniziarono a elaborare strategie di marketing puntando sul medium radiofonico e sui nuovi divi.
Quando Elvis Presley all’inizio degli anni Cinquanta rivoluzionò la musica d’intrattenimento inventando la formula del rock ’n’ roll – incrocio tra country e blues dotato di una percussività energica e originale –, il mondo giovanile era pronto per un nuovo pop che assumeva per la prima volta le dimensioni di un fenomeno di massa: il rock diventava svago e divertimento, ma anche un segno generazionale distintivo. L’industria discografica intercettò questo bisogno di identificazione e vi costruì attorno una cultura in qualche modo già multimediale che utilizzava il cinema, i fumetti, la televisione, la radio, i dischi, l’abbigliamento, i giornali.
All’inizio degli anni Sessanta, quando il rock ’n’ roll era ormai codificato, un nuovo tipo di canzone pop si affermò: era l’ora di una generazione di autori cresciuti con il rock’n’roll – quali Neil Sedaka, Carole King e Gerry Goffin, Doc Pomus e Mort Shuman – ma attenti alla qualità degli arrangiamenti orchestrali di Porter o Gershwin. Per la musica pop la prima metà degli anni Sessanta segnò un momento di grande tensione creativa.
Negli Stati Uniti la black music dell’etichetta Motown che rinnovava in chiave rhythm ’n’ blues il pop ottenne un grande successo di pubblico; in Gran Bretagna i Beatles, con la loro fusione di beat e rock ’n’ roll si affermarono come il più grande gruppo pop, nonché oggetto di idolatria da parte dei teenager. Ai singoli componenti del quartetto venne tributato un vero e proprio culto della personalità congiunto a un inedito desiderio di immedesimazione.
Una più generica cultura pop che superava i formalismi estetici dell’arte e la contaminava con la vita quotidiana interessò negli anni Sessanta anche il mondo della letteratura e della pittura: fu l’epoca della beat generation degli statunitensi Jack Kerouac e Allen Ginsberg, della produzione artistica seriale di Andy Warhol e delle commistioni con il fumetto di Roy Lichtenstein.
L’illusione della cultura giovanile di quel periodo di poter giocare un ruolo attivo nell’ambito dei meccanismi politici della società si infranse alla fine degli anni Sessanta con l’esaurirsi del movimento della contestazione. A partire da quel momento il termine pop assume un diverso significato.
Gli acquirenti di musica pop, anagraficamente ormai adulti, divennero per l’oligarchia delle etichette discografiche dei primi anni Settanta un bersaglio indistinto. La creazione pop, imboccando una tendenza tuttora viva, diventava transnazionale fino a obbedire a regole per confezionare un prodotto privato ormai di ogni connotazione regionale. Pop diventò un prefisso o un suffisso come nel caso di pop-rock, bubblegum pop, soul pop, synth pop, che di volta in volta restituiva una pallida coloritura a un genere di per sé difficilmente catalogabile.
Gli anni del disimpegno alla fine degli anni Settanta hanno prodotto l’ultimo fenomeno commerciale autenticamente pop, la disco-music, sintesi di soul funk e arrangiamenti elettronici, nata nel circuito delle nascenti discoteche. Negli anni Ottanta solo il movimento hip hop e il rap sono riusciti a guadagnare – fino ai giorni nostri – lo status di cultura popolare autentica.
Madonna e Michael Jackson, modelli di un’epoca di riflusso, tra anni Ottanta e Novanta, e del predominio dell’emittente musicale Mtv, non hanno fatto che perpetuare con il loro pop artificiale ed edulcorato il culto del divismo.
Tale culto è stato poi raccolto da artisti catalogabili come teen pop (Britney Spears, Christina Aguilera, Take that, Backstreet boys, Spice girls) per la loro capacità di rivolgersi a un pubblico adolescente e preadolescente, o semplicemente tornato tale.