Spagna
Stato dell’Europa Occidentale nella Penisola Iberica.
La S. acquista visibilità storica con le contese per il suo possesso tra cartaginesi e romani nella seconda guerra punica. La presenza di fenici a Tartesso e la fondazione fenicia di Gades risalgono forse al 1100 a.C. ca. (secondo calcoli più prudenti al sec. 10°); i cartaginesi distrussero intorno al 500 a.C. Tartesso e la fondazione focea di Menace, appoggiandosi probabilmente a vecchi insediamenti fenici, ma un vero e proprio dominio di Cartagine si stabilì in S. solo nel sec. 3° a.C., con la conseguenza dell’eliminazione dei centri greci a S di Emporiae (la S. aveva attirato l’attenzione dei greci da tempo, in particolare di Samo e di Focea già dal sec. 7°, e, soprattutto, di Marsiglia dal 6°). Il merito della conquista da parte romana spetta soprattutto, dopo le imprese dei fratelli Cn. e P. Scipione terminate, dopo alterne vicende, con la loro morte (211), a P. Scipione (detto in seguito Africano), che tra il 210 e il 206 riuscì, anche con abili mosse politiche, a scacciare del tutto i cartaginesi dalla Spagna. Divisa nel 197 in due province (Hispania citerior e Hispania ulterior), la S. fu travagliata per gran parte dell’età repubblicana da insurrezioni degli indigeni, tra cui più attivi furono i lusitani e i celtiberi, contro i quali Roma inviò alcuni dei suoi migliori generali e uomini politici: M. Porcio Catone (195), C. Flaminio e M. Fulvio Nobiliore (193-191), Q. Fulvio Flacco (181), Tiberio Sempronio Gracco (180). Più lunga e difficile di tutte fu la guerra numantina, che durò circa venti anni (154-133) e si concluse appunto con la distruzione di Numanzia. Ma negli anni successivi Roma intervenne di nuovo contro ribellioni reiterate di lusitani soprattutto, di celtiberi e arevaci; poi le guerre civili del 1° sec. sconvolsero ancora la regione ai tempi di Sertorio e della guerra civile tra Cesare e Pompeo, che si concluse appunto in Spagna, a Munda (46), dove le ultime forze pompeiane furono debellate. Nei primi anni del principato di Augusto la regione venne finalmente pacificata, per merito soprattutto di Agrippa, anche se vi si stabilì permanentemente un forte presidio. Augusto divise dapprima la S. in tre province: Hispania citerior o Tarraconensis, Lusitania e Hispania ulterior o Baetica, le prime due imperiali, la terza senatoria; poco dopo (tra il 7 e il 2) furono costituite in diocesi a sé nell’ambito dell’Hispania citerior le Asturie e la Callecia (➔ Asturie), divenute provincia autonoma all’inizio del sec. 2°; tale ordinamento amministrativo fu rimaneggiato da Diocleziano, che divise la S. in sei province (le quattro già ricordate e inoltre le Baleari e la Carthaginiensis, che si staccarono ambedue dalla Tarraconensis). Romanizzata intensamente sin dal periodo convulso (2°-1° sec. a.C.) delle insurrezioni indigene con deduzione di colonie di veterani, la S. (Ampurias), divenne, a partire dall’età di Cesare e di Augusto che vi fondarono numerose nuove colonie, una delle regioni che più contribuirono alla prosperità e al progresso dell’impero: qui nacquero infatti generali e imperatori valentissimi (tra cui Traiano, Adriano, Teodosio) e uomini di lettere (Lucano, Marziale, Seneca, Quintiliano ecc.). La prosperità della S. era assicurata dalle numerose miniere, dai prodotti agricoli (vino e olio soprattutto), dai traffici che facevano capo ai grandi porti di Emporiae Nova Carthago (Cartagena) e Gades (Cadice).
Secondo una tradizione, che non risale oltre l’8° sec., il cristianesimo sarebbe stato portato in S. dall’apostolo Giacomo, il quale vi sarebbe giunto verso il 40. Un’altra tradizione vorrebbe che in S. abbia predicato Paolo, ma la realtà del fatto resta comunque assai discutibile anche perché non appare nella storia del cristianesimo spagnolo quella traccia profonda che s. Paolo ha sempre impresso nei luoghi da lui toccati. Alla fine del 2° sec. Ireneo afferma esplicitamente che il cristianesimo si è diffuso in Spagna. Solo però alla metà del 3° sec. il cristianesimo spagnolo rivela la sua presenza in occasione della controversia battesimale fra s. Cipriano e Stefano II. La larga diffusione del cristianesimo in S. è infine pienamente confermata dagli atti del Concilio di Elvira, dove verso l’anno 300 si trovano presenti 19 vescovi spagnoli. Dagli atti del concilio emerge come, accanto a una parte della Chiesa fedele alla dottrina e al costume cristiani, la gran massa dei cristiani spagnoli non facesse una distinzione netta tra paganesimo e cristianesimo. Questo strano miscuglio di pratiche e costumi cristiani e pagani si spiega con l’indifferenza del cristianesimo spagnolo di fronte ai dibattiti religiosi, in cui, già nel 2° sec., erano impegnate le altre cristianità dell’Occidente romano. Assente sostanzialmente nella controversia ariana, come lo sarà in quella pelagiana, la Chiesa spagnola ebbe la sua prima e unica crisi religiosa dell’epoca antica nell’episodio priscillianista (➔ Priscilliano). La diffusione del movimento priscillianista, rigidamente ascetico e rigorista, può certo essere vista anche come una reazione di una componente del cristianesimo spagnolo contro la corruzione e lo spirito accomodante di tanta parte dell’episcopato e del clero spagnolo. Su questo terreno giunse l’arianesimo degli invasori vandali, alani e visigoti. La Chiesa spagnola non seppe opporre resistenza e passò dal cattolicesimo all’arianesimo e da questo al cattolicesimo (con Recaredo nel 589), secondo la volontà dei suoi dominatori. Quanto all’organizzazione, la Chiesa spagnola fu divisa in sei sedi metropolitane: Bracara, Emerita, Hispalis, Toletum, Caesaraugusta, Palma. Importanza particolare, come sede del vicario di S., ebbe, dall’epoca costantiniana, quella di Hispalis (Siviglia), sostituita in epoca visigotica da quella di Toledo.
La regione, che era stata preda delle incursioni dei mauri nel 2° sec. d.C. e dei franchi e alemanni (257), vide nel 5° sec. le invasioni di vandali, svevi e alani (409), infine dei visigoti (415), che tuttavia, con il re Wallia, accettarono di essere federati dell’impero e, sconfitti i vandali silingi e gli alani, abbandonarono la S. ritirandosi nell’Aquitania (418). Passati nel 429 i vandali con Genserico nell’Africa settentrionale, i romani poterono restaurare in parte il loro dominio; ma era un dominio ormai minato, sia per le rivolte dei contadini della Tarraconense (bagaudi), sia per il dinamismo degli svevi, che, estesisi nella Betica e nella Cartaginense, giunsero a conquistare Saragozza. Una intermittente posizione di difesa dei diritti imperiali assunsero, in questo periodo, i visigoti; ma ben presto anch’essi ripresero la penetrazione armata nella S., e verso il 470 il loro re Enrico era signore di gran parte di essa, a eccezione della Galizia e di una zona della Lusitania, rimaste agli svevi, e di alcuni territori montuosi, nella Betica e nella Cartaginense, che rimasero in possesso della nobiltà ispano-romana. Il dominio visigotico durò fino al 711. Ridotto alla sola S. per effetto della sconfitta del re Alarico II a Vouillé (507) da parte dei franchi di Clodoveo, il regno visigotico ebbe ben presto da respingere l’attacco dei bizantini, che nel 554 erano riusciti a occupare parte della S. meridionale e la tennero, sia pure in proporzioni sempre più ridotte, fino al terzo decennio del 7° sec.; ma già con il re Leovigildo (568-86) il regno era riuscito a riprendersi. La conquista delle isole territoriali che erano rimaste in potere della nobiltà indigena, la repressione delle incursioni dei baschi, l’occupazione dei territori rimasti al regno svevo e il crollo definitivo di questo (585) segnarono il consolidamento territoriale del regno visigotico, che aveva per capitale Toledo. A ciò si unì il rafforzamento morale dello Stato, grazie al graduale avvicinamento fra visigoti e popolazione ispano-romana, alla conversione del re Recaredo (586-601) dall’arianesimo al cattolicesimo, con la conseguente partecipazione dell’alto clero al governo (i famosi concili di Toledo), e all’unificazione legislativa operata dal re Recesvindo (649-72) con la promulgazione di una Lex Wisigothorum, che, valida per i due popoli, aboliva la tradizionale dualità dei diritti tra vinti e vincitori. La Lex di Recesvindo, designata nei successivi rimaneggiamenti come Liber iudiciorum, si può dire che abbia segnato la data di nascita del diritto nazionale spagnolo. Tuttavia l’opera di consolidamento dello Stato non riuscì del tutto: l’alta nobiltà, padrona di vasti latifondi, mantenne un elevato grado di autonomia di fronte al potere regio. Negli ultimi decenni del 7° sec. divenne palese l’impotenza del potere regio a dominare la situazione e a tenere sotto controllo l’alto clero e la nobiltà; vani furono i tentativi della monarchia di reagire, anche con la forza (organizzazione militare del re Wamba, 672-80, abrogata dal successore Ervige).
Questa situazione interna spiega il rapidissimo successo degli arabi, che dall’Africa settentr. iniziarono tra il 710 e il 711 la conquista della penisola (secondo la leggenda, sollecitati da un conte Julián, governatore di Ceuta, per vendicare l’oltraggio fatto a una sua figlia dal re Rodrigo; in realtà, chiamati dai disordini che funestarono gli ultimi anni della monarchia visigotica). Dopo una prima fortunata scorreria del capo Tarif, spintosi sino ad Algeciras (710), seguì, nell’aprile 711, lo sbarco di alcune migliaia di soldati, in gran parte berberi, sotto il capo Tariq ibn Ziyad: vincitori del re Rodrigo a Guadalete (luglio 711), poco dopo padroni di Toledo, essi occuparono rapidamente il Paese e, trasformando la scorreria in conquista stabile (nel 713 il califfo di Damasco fu proclamato, in Toledo, sovrano della regione occupata), dettero inizio alla dominazione araba in S., destinata a durare, sia pure man mano su territori più limitati, fino al 1492. I conquistatori, chiamati poi dagli spagnoli mori e anche, più tardi, con significato spregiativo, moriscos, erano in parte arabi veri e propri (nel preciso significato etnico della parola) e in parte molto maggiore popolazioni berbere, talune delle quali già arabizzate. Essi furono accolti assai bene dalla popolazione indigena, insofferente dell’esoso fiscalismo visigotico; la larga tolleranza religiosa agevolò il loro compito ed essi, occupata la penisola a eccezione della regione asturiana, poterono varcare i Pirenei e dilagare nella Francia, trovando però un ostacolo insormontabile nei franchi di Carlo Martello (battaglia di Poitiers del 732). Dissidi violentissimi scoppiarono invece, tra il 732 e il 756, fra gli stessi invasori: la rivolta dei berberi, scontenti di aver avuto, nella divisione dei territori, le regioni più povere (Galizia, Asturie, León), repressa nel sangue, provocò l’emigrazione di costoro verso il Sud. La linea di frontiera della S. musulmana, che aveva raggiunto la massima espansione al tempo di ‛Oqba (734-40), divenne così una linea che toccava Coimbra, Coria, Talavera, Toledo, Guadalajara, Tudela e Pamplona e, nei Pirenei centrali, non oltrepassava Alquézar (Sobrarbe), Roda (Ribagorza), Ager (Pallás), lasciando fuori le regioni nordoccidentali della Penisola Iberica. La crisi tuttavia non ebbe seri contraccolpi per l’avvento dell’omayyade ‛Abd al-Rahman I, che, fattosi riconoscere (756) emiro di Cordova, organizzò saldamente il Paese, sottraendolo di fatto alla sovranità del califfo di Baghdad. Le gravissime crisi che successivamente lo sconvolsero (rivolta di «rinnegati», cioè di cattolici convertiti alla religione musulmana, e di cattolici contro i fuqaha’ o giureconsulti assai potenti; attrazione sui cattolici sudditi dei mori esercitata dai minuscoli Stati cristiani salvatisi dall’invasione; insurrezioni di nobili arabi e «rinnegati»; scorrerie dei normanni iniziatesi nell’844; e ancora, la lotta fra berberi e arabi) non riuscirono a spezzare lo Stato da lui creato, che resistette per due secoli e mezzo, fino al 1031. Dopo un periodo di quasi generale anarchia all’inizio del 9° sec., l’unità fu salvata da ‛Abd al-Rahman III, il più grande degli Omayyadi spagnoli (912-61), che, a Cordova nel 929, assunse addirittura il titolo di califfo. Fu, questa del califfato, l’epoca più splendida della S. musulmana: fiorì una grande civiltà, mirabile per lo sviluppo economico (agricolo, ma anche industriale), fastosa per splendide costruzioni, per il tono culturale; l’apice della potenza politica fu toccato, sotto il califfato di Hisham II (976-1008), con al-Mansur (➔ al-Mansur, ibn Abi Amir), grande generale, che invase il regno di León e conquistò Barcellona, giungendo nel 997 fino a Santiago de Compostela. Morto al-Mansur (1002), una spaventosa anarchia (lotte civili e razziali, rivolgimenti sociali a sfondo religioso ecc.) sconvolse il califfato, che finì con l’essere travolto (1031); al suo posto sorsero i cosiddetti regni di taifas, ossia vari staterelli governati da potenti famiglie, che giunsero a essere più di venti (i più importanti furono quelli di Saragozza, Valencia, Badajoz, Malaga, Almeria, Granada, Siviglia).
Questo spezzettamento politico dei mori permise agli Stati cristiani del Nord di procedere più risolutamente alla controffensiva per la riconquista. Questi Stati si erano costituiti per il ritiro, al momento dell’invasione musulmana, di non pochi indigeni sui monti delle Asturie, dove, secondo una tradizione non del tutto sicura, il re Pelagio avrebbe battuto (718) gli arabi a Covadonga e organizzato il primo regno cristiano di Oviedo, divenuto nel 740 regno delle Asturie. Ardite puntate offensive fatte dai successori di Pelagio, Alfonso I (739-56) e Alfonso II (792-842), aggiunsero la Galizia, e forse anche la città di León; nel 9° sec. la frontiera meridionale fu portata fino al fiume Duero e la capitale dello Stato trasportata da Oviedo a León (dal 918 il regno assunse infatti il nome di regno di León). La vittoria di Ramiro II (931-51) sui musulmani a Simancas (939) ebbe risonanza europea. Nel periodo seguente però le lotte civili condussero anche qui a un notevole indebolimento dello Stato: il conte di Castiglia si rese indipendente dal re di León; sul suo esempio altri potenti feudatari si mossero, sino al punto che il re Bermudo II (982-99) dovette invocare l’aiuto di al-Mansur, che mise a ferro e a fuoco tutto il Paese. Il regno di León non era ormai, nel 10° sec., l’unico regno cristiano in S.; l’offensiva condottavi da Carlomagno aveva creato la Marca Hispanica e, al disgregarsi di questa, era sorto il regno di Aragona con la contea di Barcellona. Sussisteva inoltre, d’incerta origine, il regno di Navarra, precedentemente detto di Pamplona. All’inizio dell’11° sec. tale era, dunque, la situazione degli Stati cristiani, che, riunite le proprie forze, in un’arditissima incursione avevano potuto spingersi fino a Cordova (1010). Legami di parentela, di matrimoni ecc. resero possibile, in questo periodo, anche un primo raggruppamento di questi Stati (riunione della Navarra, dell’Aragona, del León e della Castiglia sotto Sancio Garcés III di Navarra, circa 1000-1035), spezzatosi però poco dopo per la ripartizione del dominio tra i figli di Sancio III e le conseguenti, complicate lotte dinastiche. Dopo le prime vittorie, la penetrazione cristiana nella S. musulmana aveva subìto un arresto. Invocati dai re di taifas, i berberi almoravidi, guidati da Yusuf ibn Tashufin, erano passati in S. e avevano sconfitto Alfonso VI di Castiglia a Zallaqa (1086). Pochi anni dopo, si assisté al ritorno degli Almoravidi, che tra il 1091 e il 1110 riconquistarono gran parte delle antiche terre musulmane, compresa Saragozza, e instaurarono un nuovo regime di fanatica intolleranza religiosa. Una rivoluzione politico-religiosa, scoppiata nell’Alto Atlante per opera degli Almohadi, si ripercosse immediatamente nella S., dove il dominio almoravida crollò di fronte alla spedizione dell’almohade ‛Abd al-Mu’min (iniziata nel 1146; Maiorca, ultimo baluardo degli Almoravidi, cadde nel 1202). Meno intolleranti dei loro predecessori, gli Almohadi riuscirono per qualche tempo a frenare l’avanzata dei re cristiani di Castiglia e di Aragona (1195, vittoria ad Alarcos); ma, indeboliti poi dal sopravvenire di lotte dinastiche, furono definitivamente battuti a Las Navas de Tolosa (1212). Apertasi la via del Sud, le forze cristiane spazzarono in breve tempo i regni indipendenti almohadi, sorti in conseguenza della sconfitta (Valencia, Murcia, Niebla ecc.), e verso il 1270 ridussero il dominio musulmano al solo regno di Granada, che durò tuttavia ancora fino al 1492. L’ultima fase della lotta contro i musulmani mostra chiaramente che la Penisola Iberica, nella quale bisogna considerare anche il Portogallo (staccatosi dalla Castiglia, contea dal 1097, regno dal 1143), è sotto l’effetto di due grandi forze motrici: l’Aragona e la Castiglia. L’Aragona, staccatasi dalla Navarra, aveva finito con l’aggregarsi nel 1076 la stessa Navarra, conservandola fino al 1134; nel 1137, infine, il matrimonio tra Raimondo Berengario IV, conte di Barcellona, e Petronilla, erede del trono di Navarra, aveva consentito l’unione fra Catalogna e Aragona in quella confederazione catalano-aragonese (generalmente nota, poi, sotto il semplice nome di regno d’Aragona), che successivamente fu, a volte, l’elemento più dinamico della storia della Spagna. Si condusse quindi una vigorosa politica di riconquista sui musulmani, specialmente sotto Raimondo Berengario IV (1131-62), Alfonso II (1162-96) e Giacomo I (1213-76): politica che portò alla conquista dei regni di Valencia, di Murcia, delle Baleari e alla sistemazione definitiva dei confini aragonesi. La monarchia di Castiglia e León, le cui due Corone, unite dal 1037, si scissero nuovamente nel 1065-72 e nel 1157-1230, fu invece l’erede dell’opera della monarchia asturiana: raggiunta la linea del Tago, minacciò la S. meridionale e infine, sotto Ferdinando III (1217-52), conquistò Cordova, Jaén, Siviglia, l’Andalusia e si spinse fino a Cadice (1236-48); contemporaneamente il centro di gravità si spostava verso il Sud (1085, trasferimento della capitale a Toledo) e, col 1230, l’unità era saldamente e per sempre costituita: poiché la Castiglia era ormai, e di gran lunga, la parte più importante del regno, questo fu ben presto chiamato, semplicemente, regno di Castiglia.
A parte le frequenti alleanze contro i musulmani, non è una storia del tutto pacifica quella dei rapporti tra questi due regni, i quali anzi, nel passato, non avevano esitato nella loro lotta per l’egemonia a ricorrere, alle volte, agli stessi mori. Divenuti marginali nella vita politica iberica il regno di Navarra, ormai territorialmente ridotto ed entrato nella sfera d’influenza francese, e quello di Portogallo, riconosciuto indipendente dopo lunghe lotte dalla Castiglia-León (1263), rimasero a contendersi l’egemonia i due regni di Castiglia e d’Aragona. Mentre la monarchia castigliana in politica estera rimaneva sul terreno della reconquista, cioè dell’espansione territoriale verso il Sud, quella aragonese invece, costretta nel 1213 dalla sconfitta di Muret a rinunciare alla politica di espansione verso la Francia, si diede a svolgere una politica mediterranea in grande stile (Sicilia, Sardegna, imprese della Compagnia catalana in Grecia e in Asia Minore). L’uno e l’altro regno tuttavia furono travagliati nel corso dei secc. 14° e 15° da violente discordie interne, spesso degeneranti in guerre civili (rivolte della nobiltà contro il potere regio, soprattutto in Aragona; guerre di successione, soprattutto in Castiglia durante il regno di Pietro I, 1350-69, che videro l’intervento di potenze straniere; lotta tra la fine del 13° sec. e la prima metà del 14° del potere monarchico con la Unión dei nobili, e della Unión di Aragona con quella di Valencia ecc.). Nel corso di queste vicende, mutarono anche le dinastie: sul trono di Castiglia, nel 1369, si ebbe l’avvento dei Trastamara con Enrico II; su quello di Aragona, nel 1412, per il compromesso di Caspe, salì Ferdinando d’Antequera, reggente di Castiglia. Nella seconda metà del 15° sec. scoppiò una nuova guerra civile in Castiglia, alla morte di Enrico IV (1474), fra la sorella di lui Isabella I, dal 1469 moglie di Ferdinando il Cattolico, futuro re di Aragona, e i sostenitori di Giovanna la Beltraneja (➔ Giovanna la Pazza). Con la vittoria definitiva di Isabella (1479), iniziava una nuova fase nella storia spagnola: essendo in quello stesso anno salito al trono di Aragona il marito Ferdinando, si venne a realizzare un’unione fra i due regni fino a quel momento divisi. Si trattava ancora di un’unione puramente personale, destinata a diventare definitiva nella persona del nipote Carlo (Carlo V).
L’epoca di Ferdinando e di Isabella fu l’età d’oro della storia spagnola: caduta Granada (1492) e conclusasi così la reconquista, la guerra contro i musulmani fu portata sul litorale nordafricano (presa di Orano e Bugia, 1509; di Tripoli, 1511; sottomissione di Algeri e di Tunisi). Ferdinando d’Aragona intervenne nella grande contesa europea per il predominio in Italia, conquistandone il Mezzogiorno (1504); nel 1512 fu annessa la Navarra spagnola e compiuta così l’unità anche dal lato dei Pirenei. I Re cattolici individuarono inoltre nell’unificazione religiosa, perseguita a spese delle comunità ebraiche e musulmane, un ulteriore strumento per favorire la coesione nazionale e a tal fine, sullo scorcio del 15° sec., venne gradualmente istituita l’Inquisizione spagnola. Negli stessi anni, le scoperte di C. Colombo offrirono alla S. nuovi e immensi domini: il sorgere dell’impero coloniale in America rafforzò anche la posizione europea del Paese. Questa posizione sembrò diventare di assoluta egemonia sotto il regno di Carlo V (1516-56) per l’accomunarsi della Castiglia e dell’Aragona con l’impero e coi domini ereditari degli Asburgo; anche quando, con l’abdicazione di Carlo V e l’avvento di Filippo II (1556), ritornò a essere una individualità politica distinta, la S. poté ancora per alcuni decenni essere alla testa della politica europea, realizzare l’assoluta unità peninsulare (1581, conquista del Portogallo) e, modellandosi sul tipo dello Stato confessionale cattolico, associare i propri interessi egemonici al moto religioso della Controriforma. Ma in questo splendore si celavano motivi di profonda e rapida decadenza: sotto Carlo V, l’associazione con Stati dalla struttura totalmente diversa costrinse la S. ad alimentare, con le ricchezze del Nuovo mondo, conflitti che la distraevano dai suoi immediati interessi (guerre con la Francia, crollo del dominio in Africa, dove iniziò il predominio degli Stati barbareschi, lotta ai movimenti religiosi luterani). Sotto Filippo II, l’accentramento statale, l’intolleranza religiosa (1566, rivolta dei moriscos), l’accentuarsi della crisi economica, comune a tutta l’Europa e provocata dall’eccessivo affluire dei metalli preziosi americani, finirono col colpire a morte la stessa potenza spagnola. La politica di Filippo II, pertanto, falliva in Francia (avvento di Enrico IV, ex calvinista, e Pace di Vervins del 1598), nei Paesi Bassi, ribellatisi da un trentennio, e in Inghilterra (1588, distruzione della Invencible Armada). I successori Filippo III (1598-1621) e Filippo IV (1621-65) furono costretti a riconoscere l’indipendenza dei Paesi Bassi, quella del Portogallo (1640) e invano, dopo il Trattato di Vestfalia (➔ Vestfalia, Paci di) del 1648, cercarono di proseguire per proprio conto la guerra dei Trent’anni: con la Pace dei Pirenei (1659) furono costretti ad abbandonare alla Francia l’Artois, il Lussemburgo, alcune piazzeforti delle Fiandre, il Rossiglione e la Cerdaña. E ciò mentre aumentava la crisi interna (1609, espulsione dei moriscos con grave danno per l’agricoltura; commercio coloniale sempre più insidiato da olandesi, francesi e inglesi; deficit gravissimo; governo dei grandi favoriti o privados). Tale situazione si aggravò ancora durante il regno di Carlo II (1665-1700), che dovette cedere alla Francia altre piazzeforti delle Fiandre e la Franca Contea, e alla sua morte – avvenuta senza eredi maschi – la guerra di Successione di S. rivelò come il Paese, un secolo prima potenza dominante in Europa, era scaduto a semplice «oggetto» di politica internazionale.
Fu organizzato nelle sue linee generali entro la metà del 16° sec., secondo il modello centralizzato che si andava affermando nella madrepatria. Il Consejo de Indias era il massimo organo legislativo, amministrativo e giudiziario del governo coloniale; costituito nel 1524, era composto prevalentemente di giuristi e aveva sede in Spagna. Rispettivamente nel 1535 e nel 1542 furono costituiti i vicereami della Nuova Spagna e del Perù, alla testa dei quali furono posti i viceré, funzionari nominati (dal Consejo de Indias con l’assenso del re) per un periodo determinato e revocabili, cui era conferita la suprema autorità civile e militare. Subordinati ai viceré, ma di fatto sensibilmente autonomi da essi, i capitani generali esercitavano le stesse prerogative su entità territoriali (capitanías generales) più ristrette, ricomprese nei vicereami. Viceré e capitani generali erano assistiti dalle Audiencias, organi collegiali dotati di competenze giudiziarie e consultive; le Audiencias non direttamente presiedute da un viceré o da un capitano generale erano guidate da un magistrato (presidente) ed esercitavano il potere su entità territoriali minori (presidencias). L’amministrazione provinciale era ordinata nei corregimientos o alcaldías mayores, retti da un corregidor o da un alcalde; a livello municipale fu trasferito nel Nuovo mondo il cabildo (o ayuntamiento), sorta di consiglio cittadino, unico istituto coloniale del quale potevano far parte i creoli (spagnoli nati in America), essendo le principali cariche politiche, militari ed ecclesiastiche riservate agli spagnoli. Nel 18° sec., dopo l’avvento della dinastia dei Borbone, furono costituiti i vicereami di Nueva Granada e Río de la Plata, vennero create nuove Audiencias (alla fine del periodo coloniale se ne contavano 14) e fu introdotto il sistema delle intendenze, che sostituì le antiche ripartizioni provinciali. Dopo il 1756 fu inoltre abolito il monopolio di Cadice e Siviglia, i soli porti autorizzati al commercio con l’America ispanica, e furono finalmente autorizzati gli scambi commerciali intercoloniali, precedentemente proibiti.
Le paci di Utrecht (1713) e di Rastatt (1714) diedero il trono al francese Filippo V di Borbone. Con la nuova dinastia ebbe inizio per la S. un periodo di ripresa sia all’interno (riforme di G. Patino, poi del conte P.P. Aranda e di J. Moñino di Floridablanca, che rafforzarono il potere centrale e stimolarono l’economia) sia, parzialmente, nella politica estera: anche dopo gli insuccessi in Italia del cardinale G. Alberoni, la politica dinastica di Elisabetta Farnese, moglie di Filippo V, portò all’insediamento dei figli Carlo a Napoli e in Sicilia nel 1734, e Filippo a Parma e Piacenza nel 1748. Con Carlo III (1759-88) proseguirono e si estesero le riforme, e nella politica ecclesiastica si affermò il giurisdizionalismo, qui detto regalismo (➔ regalismo e antiregalismo). Tuttavia le ferite provocate dalla guerra di Successione non poterono essere tutte rimarginate: se Minorca fu riconquistata nel 1782, Gibilterra restò sempre in mano inglese, né a farla riavere alla S. valse il patto di famiglia del 1761, che legò la politica spagnola a quella francese con finalità antinglese e trascinò la S. nella guerra dei Sette anni e in quella per l’indipendenza degli Stati Uniti d’America. L’alleanza franco-spagnola si spezzò con la Rivoluzione francese; dopo un primo periodo di aperte ostilità, chiuse dalla Pace di Basilea nel 1795, seguì, grazie anche all’influsso esercitato dal ministro M. Godoy su Carlo IV (1788-1808), un ritorno all’antica alleanza e a una politica antinglese rivelatasi fallimentare (1805, sconfitta di Trafalgar). Infine, anche in seguito ai contrasti scoppiati tra il monarca e suo figlio Ferdinando, la S. divenne uno Stato vassallo della Francia con Giuseppe Bonaparte come re (1808). Contro lo straniero, la S. insorse compatta e, come nel vicino Portogallo, il popolo combatté a fianco delle truppe britanniche inviate nella Penisola Iberica per liberarla dai francesi (guerra peninsulare, 1808-14). Nella parte del Paese non occupata fu eletta un’assemblea nazionale (Cortes), che nel 1812 promulgò a Cadice una Costituzione marcatamente liberale. La S. fu infine affrancata dall’occupazione francese grazie alle vittorie riportate, a partire dal 1812, dal duca di Wellington; nel frattempo, l’insurrezione scoppiata nel vicereame del Rio de la Plata (1810) aveva segnato l’inizio del processo che avrebbe portato in pochi anni le province dell’impero coloniale americano alla conquista dell’indipendenza. Salito al trono nel 1814, Ferdinando VII di Borbone abolì la Costituzione del 1812 e perseguì una politica reazionaria; nel 1820 le truppe destinate in America insorsero, imponendo il ritorno alla Costituzione del 1812, e nel 1823 solo l’aiuto della Santa Alleanza e le armi francesi consentirono di soffocare il movimento liberale. Da allora la vita politica spagnola fu per molti anni contrassegnata da uno stato d’instabilità interna, dovuto al profondo dissidio politico fra tendenze liberali e reazionarie, al ruolo preminente assunto dall’esercito, al sorgere del carlismo con la conseguente guerra civile, conclusasi nel 1839 con la vittoria della regina Maria Cristina. Intorno alla metà del 19° sec. la S. attraversò un periodo di relativa espansione economica: grazie ai crediti dall’estero (Francia soprattutto), fu potenziata la rete ferroviaria, si svilupparono l’industria tessile catalana e quella della lana nel Paese Basco, furono gettate le basi per una moderna industria siderurgica e mineraria. Le vecchie strutture agrarie frenarono però il processo di sviluppo: come era già successo nel 1836 con le riforme di J.A. Mendizábal, il latifondo uscì addirittura rafforzato dalla vendita dei beni ecclesiastici e di quelli comunali (1854-55), acquistati in massima parte dai grandi proprietari terrieri, che con le gerarchie ecclesiastica e militare e la nascente borghesia della finanza e dell’industria costituivano il gruppo di potere dominante. Nel sett. 1868 una ribellione di ufficiali liberali costrinse Isabella II (salita al trono nel 1843) a lasciare il Paese e una nuova Costituzione (1869) introdusse il suffragio universale maschile e una completa libertà religiosa. Il trono di S. fu offerto ad Amedeo di Savoia (1870), al cui breve regno, segnato dalla ripresa della guerra carlista e dall’opposizione repubblicana, fece seguito la proclamazione della Repubblica (febbr. 1873). Fiaccata dalla rivolta carlista nel Nord, dalle prime agitazioni anarchiche in Andalusia e Catalogna e dai contrasti emersi tra centralisti e federalisti, la Repubblica fu travolta nel dic. 1874 da un colpo di Stato militare; la dinastia borbonica fu restaurata nella persona di Alfonso XII e una nuova Costituzione (1876) reintrodusse il suffragio censitario e le posizioni di privilegio per la Chiesa cattolica. Dopo la sconfitta definitiva dei carlisti (1875), la vita politica della S. fu a lungo caratterizzata dalla pacifica alternanza al potere dei partiti conservatore e liberale, ma anche da una diffusa corruzione dell’apparato amministrativo e dal conseguente controllo esercitato da alcuni notabili locali sul corpo elettorale, controllo protrattosi anche dopo la reintroduzione nel 1890 del suffragio universale; negli stessi anni si andò organizzando il movimento operaio, con la nascita del Partido socialista obrero español (PSOE, 1879) e della socialista Unión general de trabajadores (UGT, 1888). La sconfitta patita nella guerra ispano-americana e la perdita di Cuba, di Puerto Rico e delle Filippine (1898) ebbero enormi ripercussioni su tutta la nazione: le strutture politiche e sociali del Paese furono sottoposte a profonda critica da parte di un gruppo di intellettuali, noto collettivamente come Generazione del ’98, i cui principali esponenti furono J. Costa e M. de Unamuno; sul piano politico ripresero vigore la propaganda repubblicana e le rivendicazioni autonomistiche basche e catalane, mentre l’indirizzo reazionario assunto dalla monarchia (Alfonso XIII fu dichiarato maggiorenne nel 1902) e il perdurare degli squilibri nella distribuzione della proprietà terriera spinsero gli anarchici a ricorrere sempre più spesso all’arma del terrorismo. Durante la Prima guerra mondiale, la richiesta di ferro e munizioni da parte dei Paesi belligeranti favorì in S., rimasta neutrale, una crescita della produzione industriale e delle esportazioni, cui però non corrispose alcun miglioramento nelle condizioni economiche dei lavoratori; al conseguente inasprimento dei conflitti sociali si aggiunsero le difficoltà incontrate nel tentativo di espansione coloniale in Marocco, culminate con la sconfitta patita per mano di ‛Abd el-Krim ad Anoual (1921). Col sostegno della monarchia, preoccupata per il mantenimento dell’ordine sociale, nel 1923 il generale M. Primo de Rivera operò un colpo di Stato e instaurò un regime dittatoriale che lasciò irrisolti i problemi di fondo del Paese. Tolto il suo appoggio al dittatore e ripristinato l’ordinamento costituzionale (1930), Alfonso XIII abbandonò la S. dopo la vittoria dei repubblicani nelle elezioni municipali dell’aprile 1931.
Le elezioni per le Cortes costituenti del giugno 1931 furono vinte largamente da una coalizione di repubblicani di sinistra e PSOE e nel dic. 1931 fu promulgata una Costituzione di carattere democratico-sociale avanzato. Varato uno statuto di ampia autonomia per la Catalogna (1932), il governo del repubblicano M. Azaña cercò di limitare il peso della Chiesa e dell’esercito nella vita politica del Paese, introdusse una più avanzata legislazione del lavoro, ma non riuscì ad arginare la crescente disoccupazione né a soddisfare la richiesta di terra proveniente dal proletariato agricolo. Le elezioni legislative del 1933 furono pertanto vinte dal partito radicale di A. Lerroux García e dalla Confederación española de derechas autónomas (CEDA), coalizione di partiti di destra nata per iniziativa di J.M. Gil-Robles. Nell’ott. 1934, contro l’ingresso di tre ministri della CEDA nel governo Lerroux, il PSOE proclamò uno sciopero generale, trasformatosi nella regione mineraria delle Asturie in un’insurrezione armata; quest’ultima fu ferocemente repressa dall’esercito, come il moto indipendentista scoppiato in Catalogna per timore che il governo centrale abrogasse lo statuto di autonomia e annullasse la legge di riforma agraria approvata dalla locale Generalitat. Il predominio delle destre fu interrotto nelle elezioni del febbr. 1936 dalla vittoria del Frente popular: l’annullamento delle riforme realizzate sino ad allora e il timore dell’avvento di un regime di tipo fascista indussero repubblicani di sinistra, socialisti e comunisti (il Partido comunista de España, PCE, era nato nel 1922) a creare una coalizione elettorale, che poté contare anche sul tacito sostegno delle organizzazioni anarchiche (in particolare della potente Confederación nacional de trabajo, CNT, nata nel 1910). Mentre si moltiplicavano le occupazioni di terre da parte di contadini poveri, gli incendi e i saccheggi ai danni di chiese e monasteri, gli scontri tra formazioni paramilitari di destra e organizzazioni operaie, e il nuovo governo, composto esclusivamente da repubblicani, varava nuovi provvedimenti riformistici e anticlericali, il 17 luglio 1936 scoppiò in Marocco l’insurrezione del generale F. Franco, propagatasi il giorno seguente nella madrepatria; l’intervento dei lavoratori in armi contro i militari nelle principali città impedì il successo degli insorti, che poterono impadronirsi solo di Vecchia Castiglia, Navarra, Aragona, Galizia e Andalusia. Seguì una violentissima guerra civile (1936-39), durante la quale gli insorti fecero affidamento su consistenti aiuti in uomini e materiali da parte di Italia e Germania, nonostante i due Paesi avessero formalmente aderito agli accordi di non intervento promossi da Francia e Gran Bretagna, mentre il governo legittimo, oltre all’aiuto di migliaia di volontari accorsi da tutto il mondo e organizzati nelle Brigate internazionali, poté contare sul sostegno dell’URSS. Sul piano militare, dopo il fallimento di un primo assalto a Madrid (nov. 1936) e delle successive offensive contro la capitale (Jarama, febbr. 1937; Guadalajara, marzo 1937), Franco diresse i suoi sforzi contro le regioni industriali del Nord, che riuscì a sottomettere entro l’ott. 1937. Al vittorioso attacco repubblicano contro Teruel (dic. 1937-genn. 1938) i franchisti risposero con la riconquista della città a febbraio e con un’offensiva che, raggiunte a primavera le foci dell’Ebro, tagliò in due la S. repubblicana (Catalogna e regione madrileno-mediterranea). Caduta la Catalogna (genn. 1939), nel campo repubblicano si produsse una profonda spaccatura tra militari, favorevoli a trattare la resa, e comunisti, decisi a resistere a oltranza, e dal 7 marzo 1939 infuriarono a Madrid violenti combattimenti tra esercito e comunisti; il 28 marzo Franco, il cui governo era già stato riconosciuto anche da Francia e Gran Bretagna, entrò in città e il 1° aprile 1939 poté annunciare la fine del conflitto, costato alla S. incalcolabili danni materiali, circa un milione di morti e centinaia di migliaia di esuli.
Proclamato capo dello Stato da una giunta riunita a Burgos all’indomani dello scoppio della guerra civile (sett. 1936), Franco aveva consolidato il suo potere fondendo nell’aprile 1937 tutti i gruppi di destra in un’unica formazione (➔ Falange), quindi, con una legge del genn. 1938, aveva anche assunto il titolo di capo del governo e delle forze armate (caudillo). Terminato il conflitto, Franco instaurò un regime autoritario (soppressione dei partiti politici, a eccezione della Falange), corporativo (creazione di un sindacato unico) e fortemente centralista (abolizione degli statuti di autonomia); il caudillo riuscì a mantenere la S. neutrale nella Seconda guerra mondiale, nonostante le ripetute richieste di intervento da parte delle potenze dell’Asse. Un certo ridimensionamento del ruolo della Falange (l’allontanamento del ministro degli Esteri filonazista R. Serrano Suñer, 1942), l’istituzione di Cortes consultive (1942) e la concessione di una carta delle libertà individuali (Fuero de los Españoles, 1945) non impedirono nell’immediato dopoguerra l’isolamento internazionale della S., che per la natura antidemocratica del suo regime vide respinta la domanda di adesione all’ONU (1946) e fu inizialmente esclusa dai benefici del piano Marshall (➔ Marshall, George Catlett). Restaurata nominalmente la monarchia con la legge di successione del 1947, che gli assegnava il ruolo di reggente a vita, Franco riuscì a riportare la S. nel consesso internazionale approfittando dei contrasti tra gli Alleati e dell’avvento della Guerra fredda: accolto nella FAO (1950), il Paese ottenne dagli USA ingenti aiuti finanziari in cambio della concessione di alcune basi militari (1953) e fu infine ammesso all’ONU (dic. 1955). Parallelamente, l’autarchia economica e il controllo statale della produzione, sino allora perseguiti dai ministri della Falange, lasciarono il posto al liberismo economico propugnato dai sempre più influenti tecnocrati dell’Opus Dei; grazie agli aiuti internazionali e ai proventi di un settore turistico in forte espansione, a partire dal 1960 la S. conobbe un notevole sviluppo industriale, mentre il settore agricolo rimaneva stagnante e alimentava fenomeni di inurbamento o di emigrazione verso i Paesi dell’Europa Occidentale. Afflitti da un’inflazione in forte crescita e mal tutelati dal sindacato unico, i lavoratori dell’industria iniziarono a costituire delle comisiones obreras e a ricorrere sempre più spesso allo sciopero, nonostante le proibizioni legislative; al contempo riprese vigore l’opposizione di studenti, intellettuali, PSOE e PCE, riformatisi in clandestinità, mentre, sostenute dal clero locale, tornarono a manifestarsi le istanze separatiste in Galizia, Catalogna e nel Paese Basco, dove nel 1959 si costituì l’ETA. Alla pressione popolare furono opposte delle timide riforme: riconosciuto il diritto di sciopero per motivi economici (1965) e sostituita la censura con una legge più permissiva sulla stampa (1966), con la legge organica dello Stato del nov. 1966 Franco separò le cariche di capo dello Stato e capo del governo, stabilì l’elezione diretta di un sesto delle Cortes e proclamò il principio della libertà religiosa, pur restando il cattolicesimo religione di Stato; nel luglio 1969 il caudillo designò infine quale suo successore e futuro re di S. il principe Giovanni Carlo (Juan Carlos) di Borbone, nipote di Alfonso XIII. Sul piano della politica estera, tra il 1956 e il 1975 la S. rinunciò pacificamente ai suoi possedimenti africani; nei primi anni Settanta tentò un avvicinamento al MEC e, nonostante l’anticomunismo del regime, avviò relazioni commerciali e diplomatiche con i Paesi dell’Europa Orientale. All’interno, rivelatesi insufficienti le riforme, Franco tornò a una politica repressiva per fronteggiare le continue agitazioni operaie e studentesche e l’attività terroristica degli indipendentisti baschi (proclamazione dello stato di emergenza, genn. 1969; sospensione di alcuni articoli del Fuero de los Españoles, dic. 1970-giugno 1971). Nel giugno 1973, attuando per la prima volta quanto stabilito dalla legge organica del 1966, Franco nominò primo ministro l’ammiraglio L. Carrero Blanco, vittima nel dicembre dello stesso anno di un attentato organizzato dall’ETA; al suo posto fu nominato C. Arias Navarro, il cui governo varò un ulteriore inasprimento della politica repressiva (all’esecuzione di un anarchico nel marzo 1974, la prima dal 1963, fece seguito nel sett. 1975, tra le proteste dell’opinione pubblica mondiale, quella di cinque terroristi baschi). Già costretto dalle sue precarie condizioni di salute a cedere temporaneamente a Giovanni Carlo le funzioni di capo dello Stato (estate 1974 e ott. 1975), Franco morì il 20 nov. 1975 e due giorni dopo Giovanni Carlo divenne re di Spagna.
La transizione alla democrazia fu opera soprattutto del governo presieduto da A. Suárez González (luglio 1976-genn. 1981), la cui UCD (Unión de centro democrático, coalizione di partiti moderati) si impose nelle elezioni per le Cortes costituenti del giugno 1977. Dopo la promulgazione di una nuova Costituzione (dic. 1978) e la vittoria nelle elezioni legislative del marzo 1979, Suárez dovette affrontare una difficile situazione economica e la persistente minaccia terroristica dell’ETA, i cui attentati proseguirono nonostante il varo di una riforma che prevedeva un moderato decentramento politico-amministrativo e l’elezione di parlamenti regionali. Nel febbr. 1981, il rifiuto di Giovanni Carlo di collaborare con i ribelli fece fallire un tentativo di colpo di Stato attuato da militi della guardia civile col sostegno di alcuni settori delle forze armate. Un nuovo governo dell’UCD, affidato a L. Calvo Sotelo, ottenne nel maggio 1982 l’ingresso della S. nella NATO, nonostante la netta opposizione di PSOE, PCE e della destra nazionalista. Indebolita da contrasti e scissioni, l’UCD subì un drastico ridimensionamento nelle elezioni anticipate dell’ott. 1982, che videro l’affermazione del PSOE (46% dei suffragi e maggioranza assoluta dei seggi al Congresso) e il buon risultato di Alianza popular (AP), espressione della destra franchista (25% dei voti). Le misure di politica economica varate dal governo costituito nel dic. 1982 dal leader socialista F. González Márquez portarono a una diminuzione dell’inflazione, al miglioramento della bilancia commerciale e alla stabilizzazione del deficit pubblico, ma non riuscirono ad arginare la disoccupazione (22% della popolazione attiva nel 1984); i rapporti tra esecutivo e sindacati si deteriorarono e, a partire dal 1984, numerosi scioperi bloccarono l’attività produttiva, mentre proseguivano su tutto il territorio nazionale gli attentati dell’ETA. Sul piano internazionale, nel genn. 1986 il governo socialista ottenne l’ingresso della S. nella CEE e nel marzo dello stesso anno un referendum sancì la permanenza del Paese nella NATO sulla base di nuove condizioni, come proposto dal PSOE. Le difficoltà economiche e i mancati risultati nella lotta al terrorismo indussero González a ricorrere a elezioni anticipate nel giugno 1986 e nell’ott. 1989; in entrambi i casi il PSOE subì una riduzione di consensi, mantenendo comunque la maggioranza assoluta dei seggi al Congresso. Nei primi anni Novanta la popolarità del governo González fu gravemente compromessa da una serie di scandali e dai sospetti di un coinvolgimento dell’esecutivo nell’organizzazione di gruppi paramilitari antiterrorismo, responsabili dal 1983 dell’eliminazione di numerosi esponenti dell’ETA. Dopo la ratifica nel 1992 del Trattato di Maastricht, González, in difficoltà per le conseguenze di una nuova fase di recessione economica, dovette nuovamente far ricorso alle urne (giugno 1993); il PSOE perse la maggioranza assoluta (38% dei suffragi), il Partido popular (PP, coalizione di centrodestra nata nel 1989 dalla fusione di AP con il Partido liberal e la Democracia cristiana) ottenne il 34% dei voti e Izquierda unida (IU, coalizione di sinistra organizzata nel 1989 dal PCE) il 9% dei suffragi. Nel luglio 1993 González varò un esecutivo di minoranza con l’appoggio esterno dei nazionalisti moderati catalani (Convergencia i Unió, CIU) e baschi (Partido nacionalista vasco, PNV); i tagli alla spesa pubblica e ai sussidi di disoccupazione varati dal governo causarono una ripresa della conflittualità sociale nel corso del 1994, senza che gli indicatori economici facessero registrare segni di miglioramento. Perso il sostegno di CIU alla fine del 1995, González fece nuovamente ricorso a elezioni anticipate (marzo 1996), vinte però dal PP, con il 38,5% dei suffragi, ma non la maggioranza assoluta dei seggi, mentre il PSOE scese al 37,5% e IU ottenne il 10,5% dei voti. Nel maggio 1996 il leader del PP, J.M. Aznar, costituì un nuovo governo, che ottenne il sostegno esterno di CIU, PNV e dei nazionalisti delle Canarie dopo un lungo negoziato su un programma che, accanto all’obiettivo prioritario di ridurre deficit pubblico e tasso d’inflazione, prevedeva un rafforzamento delle già avanzate autonomie regionali (maggio 1996). Il PP si era imposto sulla scena politica già a partire dai primi anni Novanta. Nato nel 1989 dall’AP (il più importante partito della destra spagnola in cui erano confluite diverse correnti, dall’estrema destra ai liberali) a opera di un ex ministro del regime franchista, M. Fraga Iribarne, nel 1990 il PP era passato sotto la guida di Aznar che ne aveva accentuato il carattere moderato e centrista. Da allora il PP era cambiato: dotato di un gruppo dirigente nuovo e più giovane, aveva assunto un carattere unitario sulla base di una linea di centrodestra, pur mantenendo l’eterogeneità interna del passato. Il nuovo governo si trovò subito a dover affrontare forti tensioni sociali seguite alle prime misure d’austerità introdotte: il congelamento degli stipendi del pubblico impiego aveva infatti provocato scioperi e manifestazioni di protesta (ott.-nov. 1996), i tagli alle spese per l’istruzione avevano portato in piazza studenti e insegnanti (dic. 1996), mentre nel febbraio 1997 un lungo sciopero dei camionisti paralizzò il Paese. L’opposizione sociale alla linea di austerità del governo non impedì ad Aznar di ottenere l’approvazione parlamentare del suo «piano di stabilità economica», con il voto contrario della IU, nell’aprile 1997. La crisi che aveva investito il PSOE non sembrava frattanto risolversi: nel giugno 1997 A. Suárez González si ritirava e veniva sostituito alla segreteria dal moderato J. Almunia, sconfitto a sua volta da J. Borrell nelle elezioni primarie del partito (apr. 1998). A partire dall’autunno 1997 la credibilità di Aznar subiva un contraccolpo per le dichiarazioni di J. de la Rosa, uomo d’affari catalano coinvolto in un processo per frode e appropriazione indebita di capitali, che confermava le voci di un suo cospicuo finanziamento al PP nella campagna per le elezioni del Parlamento catalano del 1991, e la stessa stabilità del governo fu sottoposta a dura prova: il PNV e la CIU annunciarono a più riprese il ritiro dell’appoggio ad Aznar. Si concludeva frattanto il lungo iter processuale relativo al ruolo svolto dall’esecutivo nell’organizzazione dei Grupos antiterroristas de liberación (GAL), gruppi militari antiterrorismo nati nel 1983 e indicati come responsabili dell’eliminazione di numerosi esponenti dell’ETA in S. e in Francia: già nell’aprile 1995 quattordici ex funzionari del ministero degli Interni erano stati condannati perché ritenuti colpevoli di aver istituito e finanziato i GAL, mentre nel luglio 1998 la Corte suprema condannava J. Barrionuevo, ex ministro degli Interni, R. Vera, ex segretario di Stato per la sicurezza, e J. Sancristóbal, ex direttore generale della sicurezza di Stato, per sequestro di persona e appropriazione indebita di denaro pubblico, mentre comminava condanne minori ad altre nove alte personalità dello Stato e del PSOE. I segnali di crisi per il governo Aznar, cui si aggiunsero i risultati delle elezioni europee del giugno 1999, con la ripresa del PSOE e il lieve calo del PP, non mutarono comunque il quadro politico del Paese, mentre all’interno del Partido socialista confermarono il potere del segretario generale Almunia, che in luglio veniva perciò eletto candidato socialista alla presidenza del governo in sostituzione di Borrell, ritiratosi nell’aprile. Nel dicembre 1999 il governo subì il contraccolpo della ripresa del terrorismo nel Paese Basco. La questione basca, come sempre al centro della vita del Paese, si era andata modificando nel corso della seconda metà degli anni Novanta. Il periodo tra il 1996 e il 1998 era stato contrassegnato da un ininterrotto succedersi di atti terroristici a opera dell’ETA, che iniziava a colpire, con una strategia diversa rispetto al passato (quando le vittime erano scelte soprattutto tra le forze di sicurezza) uomini politici locali ed esponenti del partito al governo (prima il PSOE e poi, dopo la primavera del 1996, il PP), mentre per autofinanziarsi ricorreva a sistematiche estorsioni a uomini d’affari e imprenditori. L’attività terroristica dell’ETA aveva provocato una progressiva presa di distanza dell’opinione pubblica basca dalle ragioni del movimento indipendentista, presa di distanza che si era andata traducendo in dura condanna espressa poi a livello nazionale nelle imponenti manifestazioni del luglio 1997 quando, in seguito all’assassinio da parte dell’ETA di un giovane consigliere del PP, M. A. Blanco, centinaia di migliaia di persone (solo a Madrid superarono il milione) avevano dimostrato la propria protesta sfilando nelle strade delle principali città della S., comprese quelle della regione basca. All’isolamento sul piano politico si era aggiunta in quegli anni per l’ETA l’azione repressiva della polizia, che aveva riportato importanti successi contro l’organizzazione clandestina, e della magistratura, che nel dicembre 1997 aveva condannato i 23 membri della direzione dell’Unità popolare (Herri batasuna, HB), braccio politico dell’ETA, che da sempre sosteneva la propria autonomia dall’organizzazione terroristica, a sette anni di carcere ciascuno per collaborazione con banda armata. Indebolita, l’ETA aveva adottato una nuova strategia per arrivare a un accordo con le altre forze indipendentistiche delle province basche. Tale strategia provocò, a livello locale e nazionale, una polarizzazione tra i partiti «costituzionalisti» (PP e PSOE) e quelli «indipendentisti» (PNV, HB e altri gruppi minori, oltre all’IU), mentre, nel settembre 1998, questi ultimi sottoscrivevano un accordo che sanciva il diritto all’autodeterminazione (Pacto del Lizarra). Quattro giorni dopo l’ETA proclamava una tregua unilaterale a chiusura dei 30 anni di lotte per l’indipendenza del Paese Basco, mentre l’HB si dichiarava favorevole per la prima volta nella sua storia a partecipare ai governi locali. Le elezioni regionali dell’ottobre dello stesso anno videro, oltre a un rafforzamento del PNV e del PP, un importante successo della coalizione degli indipendentisti Cittadini baschi (Euskal Herritarrok, EH), in cui era confluito anche l’HB, e, nel dicembre, si formò un nuovo governo basco costituito da PNV e Unione basca (Eusko alkartasuna, EA, nato da una scissione del PNV) con l’appoggio esterno dell’EH. Anche da parte del governo popolare si ebbe un cambiamento di linea: abbandonata la scelta della fermezza, adottata nei due anni precedenti, a partire dal giugno 1999 Aznar avviò una serie di incontri con i dirigenti dell’ETA, mentre nel luglio il Tribunale costituzionale emetteva una sentenza di assoluzione dei dirigenti dell’HB in carcere dal dicembre 1997. Ma la rottura della tregua da parte dell’ETA (nov. 1999) e la ripresa dell’attività terroristica con tutta la violenza del passato riaprivano drammaticamente la questione, mentre il fronte dei partiti nazionalisti si consolidava con la decisione del PNV (dic.) di sostenere la richiesta del diritto del Paese Basco all’autodeterminazione. Nelle elezioni del maggio 2001 il PNV riconquistava la guida del governo locale dopo essersi riconfermato come il primo partito della regione ottenendo insieme all’EA, con il quale si era presentato alle consultazioni, 33 seggi, mentre l’EH subiva una dura sconfitta, vedendo dimezzato il numero dei propri rappresentanti (da 14 a 7). In campo internazionale, già membro della Comunità economica europea (CEE) dal 1986 la S., raggiunta una piena legittimazione come Paese completamente integrato nell’area occidentale e superato l’isolamento del passato, intensificò i rapporti col Portogallo e con i Paesi dell’America Latina, in particolare dal 1991 attraverso i vertici ibero-americani. Nell’aprile 1997 Madrid contribuì con un proprio contingente alla forza multinazionale in Albania, e nel marzo-giugno 1999 partecipò all’intervento della NATO in Kosovo, ottenendo l’appoggio di tutte le forze politiche a eccezione dell’IU. L’ingresso nella struttura militare della NATO (dic. 1997) risollevò il contenzioso con il Regno Unito su Gibilterra, giunto peraltro a momenti di tensione in più occasioni nel corso degli anni Novanta: nel dicembre 1997, comunque, Londra accettò l’ingresso della S. nella struttura militare dell’Alleanza Atlantica, dichiarandosi disposta a trattare la questione di Gibilterra separatamente attraverso negoziati bilaterali. Nei primi mesi del 2000, nonostante la mancanza della maggioranza assoluta al Congresso dei deputati che lo aveva sempre costretto a negoziare con i partiti nazionalisti il loro appoggio esterno, Aznar e il suo governo sembravano godere di un grande consenso per aver saputo assicurare al Paese una stabilità governativa e importanti successi sul piano economico. Sia dal punto di vista delle infrastrutture sia da quello dell’apparato produttivo, della mentalità e dei comportamenti, nell’ultimo decennio del secolo il Paese aveva proseguito lungo la strada già intrapresa di una profonda modernizzazione. L’economia spagnola aveva infatti conosciuto una crescita significativa sull’onda della ripresa già in atto a partire dal 1994, crescita che aveva attenuato in larga misura i costi della politica di rigore messa in atto da Aznar per ottemperare agli impegni assunti con la firma del Trattato di Maastricht. Anzi, anche in S. come in altri Paesi europei, la «sfida» rappresentata dall’ingresso nell’Unione economica e monetaria costituì un momento di forte coesione nazionale: frutto di tale atmosfera politica fu l’accordo fra sindacati e imprenditori in materia di diritto del lavoro che riguardava temi come le cause di licenziamento o i contratti di lavoro a durata indeterminata (apr. 1997). Le elezioni legislative del marzo 2000 assegnarono pertanto ad Aznar e al suo partito una netta vittoria (44,6% dei voti, contro il 34,1% del PSOE, il 5,5% della IU, il 4,2% della CIU) che, garantendogli la maggioranza assoluta alle Cortes, gli consentì di governare senza dover più far ricorso all’appoggio dei partiti nazionalisti. L’aumento degli immigrati provenienti soprattutto dall’Africa settentrionale e dall’America Latina provocò frattanto nel Paese gravi episodi di intolleranza xenofoba, in seguito ai quali, grazie alla nuova maggioranza parlamentare, Aznar riformò la legge sull’immigrazione approvata dal Parlamento nel dicembre 1999. Contrarie all’impronta relativamente progressista di quella legge soprattutto per quel che riguardava i clandestini, cui era riconosciuto il diritto alla sanità pubblica, all’educazione e ad altri benefici sociali, le nuove norme, entrate in vigore nel gennaio 2001, introdussero una serie di misure restrittive: la regolarizzazione della posizione degli immigrati richiedeva ora 5 anni di residenza nel Paese, anziché 2, mentre per gli illegali era prevista l’espulsione e il divieto di manifestare, scioperare o aderire a sindacati e associazioni. Un’analoga linea di durezza caratterizzò la legge sulla criminalità giovanile adottata nello stesso gennaio 2001. Nella primavera 2003 la S. fu tra i Paesi europei che appoggiarono con l’invio di un contingente militare l’invasione dell’Iraq. L’11 marzo 2004, alla vigilia delle elezioni legislative, sanguinosi attentati di matrice islamica provocarono a Madrid circa 200 vittime e migliaia di feriti. Dichiarazioni di Aznar tese a incolpare della tragedia il terrorismo basco si ritorsero contro il Partito popolare e il voto decretò un ritorno alla vittoria dei socialisti. Il governo di J.L. Rodríguez Zapatero (rieletto nel 2008), che tra i suoi primissimi atti ha deliberato il ritiro completo delle truppe dall’Iraq, ha intrapreso una riforma in senso laico del codice civile, scontrandosi con le forze conservatrici e con la Chiesa cattolica su questioni quali il matrimonio, l’aborto e i diritti delle coppie omosessuali. Ha avuto positivi sviluppi l’operato del governo nei confronti delle richieste di maggiore autonomia da parte della Catalogna, conclusosi con l’approvazione di un nuovo Statuto (2006) che ha esteso l’autogoverno della Comunità autonoma e sancito il suo diritto a definirsi nazione. Un processo simile si è svolto in Andalusia (2007). È rimasto drammatico, e ancora in parte irrisolto, il problema del separatismo basco: messo fuori legge nel 2003 il partito indipendentista Batasuna, ritenuto il braccio politico dell’organizzazione terrorista ETA, quest’ultima aveva annunciato nel 2006 una tregua permanente, ma si è resa poi responsabile di altri attentati che hanno precluso ancora a lungo ogni dialogo con il governo.