scienze
Le mappe del sapere
La conoscenza umana è un intreccio di teorie e di pratiche in continua crescita e anche il termine scienza ha avuto via via significati mutevoli. Per orientarsi nel labirinto del sapere si è tentato di rinnovarne in ogni epoca le mappe, gli inventari, i fili conduttori. Se si guarda oggi l’insieme del labirinto, ci si rende conto che nel corso degli ultimi quattro secoli siamo passati dal mondo del press’a poco al mondo della precisione, nel quale prevalgono le scienze matematiche e le scienze esatte
La parola latina scientia (dal verbo scio «so») è passata a significare in tutte le lingue moderne il sapere in generale. Oggi designa anzitutto le discipline che usano metodi matematici e linguaggi formalizzati, ed è usata nei titoli delle riviste di divulgazione dedicate alla fisica, all’astronomia, alle scienze della Terra, o in espressioni come scienza fondamentale e Facoltà di scienze fisiche, matematiche, naturali. Il successo e il prestigio di queste scienze, dette anche dure (in inglese hard), fa sì che varie discipline umanistiche, o molli (soft), si definiscano a loro volta scienze politiche, scienze del linguaggio, scienze dell’educazione e così via.
Fino all’età della prima rivoluzione scientifica il titolo di scienza prima spettava alla metafisica, rispetto a scienze seconde come l’astronomia, la fisica, la botanica, la medicina. Oggi i ruoli si sono scambiati. Per comprendere come ciò sia avvenuto si possono ricordare alcune classificazioni delle scienze che hanno accompagnato il processo di crescita e di trasformazione della conoscenza: una vicenda nel corso della quale le pretese di onniscienza dei filosofi si sono dissolte, il sapere magico e occulto è stato relegato tra le pseudoscienze, e le varie scienze si sono rese autonome dall’antico albero della conoscenza.
I presocratici, Platone e Aristotele anticiparono intuizioni e metodi delle scienze moderne, ma introdussero una netta distinzione tra scienza (in greco epistème) e opinione (dòxa), l’una vera perché riguarda le idee pure, l’altra dubbia perché ha a che fare con le apparenze dei sensi. Secondo Platone gli uomini vedono solo simulacri delle idee vere, riflessi come ombre nel fondo di una caverna. Nel corso educativo della Repubblica la pratica della ginnastica e della musica introduce alle scienze pure (matematica, geometria, astronomia) ma soltanto la dialettica distacca la mente dai sensi e la eleva all’intuizione delle idee: un’ascesi degna dei filosofi destinati al governo della città, che lascia ai pratici l’esercizio delle altre arti e delle tecniche.
L’impronta platonica impose alle altre scienze il primato della filosofia, che ebbe in Aristotele il più autorevole teorizzatore. La sua Metafisica indaga la sostanza e le cause di tutte le cose: è la scienza prima, il cui strumento (òrganon), la logica, distingue le forme corrette del ragionamento da quelle erronee usando il metodo sillogistico. Si privilegia il criterio deduttivo, in base al quale il giudizio procede dalle proposizioni più universali e necessarie ai casi particolari. Certo Aristotele non ignora il procedimento induttivo che segue il percorso inverso, dai casi particolari alle proposizioni universali; e sa ben ricondurre ai principi le analisi particolari che si possono fare in anatomia o in astronomia. Queste scienze e le altre che egli stesso praticò – psicologia, fisica, politica, retorica, poetica, zoologia – traevano i loro principi dalla metafisica e l’esperienza dei sensi si limitava a darne conferma: in fisica si constatava la non esistenza del vuoto, in astronomia la Terra occupava il centro del mondo, in meccanica si definivano le diverse forme del moto.
La classificazione aristotelica delle scienze, tramandata dagli Arabi e ripresa in Occidente dalla scolastica, giovò a tenere distinto il sapere della mente dall’opera della mano e fissò una gerarchia tra i cultori delle varie scienze, dominata dal filosofo e dal teologo. Tommaso d’Aquino non aveva dubbi, «la logica insegna il metodo di tutte le scienze»; Ruggero Bacone (vissuto nel 13° secolo) insisté al contrario sull’importanza della ricerca empirica rispetto alle considerazioni puramente razionali. Ma fino alla fine del 16° secolo astronomia, medicina, zoologia, botanica furono considerate come scienze accessorie, subordinate alla logica e alla metafisica.
La scienza della natura cominciò a uscire dalla sua condizione di inferiorità quando si riaffacciò con Copernico l’antica ipotesi del moto terrestre. Il cauto distacco dell’astronomo polacco da Aristotele e Tolomeo segnò un primo passo verso l’emancipazione dell’osservazione astronomica rispetto alle gerarchie del sapere vigenti fino a metà del 16° secolo. L’audace mossa fu appena mascherata nella prefazione scritta dal teologo Andrea Osiander, che presentava l’opera di Copernico come un espediente valido per i calcoli dei matematici, i quali dovevano lasciare al filosofo l’ultima parola riguardo al vero assetto del mondo. Il dibattito entrò nel vivo con le scoperte celesti compiute da Galilei.
Le scoperte di Galilei screditarono l’intero assetto del sapere accumulato nei secoli e i metodi che stavano alla sua base. Nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo egli contestò la logica fondata sui sillogismi e la distinzione metafisica tra moti circolari e rettilinei. Galilei insisté sul metodo opposto, che antepone le «sensate esperienze» ai ragionamenti astratti e tenta di ricostruire le leggi della natura fondandosi sulla quantificazione dei fenomeni (metodi scientifici).
Se Aristotele aveva ammesso a suo modo la prova dei sensi, i suoi seguaci ammettevano soltanto il principio d’autorità. D’altra parte anche Galilei usò costantemente il metodo ipotetico-deduttivo, alla ricerca di leggi e di principi ai quali ricondurre la molteplicità dei fenomeni, e recuperò così certi aspetti del matematismo platonico, la concezione della materia dei filosofi Democrito ed Epicuro, i procedimenti metodici del matematico Archimede. L’abbandono dell’enciclopedia scolastica del sapere culminò con la piena autonomia presto raggiunta da scienze ‘nuove’ come la meccanica razionale, l’ottica, l’idraulica, la pneumatica, l’acustica.
Le frequenti rivoluzioni della scienza hanno rappresentato una sfida costante per i tentativi di trovare sistemazioni durature del sapere. La nostalgica illusione di un sapere universale sopravvisse in metafore come «il libro della natura» e «l’albero delle scienze», che acquistarono però significati sempre diversi.
Galilei sostenne che la lettura del libro della natura, scritto in caratteri geometrici e numerici, era indipendente dall’interpretazione del libro della Scrittura. Cartesio sognò in gioventù una «scienza del tutto nuova», da fondare seguendo le regole di chiarezza e distinzione proprie dei teoremi dell’algebra e della geometria analitica. Secondo il filosofo francese «tutta la filosofia è come un albero, le cui radici sono la metafisica, il tronco è la fisica e i rami che escono da questo tronco sono tutte le altre scienze, che si riducono a tre principali, la medicina, la meccanica e la morale [...] che è l’ultimo grado della saggezza».
Il suo contemporaneo, anch’egli filosofo, Francesco Bacone tratteggiò nel Nuovo organo i criteri di una logica della ricerca rigorosamente induttiva, che dai casi particolari approdava a leggi più generali mediante continui controlli sperimentali. Nella sua Grande instaurazione il progetto di un completo rinnovamento del sapere culminò nella profezia di un regno dell’uomo fondato sulla ricerca collegiale sotto la guida del metodo sperimentale, l’unico in grado di provvedere all’utilità, al progresso e alla felicità della comunità umana. Il suo tentativo di compromesso tra discipline vecchie e nuove prese corpo nello schema di un albero del sapere fondato sulla tripartizione delle facoltà mentali: memoria, ragione, immaginazione. La memoria includeva la storia sacra, civile, naturale; la ragione abbracciava la metafisica e la teologia, le scienze umane, le varie discipline naturali e cioè la logica, la mnemonica, la retorica, la matematica e la fisica; l’immaginazione era il regno della poesia e dei generi letterari.
Nel corso del 17° e 18° secolo le enciclopedie sostituirono al mito dell’onniscienza il criterio della collaborazione tra cultori di varie discipline. Ma anche nell’assetto alfabetico c’era, grazie ai rinvii al sistema figurato delle conoscenze presenti in ogni voce, una certa nostalgia dell’unità del sapere.
Gli enciclopedisti francesi notarono che si trattava di un artificio, perché «il sistema generale delle arti e delle scienze è una specie di labirinto, una strada tortuosa sulla quale lo spirito si avvia senza ben sapere in che direzione volgersi». Una mappa delle scienze era utile per orientarsi, ma ogni classificazione era paragonabile alle molte proiezioni possibili di un mappamondo. La natura è infatti una realtà estremamente complessa, «dove tutto si sussegue per sfumature impercettibili [...], un mare di oggetti, dove alcuni emergono, come punti di roccia che sembrano forare la superficie e dominare gli altri [...], privilegio dovuto solo a sistemi particolari, a convenzioni vaghe, a eventi estranei alla struttura fisica degli esseri».
Riconoscere la funzione provvisoria di ogni mappa della conoscenza era inevitabile in un’età in cui la sintesi di Newton aveva dimostrato l’efficacia del metodo matematico in ottica, meccanica, astronomia, fisica, scienze ormai stimate ‘prime’ dai contemporanei.
Nell’età dell’Illuminismo la critica filosofica lavorò sulla negazione della metafisica e sulla teoria della conoscenza sperimentale. Soltanto a fine secolo, tra i seguaci idealisti di Kant, si riaffacciò il tentativo di rivendicare il prestigio perduto della metafisica. Il termine tedesco per «scienza» Wissenschaft – ricalcato su scientia in polemica contro la terminologia corrente tra gli studiosi di scienze esatte e naturali – ritorna nei titoli degli scritti di logica, metafisica, filosofia dello spirito, nei quali la natura si ripresenta in forma mistica, come una manifestazione esteriore dell’essere, e le scienze naturali sono nuovamente assoggettate al primato della pura speculazione (idealismo). In Fichte la natura è l’estrinsecazione dell’io trascendentale; nel sistema di Schelling ritornano le suggestioni della magia e dell’occultismo, Hegel si sforzò di reinterpretare i dati del sapere sperimentale alla luce della sua «dialettica della natura», destinata a diventare un surrogato delle scienze naturali nell’ideologia marxista.
Nonostante le astrazioni speculative, la Wissenschaft idealistica ebbe il merito di richiamare l’attenzione dei pensatori sulla crescente divaricazione tra la conoscenza storica, la coscienza morale, le arti da un lato, le scienze ‘dure’ dall’altro, e di imporre una riflessione sui rispettivi valori.
Gli scienziati Antoine-Laurent Lavoisier e Humphry Davy fondavano la chimica come scienza rigorosa; gli studi sul magnetismo, sull’elettricità, sulla luce, sul calore lasciavano intuire l’affinità di questi fenomeni; la geometria euclidea entrava in crisi grazie alla scoperta di spazi a più dimensioni. Fisici come Pierre-Simon de Laplace, André-Marie Ampère, William Whewell, Sir Frederick William Herschel, Hermann von Helmholtz, riflettevano sulla logica della conoscenza scientifica.
Nella seconda metà del 19° secolo il problema del valore conoscitivo delle scienze morali rispetto alle scienze naturali aprì un vasto dibattito. Il fondatore del positivismo Auguste Comte e il teorico della logica induttiva John Stuart Mill sostennero la superiorità delle scienze esatte, che divenne un dogma in età positivista. John Stuart Mill si chiese se le scienze ‘morali’ avrebbero mai potuto raggiungere una capacità di predizione analoga alle leggi della fisica e della meccanica razionale.
La distinzione tra i due tipi di sapere includeva il dilemma tra libertà e necessità: il libero arbitrio caratterizza l’azione dell’uomo e della società, mentre la concatenazione tra cause ed effetti, il postulato dell’uniformità della natura, la capacità di previsione sono i presupposti del metodo sperimentale. Data l’estrema complessità di cause ed effetti, come adattare con successo i suoi strumenti alle ricerche sull’uomo e sulla società? Fino a che punto sono prevedibili le scelte dei singoli individui e il comportamento di intere masse sociali? La risposta di Mill fu interlocutoria. La combinazione dei procedimenti induttivi e deduttivi e dei criteri di prova, come il metodo deduttivo inverso, lo indusse a prefigurare ricerche capaci di un certo grado di previsione: la psicologia, l’etologia, la sociologia.
In Germania le riflessioni su questo tema animarono il dibattito tra positivisti e storicisti circa il confronto tra le «scienze dello spirito», Geisteswissenschaften, fondate sul metodo storico e praticabili mediante l’introspezione, e le «scienze della natura», Naturwissenschaften, rivolte a fenomeni quantitativi e matematizzabili.
Tra i due versanti, si collocarono la psicologia e la sociologia che alternano metodi sperimentali e metodi storico-evolutivi. In Europa e negli Stati Uniti nei primi laboratori di psicologia si avviavano ricerche quantitative sulla percezione, sulle funzioni cerebrali e sulle emozioni.
Charles Darwin espose nell’Origine delle specie e nell’Origine dell’uomo la teoria dell’evoluzione dei viventi, che distrusse l’antica certezza della superiorità umana. Ne derivò una completa riformulazione della biologia e delle ‘scienze dell’uomo’.
Si trasformarono in discipline evolutive non soltanto scienze come l’anatomia comparata, la zoologia, l’embriologia, la fisiologia, la botanica, ma anche la psicologia si confrontò con gli istinti delle specie ‘inferiori’. Dalla sociologia si svilupparono le scienze della cultura quali l’antropologia e l’etnologia, dedicate allo studio delle società primitive; l’etologia, prevista da John Stuart Mill, si rivolse invece allo studio dei comportamenti animali.
Alla metafora dell’albero delle scienze subentrò quella dell’albero della vita, che simboleggiava la continuità dell’evoluzione, dall’ameba a Homo sapiens. Sempre sullo sfondo del neodarwinismo, nel 20° secolo orizzonti fino ad allora imprevedibili sono stati aperti dalla genetica e dalle neuroscienze, che fanno ricorso a varie discipline e rendono instabili i confini tra le scienze della natura e le scienze dell’uomo.
Alla fine del 19° secolo i problemi teorici posti dall’elettromagnetismo e dalle geometrie non euclidee misero in crisi le certezze della fisica newtoniana. La scoperta della radioattività naturale ad opera di Pierre e Marie Curie, la teoria della relatività di Albert Einstein, il sorgere della meccanica quantistica (quanti) con Max Planck, Paul Dirac ed Erwin Schrödinger, sono state svolte concettuali che hanno avuto ripercussioni non soltanto sulla cosiddetta immagine della scienza, ma anche sui legami tra ricerca scientifica, convivenza sociale, industria, economia, tecnologia.
Sul fronte della conoscenza pura, i mutamenti concettuali in fisica hanno modificato l’immagine del mondo fondato sulle nozioni comuni di spazio e tempo, le idee sulla struttura della materia, sulle dimensioni e sul passato del cosmo attorno a noi, la storia della Terra e dei suoi abitanti.
Il preteso carattere di oggettività della conoscenza scientifica, considerato un dogma per buona parte del 19° secolo, è stato sostituito da problemi come il valore statistico delle cosiddette leggi naturali e la difficoltà di accordare gli strumenti di misura e gli eventi fisici, l’unificazione di teorie come quella del campo e di fenomeni come la gravità (gravitazione), l’elettromagnetismo, le interazioni forti e deboli. Lasciato da parte il principio della semplicità e costanza delle leggi naturali, i linguaggi della matematica si sono modellati sulla loro complessità.
Questi sviluppi hanno dato vita a discipline che non si identificano con il lavoro degli scienziati, ma vertono sulla stessa impresa scientifica. I filosofi della scienza riflettono sugli strumenti logici usati dai fisici e dai matematici, sul valore conoscitivo delle teorie, sui rapporti tra ipotesi di lavoro ed esperimenti.
Dalla metà del 20° secolo la storia del pensiero scientifico si è rivelata indispensabile sia per una migliore comprensione dei paradigmi dei secoli precedenti e dei rispettivi sfondi filosofici, religiosi, culturali, sia per affermare il ruolo della scienza come cultura, nella scuola e nell’educazione. La nozione di una scienza pura appare oggi un relitto della specializzazione.
La ricerca moderna esige grandi investimenti (è la cosiddetta big science) e ha condizionato la politica internazionale dalla Seconda guerra mondiale al successivo cinquantennio di pace armata. Nella seconda metà del 20° secolo la creazione di importanti strutture di ricerca, gli ingenti investimenti a fini militari e le loro ricadute tecnologiche hanno posto una serie di problemi discussi dalla sociologia della scienza: la neutralità della scienza, la responsabilità degli scienziati, il controllo sociale delle scelte, i programmi di investimento e di ricerca. I presagi dei filosofi e degli ecologisti oscillano tra il pessimismo apocalittico e il più roseo ottimismo circa le conseguenze dell’impresa scientifica sul futuro della nostra specie e sulla salvezza del Pianeta.