INDIANA, UNIONE.
– Demografia e geografia economica. Condizioni economiche. Politica economica e finanziaria. Storia. Bibliografia. Architettura. Letteratura. Bibliografia. Cinema. Bibliografia
Demografia e geografia economica di Fabio Amato. – Stato dell’Asia meridionale. Secondo il censimento del 2011, il Paese aveva 1.210.854.977 ab., pari al 17% della popolazione mondiale. Si tratta del secondo Paese più popolato del mondo (1.267.401.849 ab. nel 2014, secondo una stima UNDESA, United Nations Department of Economic and Social Affairs) e uno dei più densamente abitati, che ha fatto registrare un rapido incremento nel corso dell’ultimo mezzo secolo (43% in più rispetto al censimento del 1991). È un andamento che non sembra destinato a fermarsi e, se si valutano le politiche di controllo della natalià intraprese dalla Cina, le proiezioni delle agenzie delle Nazioni Unite indicano che l’India sarà il Paese più popolato del mondo prima del 2026 (quando si ipotizzano 1,4 miliardi di ab.). La distribuzione della popolazione, pur registrando ben 19 dei 29 Stati federati oltre i dieci milioni di abitanti, ha delle aree di elevata concentrazione, tra le quali si segnalano gli Stati Uttar Pradesh, Maharashtra e Bihar, con oltre 100 milioni di abitanti. In un Paese già molto popolato (all’indomani della nascita del nuovo Stato, nel 1951, già erano presenti 358 milioni di ab.), la velocità di accrescimento assume i caratteri del gigantismo, avendosi avuto il raddoppio della popolazione nel breve intervallo censuario 1981-2011. La crescita proporzionale è abbastanza uniforme: se si eccettuano otto Stati e due territori, tutte le unità amministrative superano il 40% di aumento della popolazione tra il 1991 e il 2011. Il tasso di natalità, nondimeno, si è ridotto in maniera lenta, ma progressiva negli ultimi anni, scendendo sotto il 20‰ a partire dal 2009 (18,1‰ nel 2013, secondo una stima della Banca mondiale), benché non in maniera uniforme (si oscilla tra il 13‰ dello Stato di Goa e il 28,2‰ delle aree rurali del Bihar), con valore di fertilità (2,5 figli per donna) sempre più vicino al valore minimo di sostituzione. Alla riduzione del la mortalità è, pertanto, imputabile un tasso di crescita ancora sostenuto: secondo i dati del governo indiano, nel 2013 il tasso di mortalità era del 5,5‰ (dimezzandosi rispetto al 1993), valore più alto (7,9‰), invece, secondo le stime degli organismi internazionali (non di rado i dati risultano difformi), comunque in decremento. La speranza di vita è cresciuta (67,8 anni in media nel 2014, secondo una stima della CIA, Central Intelligence Agency), aumentando di oltre quattro anni nel volgere di un decennio; si tratta, in ogni caso, di un valore inferiore alla media mondiale che colloca l’India al 131° posto tra i 190 Stati membri dell’ONU. La mortalità infantile è stimata dal ministero degli Interni indiano al 30‰ nel 2013 (41,4‰ secondo la Banca mondiale), in progressiva riduzione, ma ancora non corrispondente ai valori che esprime lo sviluppo economico indiano nell’era della globalizzazione.
Le contraddizioni di un Paese talmente complesso in termini sociali, oltre che linguistici e religiosi, si leggono non solo nel basso indice di sviluppo umano (135° posto nel 2013, con un indice di 0,586, il peggiore dei G20), ma anche nel faticoso raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle diseguaglianze previsti dai cosiddetti Millennium goals. Se il tasso di popolazione in povertà è stato dimezzato dagli anni Novanta (nel 2014 era del 21% della popolazione), la lotta alla fame è ancora in corso: nel 2011, 37 milioni di bambini tra 0 e 3 anni erano malnutriti. La diffusione dei servizi igienici e delle latrine interessa poco più di metà delle abitazioni, con valori molto contenuti nei contesti rurali (nel 2012 erano inferiori al 40%). L’analfabetismo, benché in riduzione (23,5% al 2011), è ancora alto nella componente femminile (31,5%), attestandosi sul 40% nelle aree rurali degli Stati più popolati (Andhra Pradesh, Bihar). La promozione dell’eguaglianza di genere acquisisce a fatica risultati, sia nell’ingresso nel mercato del lavoro sia nella rappresentanza politica. Lo squilibrio di genere caratterizza in maniera crescente il Paese anche sul piano della natalità: nel 2011 la componente femminile è stata superiore soltanto nello Stato del Kerala e nel territorio di Pondicherry. Nella fascia d’età 0-6 anni (104,6 milioni nel 2011), i bambini prevalgono sulle bambine in tutti gli Stati e i territori, a riprova di una diffusione, anche in tempi recenti, delle pratiche di aborto clandestino per evitare nascite al femminile.
L’India ha la più ampia popolazione rurale del mondo (834 milioni di persone nel 2011), ma il processo di urbanizzazione sta crescendo a un ritmo estremamente veloce, passando da 290 milioni di ‘urbani’ del 2001 a 377 del 2011, cifra che in proiezione si prevede possa salire a 590 milioni nel 2030. Sono otto le aree metropolitane che nel 2011 aggregavano più di 5 milioni di abitanti, con tre tra le megacittà più popolate del mondo: Mumbai (18,4 milioni di ab.), Nuova Delhi (16,3) e Calcutta (14,1), che l’ONU ipotizza possano superare i 20 milioni nel 2030, anno in cui Ahmadabad, Bangalore, Chennai e Hyderabad supererebbero i 10 milioni. A scala delle singole municipalità sono 46 le città con milioni di abitanti (19 in più rispetto al 2001), con Mumbai (12,4 milioni di ab.) e la capitale (11 milioni) sempre in testa, seguite dalle due realtà economiche più dinamiche e in rapida espansione demografica: Bangalore (8,4 milioni, 55% in più rispetto al 2001) e Hyderabad (6,8 milioni, con un incremento dell’87%). La veloce urbanizzazione, soprattutto nei contesti più dinamici, propone esigenze fondamentali da affrontare in termini di nuovi sistemi stradali, ferroviari, di telecomunicazioni, aeroportuali ed elettrici. Nel caso di Hyderabad sono stati intrapresi progetti stradali: sovrappassi, interscambi, cavalcavia, ivi compresa una superstrada che circonda la città e un corridoio sopraelevato (il più lungo del Paese) che collega la città con il distante aeroporto internazionale. Si tratta di sforzi e investimenti che non hanno comunque bandito la congestione. L’urbanizzazione è vista come un indicatore di sviluppo economico positivo, sempre che sia indirizzata su un percorso di crescita sostenibile, come affermato dall’inizio del secolo dalle politiche nazionali e locali. Nondimeno, l’inurbamento ha significato anche una crescita della povertà urbana, concentrata negli slums che caratterizzano quasi tutte le metropoli indiane.
Condizioni economiche. – Il processo di riforme avviato dall’alto all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso – con le privatizzazioni di imprese pubbliche, l’abbandono del protezionismo e l’apertura ai mercati internazionali – ha spinto l’economia indiana a trasformarsi con una velocità tra le più elevate del mondo, con una crescita media annua del PIL di 7,5% nel periodo 2003-13 e un picco del 10,2% nel 2010. Il PIL indiano nel 2014 (2047,8 miliardi di $) fa del Paese la terza ricchezza del mondo; il PIL pro capite a parità di poteri d’acquisto (PPA) è di 5777 $ (2014). I frutti della riforma liberista non hanno portato soltanto investimenti esteri nel Paese, ma anche il rapido sviluppo di un’imprenditorialità indiana di esportazione: l’India è il secondo investitore più importante nel Regno Unito. Nel periodo 2012-13 si è assistito a un raffreddamento di questa crescita con un aumento dell’inflazione (giunta a sfiorare il 10%), in assenza di riforme che potessero far fronte alla corruzione della burocrazia e della classe politica, con il conseguente brusco rallentamento degli investimenti dei capitali stranieri. Gli esiti delle elezioni del 2014, con la vittoria del partito nazionalista Bharatiya janata party (BJP), hanno rappresentato uno stimolo per una marginale ripresa della crescita, proiettata verso gli standard degli anni precedenti.
Le contraddizioni e la complessità del Paese si esprimono anche in una composizione della struttura economica che assicura ancora una preponderanza dell’agricoltura per numero di attivi (49% della popolazione al 2013, misura di una bassa produttività) e una significativa incidenza del settore nella ricchezza del Paese (17,4% del PIL). Si tratta di un’area che ingloba un ampio spettro di tipologie: dalle povere e tradizionali attività destinate all’autoconsumo, a un sistema di mercato dotato di una buona modernizzazione, benché il basso grado di meccanizzazione renda una parte significativa delle attività ancora dipendente dalle piogge monsoniche. Nel 2014 l’India si collocava tra i primi tre produttori di alcune delle principali colture: cereali (secondo esportatore dopo gli Stati Uniti), frumento, riso, patate, arachidi, zucchero, canna da zucchero, tè, tabacco, cotone, legname e diversi tipi di frutta.
Anche il settore minerario ha una sua rilevanza nell’economia del Paese, ma dal 2010 ha registrato una diminuzione progressiva, se si eccettuano i diamanti, la cui lavorazione a scala planetaria è quasi tutta concentrata a Surat, mentre Mumbai è la borsa leader mondiale del settore. Notevole importanza continuano ad avere i giacimenti di carbone, nonostante il crescente investimento nell’energia nucleare: 21 reattori sono attivi e altri sei in costruzione. Il settore industriale genera il 25,7% della ricchezza e impiega quasi un quarto della forza lavoro con una preponderanza per l’industria pesante: siderurgica, chimica, meccanica ed elettromeccanica. Tali cifre dimostrano come, nonostante i buoni afflussi di capitali internazionali degli ultimi anni e l’annuncio di diverse politiche industriali di lungo termine, l’India non sia ancora riuscita a darsi una struttura industriale globalmente competitiva. Il settore dei servizi, pur impiegando solo il 26,8% dei lavoratori, rappresenta la fonte maggiore di crescita economica, con il 56,8% del PIL (2013). I servizi finanziari e immobiliari da soli valgono il 20% del prodotto nazionale. L’uso dell’inglese come lingua veicolare è risultato un fattore importante per lo sviluppo dell’information technology (IT), facendo di questo Paese uno dei principali esportatori di software e servizi tecnologici, soprattutto finanziari. Esistono migliaia di centri di formazione tecnica, tra i quali emergono sette Indian institutes of technology che hanno laureato migliaia di ingegneri l’anno, grazie ai quali non solo si è sostenuto lo sviluppo dell’economia indiana, ma si è prodotta una grande domanda di ricercatori indiani nel settore nei principali Paesi occidentali: oltre 25.000 ingegneri lavorano negli Stati Uniti. La diffusa istruzione in lingua inglese ha significato anche lo sviluppo di sistemi di outsourcing delle grandi imprese transnazionali di tutta una serie di servizi per la clientela.
Il fattore demografico rappresenta senz’altro un aspetto rilevante per l’ossatura dell’economia indiana, sia in termini di popolazione attiva, che nel 2014 era la seconda del mondo con quasi mezzo milione di persone (maschile al 74%), sia in termini di domanda interna trainata dai consumi e dagli investimenti di una ‘aspirante classe media’ in continua crescita. Questi aspetti sono leggibili anche attraverso l’industria dell’intrattenimento, con il successo sempre più ampio, anche all’estero, della cinematografia (v. oltre: Cinema), la più grande al mondo per film prodotti e incassi al botteghino. Ognuna delle lingue più diffuse ha la sua produzione: la più nota è Bollywood (hindi/urdu, con sede a Bombay), ma si segnalano anche Tollywood (per la produzione telugu di Hyderabad) e Kollywood (per la cinematografia tamil, con sede a Chennay, v. oltre: Cinema).
Politica economica e finanziaria di Giulia Nunziante. – A partire dalla seconda metà del 2005, la Banca centrale ha perseguito una politica monetaria prudente, mentre il governo ha proseguito nella strategia di graduale consolidamento dei conti pubblici, assicurando contestualmente incentivi a una crescita inclusiva. Tra le priorità di politica economica che hanno caratterizzato questo periodo si annoverano il controllo dei prezzi e la stabilità finanziaria, con il rafforzamento delle norme che regolano il funzionamento dei mercati finanziari, al fine di realizzare un contesto che favorisca la tutela del risparmio, l’aumento degli investimenti e la prudente gestione del rischio.
Nella seconda metà del 2008 l’India, rilevando la sua esposizione ai cicli economici globali, ha subito un rallentamento della crescita economica dovuto alla contrazione dei flussi commerciali e al deterioramento delle condizioni finanziarie mondiali. Il governo ha pertanto realizzato alcuni interventi a sostegno dell’attività economica, con la riduzione delle accise e della tassa sui servizi indivisibili, l’aumento della spesa pubblica nei settori dell’istruzione, della sanità e delle infrastrutture rurali, e l’erogazione di sussidi alle esportazioni. Nello stesso periodo, la Banca centrale è intervenuta sui mercati dei cambi riducendo le proprie riserve in valuta estera per garantire al sistema produttivo le necessarie condizioni di competitività internazionale. Inoltre, per prevenire i rischi connessi alla stretta creditizia, le autorità indiane hanno temporaneamente adottato una politica monetaria espansiva e immesso liquidità nel sistema bancario, mentre altri interventi sono stati realizzati per promuovere l’offerta di credito all’economia da parte degli istituti pubblici e privati. Nella seconda metà del 2010, la Banca centrale ha rinnovato gli interventi per ridurre le pressioni inflazionistiche, alimentate dall’aumento dei prezzi internazionali e dalle dinamiche della domanda interna di prodotti alimentari. Sono rientrati tra le priorità dell’autorità di politica monetaria il consolidamento della struttura del sistema bancario, lo sviluppo di un robusto mercato finanziario e l’inclusione finanziaria delle piccole e medie imprese e della popolazione. Sul mercato dei cambi, l’azione dell’istituto centrale è stata progressivamente ridimensionata, creando le condizioni affinché la valuta si aggiustasse flessibilmente alle dinamiche del mercato, fatti salvi sporadici interventi per limitare gli eccessi di volatilità. Nel corso del 2013, il governo ha promosso l’apertura del mercato domestico agli investimenti diretti esteri (IDE) e ai flussi finanziari. Per quanto concerne la politica fiscale, le autorità indiane hanno decretato una progressiva contrazione dei sussidi e della spesa pubblica, in vista del consolidamento dei conti pubblici di medio termine che fissa al 3% l’obiettivo dell’incidenza del deficit sul PIL per il 2016-17.
Inoltre, il governo ha promosso la razionalizzazione delle spese non pianificate, decretato la distribuzione allo Stato di maggiori dividendi da parte delle imprese pubbliche dotate di eccessi di liquidità e avviato la riforma del sistema di tassazione diretta.
Storia di Emma Ansovini. – Le prime riforme varate dal governo di Manmohan Singh (formatosi dopo le elezioni del 2004 con l’appoggio esterno del Left front) e rivolte in particolare al settore agricolo, quello meno coinvolto nella crescita economica e più esposto ai suoi contraccolpi negativi, raggiunsero solo parzialmente i risultati sperati. In particolare, la legge dell’agosto 2005 (National rural employment guarantee act, entrata in vigore dal 2006), che prevedeva il salario minimo garantito per le famiglie rurali, si dimostrò nel complesso inadeguata a far fronte al crescente disagio di larga parte dei contadini, da un lato soggetti agli espropri di terra per la costruzione di nuove aree industriali, dall’altro schiacciati dai debiti e vittime dell’usura a causa delle difficoltà di accesso al credito. Alla crisi nelle campagne deve, in larga parte, essere ricondotto il preoccupante fenomeno dei suicidi per debiti, il cui numero andò progressivamente aumentando fino a raggiungere dimensioni allarmanti.
Un ruolo controverso in questo contesto critico fu poi rappresentato dalla istituzione, nel 2005, delle Special economic zones (SEZ), ovvero di aree speciali di sviluppo, volte ad attirare capitali esteri attraverso particolari incentivi fiscali. La creazione di queste aree portò a un esteso esproprio, spesso forzato, di terreni coltivabili i cui proprietari, in larga parte contadini poveri, venivano improvvisamente sradicati dalla propria realtà con indennizzi insufficienti e soprattutto senza un’alternativa ai loro occhi credibile, come il lavoro industriale per il quale non possedevano né le abilità professionali né gli strumenti culturali. Un ulteriore elemento di impoverimento per le fasce di popolazione più disagiate, come i dalit (individui di infima condizione, posti fuori dalle tradizionali caste) e le minoranze tribali (i gruppi etnici discendenti dai più antichi abitanti dell’India), era poi costituito dall’estensione, sempre per ragioni economiche, dei divieti di accesso alle risorse forestali, prima aperte all’uso delle comunità. Non a caso, proprio nelle regioni più povere, concentrate soprattutto negli Stati centrali e nord-orientali (Madhya Pradesh, Orissa, Bengala occidentale, Bihar, Uttar Pradesh) aveva ripreso forza, già dai primi anni del 21° sec., il movimento armato di ispirazione maoista dei naxaliti. La gravità della situazione spinse il governo, nel marzo 2008, a varare importanti provvedimenti che prevedevano un cospicuo stanziamento per la cancellazione dei debiti di 40 milioni di contadini, l’abolizione di ogni imposta per le fasce più deboli della popolazione, l’aumento degli stanziamenti per le spese sociali (20% per l’istruzione e 15% per la sanità), l’innalzamento dell’aliquota del prelievo sulle plusvalenze finanziarie. Una nuova legge, varata nel 2008 ed entrata in vigore nel 2009, l’Unorganized workers social security act, si proponeva inoltre di estendere il sistema di welfare ai lavoratori giornalieri, alle donne di casa e ad altre categorie particolarmente vulnerabili. Quest’ultimo provvedimento non ebbe però effetti significativi. In un contesto comunque segnato da forti elementi di crisi sociale si ripetevano spesso scontri intercomunitari, che nell’agosto 2008, nello Stato dell’Orissa, come già era avvenuto nel Gujarat nel 2002, assunsero un carattere particolarmente violento, provocati ancora una volta da gruppi di estremisti indù e diretti in questo caso contro la minoranza cristiana (nel Gujarat avevano riguardato la minoranza musulmana).
Sul piano internazionale il governo continuò la sua politica di buoni rapporti con gli Stati Uniti, tanto da arrivare a chiedere la fiducia nel luglio 2008 per la ratifica definitiva dell’accordo sulla fornitura di tecnologie nucleari, pur sapendo che avrebbe perso l’appoggio del Left front, da sempre critico nei confronti di tali scelte (la maggioranza fu garantita dal sostegno del Samajwadi party, un partito regionale dell’Uttar Pradesh). Nell’aprile 2008 Nuova Delhi aveva ospitato il primo India-Africa forum summit, a testimonianza dell’interesse dell’U. I. ad allargare la sua sfera di influenza commerciale. Rimanevano alternanti i rapporti con il Pakistan, accusato di ospitare gli autori di attentati terroristici – nel febbraio 2007 sul treno Nuova Delhi-Lahore persero la vita 68 passeggeri e nel luglio 2008 una serie di esplosioni nel Gujarat venne rivendicata da estremisti musulmani – e di sostenere le rivendicazioni della popolazione musulmana nel Kashmir indiano, dove nello stesso luglio 2008, a Srinagar, la capitale, si verificarono scioperi e violente manifestazioni contro l’amministrazione accusata dai musulmani di praticare una politica discriminatoria e repressiva nei loro confronti.
L’India, nel trasformarsi in una potenza economica mondiale, capace di giocare un ruolo nello scacchiere internazionale, rimaneva dunque un Paese pieno di contraddizioni che ospitava, nel 2007, un terzo dei poveri del pianeta e la più vasta popolazione di bambini malnutriti, che vantava un’istruzione universitaria di alto livello, ma un sistema scolastico di base molto inefficiente, e che nel Rapporto sullo sviluppo umano, stilato dall’ONU nel 2007, si attestava al 128° posto su 177 Paesi. Impressionante era inoltre la crescita delle diseguaglianze sociali mentre le politiche governative non sembravano riuscire a ridurre le ormai storiche differenze regionali. Secondo gli economisti Amartya Sen e Jean Drèze, osservando l’India si potevano vedere «isole di California in un mare di Africa subsahariana».
Le elezioni legislative dell’aprile-maggio 2009 videro la conferma dell’United progressive alliance (UPA), guidata dall’Indian national congress (I), che conquistò 262 seggi su 543, la sconfitta del raggruppamento conservatore della National democratic alliance (NDA) cui andarono 159 seggi e quella del Third front, la coalizione di partiti di sinistra (79 seggi), che arretrava pesantemente proprio nei due Stati che governava, il Kerala e il Bengala occidentale. In particolare il Congress ottenne 206 seggi contro i 116 del Bharatiya janata party (BJP). Per il Congress e i suoi alleati si trattò di un’affermazione netta, anche se non schiacciante, dovuta a un’abile campagna elettorale che aveva visto impegnati i figli di Sonja Gandhi, Priyanka, brillante e carismatica, e soprattutto Rahul, che era stato nominato nel 2007 segretario generale del partito e si era impegnato a restituire al Congress un’immagine di partito del popolo. Il nuovo governo si trovò a operare in un contesto di sfavorevole congiuntura mondiale che determinava un deciso rallentamento nella crescita del PIL, inferiore al 5% nel 2012, e una crescita dell’inflazione, che superò il 10% nello stesso anno. La crisi colpiva ancora una volta la parte più povera della popolazione, che scontava un sempre più difficile accesso ai servizi sociali, in particolare a quelli sanitari. Il governo sembrava in difficoltà nel dare risposte convincenti mentre veniva indebolito da numerosi scandali legati alla corruzione. Questo fenomeno fu al centro di una vasta mobilitazione della società civile e vide la nascita di movimenti e partiti, come l’Aam aadmi party (AAP, il Partito dell’uomo comune), fondato nel novembre 2012 e che, nelle elezioni locali di Nuova Delhi, risultò come la seconda forza. Nel dicembre 2013 il Parlamento approvò una nuova legge anticorruzione, e secondo l’indice di Transparency international del lo stesso anno l’U. I. occupava il 94° posto su 177 (85° su 175 Paesi nella graduatoria del 2014). Lenta e inadeguata apparve poi la risposta del governo allo stupro di gruppo di una ragazza, avvenuto a Nuova Delhi nel dicembre 2012, che portò in strada migliaia di manifestanti e pose all’attenzione dei media internazionali la drammatica condizione femminile in India. In una situazione molto incerta e segnata dall’immobilismo e dalla mancanza di coraggio politico del governo, nell’aprile-maggio 2014 si tenne ro le elezioni generali per la Camera bassa. La vittoria andò al BJP, guidato da Narendra Modi, che ottenne la maggioranza assoluta dei seggi, 282 (al raggruppamento conservatore NDA ne andarono complessivamente 336), mentre il Congress subiva la più clamorosa sconfitta della sua storia, conquistando solo 44 seggi (all’alleanza progressista, UPA, ne andarono 59). Modi era, dal 2002, governatore del Gujarat che sotto la sua amministrazione aveva conosciuto un notevole sviluppo economico, per quanto segnato da forti diseguaglianze. Alfiere delle privatizzazioni, grande oratore, abile nell’uso dei social network, decisionista e autoritario, aveva condotto una campagna elettorale con una disponibilità di fondi senza precedenti, promettendo milioni di posti di lavoro e crescita. Figlio di un venditore di tè, aveva saputo sfruttare le sue origini per testimoniare una vicinanza al popolo in contrapposizione con il suo avversario, Rahul Gandhi, che veniva rappresentato come il rampollo, ricco e borghese, di una dinastia da sempre legata al potere. La reputazione di Modi era però macchiata dalle accuse di aver permesso, o addirittura incoraggiato, gli estremisti indù durante le violenze scoppiate nel Gujarat nel 2002, accuse per le quali Regno Unito e Stati Uniti gli avevano negato il visto di ingresso, misura revocata nel 2012, dopo che una speciale commissione d’inchiesta, nominata dalla Corte suprema indiana, lo aveva assolto. Molte ombre rimanevano comunque sulle effettive responsabilità del leader del BJP, soprattutto se si tiene conto del suo background ideologico: Modi era stato un noto militante del movimento di estrema destra, Rashtriya swayamsevak sangh, pilastro del nazionalismo indù. I primi mesi del governo Modi furono contrassegnati da un’intensa attività diplomatica: la politica estera, così come enunciato chiaramente nel programma elettorale, era strumentale alla ricerca di nuovi investimenti stranieri, il make in India che Modi stesso aveva sperimentato nel Gujarat. Giappone, Cina, Stati Uniti, Australia furono i primi interlocutori di questa strategia. In questo nuovo contesto si iscriveva anche il problema, sorto con l’Italia e lasciato in eredità dal precedente governo, riguardante i due fucilieri di marina, in servizio antipirateria su una nave mercantile, arrestati nel febbraio 2012 con l’accusa di omicidio per aver ucciso due pescatori indiani, scambiati per pirati.
Bibliografia: J. Drèze, A. Sen, An uncertain glory. India and its contradictions, Princeton (N.J.) 2013 (trad. it. Milano 2014). Si veda inoltre: P. Mishra, Narendra Modi and the new face of India, http://www.theguardian.com/books/2014/may/16/whatnext-india-pankaj-mishra, 2014 (29 giugno 2015).
Architettura di Livio Sacchi. – Tra le nazioni emergenti, l’India è quella maggiormente in crescita; si prevede che in tempi relativamente brevi sarà in grado di attestarsi al passo delle economie più avanzate lasciandosi alle spalle la sua attuale collocazione fra i Paesi in via di sviluppo. La sua recente evoluzione è stata così rilevante che, secondo recenti stime, si appresterebbe, entro la metà del 21° sec., a superare la Cina per tassi di urbanizzazione e dimensione demografica, diventando il Paese più popoloso del mondo con circa 1,6 miliardi di abitanti. La sua vivace economia renderà comunque possibile al governo, entro il 2016, imprimere un’ulteriore accelerazione al processo di modernizzazione già in corso, con investimenti pari a 1000 miliardi di dollari in nuove infrastrutture.
Anche il mercato dell’edilizia ha registrato una crescita di proporzioni eccezionali, al punto che oggi quella indiana è considerata la seconda industria delle costruzioni più grande del mondo dopo quella cinese. Il Paese si trova quindi in un momento cruciale della sua storia: da una parte costituirà uno dei maggiori cantieri di sperimentazione sulla città del prossimo futuro, dall’altra sarà costretto a misurarsi con il grave problema della carenza di energia elettrica, se vorrà evitare di diventare l’economia con la maggiore dipendenza energetica.
Fra le molte, grandi città indiane, si segnala Bangalore, capitale del Karnataka e polo scientifico d’eccellenza, che concentra le principali aziende ad alta tecnologia: vi lavora circa un terzo del milione di dipendenti che le compagnie di information technology vantano nel loro insieme all’interno di una nazione che, già dalla fine del 20° sec., si è collocata fra i protagonisti mondiali della rivoluzione digitale. La città ospita oltre 8 milioni di abitanti, posizionandosi, pertanto, al terzo posto fra le metropoli indiane, dopo Mumbai (che supera i 18 milioni, v.) e Delhi (che supera i 16 milioni). Prevedibilmente, si tratta anche di una delle città in cui la sperimentazione architettonica contemporanea appare particolarmente interessante, soprattutto nel settore residenziale e in quello universitario.
In un siffatto scenario, malgrado le 170 scuole di architettura (di cui soltanto una su cinque pubblica), c’è evidentemente ampio spazio per progettisti e consulenti diversi, che il Paese chiama, anche dall’estero, a confrontarsi sulla complessa e contraddittoria scena della sua contemporaneità. Fra le figure più rilevanti del panorama architettonico locale spiccano maestri quali Balkrishna Vithaldas Doshi (n. 1927), Charles Correa (1930-2015), Raj Rewal (n. 1934) e Hasmukh Chandubhai Patel (n. 1933). Alla ricerca di un punto d’incontro fra tradizioni locali e stilemi internazionali, la produzione architettonica più recente e qualificata include: il Terminal 2 dello Chhatrapati Shivaji international airport (2014) dello studio statunitense SOM (Skidmore, Owings & Merrill) a Mumbai; l’M-auditorium (2014) di Planet 3 Studios Architecture, ancora a Mumbai; la sede della Digit (2014), una delle maggiori compagnie di comunicazioni del Paese, opera dello studio Anagram a Nuova Delhi; il campus della ITM School of business (2013) dello studio M:OFA a Gwalior; l’hotel Vivanta (2013) di WOW Architects a Gurgaon; la Myra School of business (2012), opera di Architecture Paradigm, a Mysore; la Cuboid House (2012) di Amit Khan na Design Associates a Nuova Delhi; il Bajaj science education centre (2010), dello studio CCBA (Christopher Charles Benninger Architects), a Wardha nel Maharash tra. Fra gli esempi più recenti e insoliti si segnala infine la sede della storica Bombay Art society realizzata nel 2009 a Mumbai da Sanjay Puri: è caratterizzata da sinuose superfici murarie in ferrocemento e grandi vetrate con un originale sistema di ombreggiatura interno alla vetrocamera.
Letteratura di Alessandra Consolaro. – È impossibile per una singola persona elaborare una mappa che rappresenti il vastissimo campo delle letterature dell’India, ricco di una varietà di materiale culturale che esprime sensibilità molto diverse. Tuttavia, si possono evidenziare alcuni aspetti dell’evoluzione del campo letterario dall’inizio del nuovo millennio, concentrandosi sull’editoria, sul mercato librario e sulla vivacità della produzione e della fruizione letteraria.
Internet e globalizzazione hanno dilatato gli spazi, modificando le possibilità di relazione fra chi scrive e chi legge, ma anche l’editoria è andata in questa direzione. In controtendenza rispetto alla crisi globale, il mercato dei libri indiano, con una produzione di 100.000 titoli all’anno in almeno 28 lingue da parte di 60.000 grandi e piccoli editori, pari a un valore di oltre 150 milioni di euro, ha conosciuto una grande espansione, grazie anche all’aumento dei tassi di alfabetizzazione e scolarizzazione e alla crescente urbanizzazione.
A parte qualche eccezione nei quartieri di lusso, la libreria fisica spesso è rimasta un ambiente polveroso, con un assortimento sovente inadeguato ed esposto in modo poco funzionale. I libri di seconda mano o piratati hanno molte vite nel vivace caos delle bancarelle che affollano i marciapiedi delle strade. Tuttavia, l’aspetto dei libri indiani è cambiato: fino a un passato recente riconoscibili per la trascuratezza di design, tipografia e rilegatura, si sono trasformati in oggetti curati e invitanti. Sebbene Internet sia un fenomeno per lo più limitato all’ambiente urbano, il commercio di libri in rete, praticamente inesistente nel 2000, è lentamente fiorito, modificando la relazione del pubblico con la lettura e diffondendo la cultura dei best seller. E-book, e-reader e contenuti digitali, pur rappresentando una minuscola percentuale del mercato, si sono diffusi.
La scena editoriale è rimasta una miscela di vecchio, nuovo, indipendente, multinazionale e poliglotta, e a fianco dei nomi consolidati nuove editrici accademiche e commerciali sono entrate vigorosamente nel mercato. In questo contesto la produzione letteraria in inglese, in dialogo diretto con dibattiti e tendenze che interessano il pubblico anglofono globalizzato, ha mantenuto una posizione egemone, anche se è inadeguata a rappresentare al resto del mondo l’intero campo letterario indiano. Le case editrici in lingue indiane vendono alla popolazione del Paese più libri delle editrici multinazionali, ma non possiedono i budget e l’apparato di marketing di queste ultime. L’arrivo nel subcontinente di agenti letterari internazionali, lega to alla crescente relazione fra editoria e industria dell’intrattenimento, ha contribuito a rafforzare il legame con il mercato occidentale: spesso, infatti, essi hanno preferito offrire i loro titoli sul mercato globale più remunerativo, rifiutando le offerte dell’editoria locale.
La scarsità di traduzioni in lingue europee è un altro motivo per cui sulla scena internazionale le letterature indiane sono quasi esclusivamente rappresentate da testi in inglese. Ciò crea una distorsione nella percezione della produzione letteraria indiana e una diffusa ignoranza dell’incredibile ricchezza della vita letteraria delle lingue dell’India. L’editoria all’estero sembra non sentire il bisogno di traduzioni originali dalle lingue indiane perché il materiale inglese è più accessibile; inoltre, le scarse traduzioni spesso soffrono di eccessivo accademismo o addomesticamento. La traduzione fra le lingue indiane è invece molto attiva. Anch’essa, tuttavia, va intesa come una traduzione transculturale, nella quale, se non ci sono frontiere geografiche o nazionali da superare, rimangono tuttavia quelle di classe, etnia, religione e casta.
Il confronto culturale fra le lingue e l’elettorato che sul piano politico esse rappresentano evidenzia ideologie che vanno oltre posizioni e critiche letterarie: il vero dibattito non è su quale testo sia più autentico, ma sul tipo di privilegi sociali e politici che ogni lingua incorpora e fa propri.
Ogni letteratura nelle lingue indiane possiede modi di osservare la realtà che trascendono la sua collocazione geografica. Chi scrive in India, qualunque lingua utilizzi, è parte di un mondo di ricche interconnessioni. Esiste un pubblico transnazionale anche per le letterature tamil o hindi e così via, ma chi scrive in queste lingue fa parte di un discorso che tende a essere più localizzato rispetto a chi scrive in inglese, e in genere non ha aspettative verso il pubblico ‘occidentale’. Tutto ciò non va letto secondo categorie di autenticità, che per loro natura sono pretestuose e controproducenti. Semplicemente, chi scrive nelle lingue indiane diverse dall’inglese in genere non ha molto interesse per ciò che il pubblico europeo o americano vuole sentirsi dire e segue estetiche proprie.
Nei circoli letterari dominanti perdura la convinzione che si debba distinguere fra una letteratura ‘alta’ e una ‘popolare’, considerata inferiore. Tuttavia, l’impatto dei nuovi media ha contribuito a innovare l’idea stessa di letteratura. Estetiche trasversali ai mezzi di comunicazione rivolti al grande pubblico hanno messo in crisi una suddivisione dei generi consolidata, stimolando una fluidità di linguaggi che mescoli stili letterari classici con i codici cinematografici e la musica, fino al fumetto o al blog. In tutte le lingue indiane la diffusione della letteratura di genere – dal giallo al noir, dalla chick lit ai libri di cucina o cricket, dalla letteratura di viaggio all’autobiografia, dalla graphic novel ai blog – ha creato un pubblico nuovo, più numeroso ma forse meno interessato a forme di letteratura ‘alta’.
Le nuove tecnologie di comunicazione hanno influenzato anche lo stile della scrittura, per cui oltre al code switching o agli ibridi di lingue indiane e inglese (hinglish), sulla pagina a stampa compare talora anche l’alternanza di alfabeti indiani e latino, come avviene sul video di uno smartphone o di un computer. La diffusione di generi non classici su nuovi circuiti di distribuzione ha permesso l’intrusione nel campo letterario anche a scrittori e scrittrici non professionisti, spesso attivi nell’ambito dei nuovi media e della comunicazione, con ricadute sulla qualità non necessariamente sempre negative. Molti autori e autrici più giovani usano parallelamente il web e pratiche di pubblicazione consolidate: attraverso i social media e i blog coltivano un rapporto più diretto con il pubblico, mentre gli spazi ‘tradizionali’ permettono loro di avere riconoscimenti e legittimazione nel campo letterario ufficiale. Il proliferare di festival e premi letterari – dal 2009 a Jaipur si svolge il festival di letteratura più grande dell’Asia – è parallelo alla ricca diffusione di riviste letterarie, in gran parte disponibili anche on-line.
Bibliografia: «Indian literature», 2005, 49, 4 (228), nr. monografico: New voices in Indian literature; A. Consolaro, Translating contemporary Hindi literature in Italy. Academy, publishers,readers, in Selected papers of the CETRA research seminar in translation studies 2006, ed. F. Mus, Leuven 2007, http://www.kuleuven.be/cetra/papers/papers.html (14 giugno 2015); A. Consolaro, La prosa nella cultura letteraria hindi dell’India coloniale e postcoloniale, Torino 2011; P. Narayanan, What are you reading?The world market and Indian literary production, New Delhi 2012; R. Sadana, English heart, Hindi heartland. The political life of literature in India, Berkeley 2012; S. Shankar, Flesh and fish blood. Postcolonialism, translation, and the vernacular, New Delhi 2012; A. Consolaro, Hindī racnātmak lekhan aur sośal mīḍiya (La letteratura hindi e i social media), «Śodh», 2013, nr. monografico: Bhāṣā, sāhitya aur praudyogikī (Lingua,letteratura e tecnologia), a cura di Padmā Pāṭīl, pp. 72-80; L.R. Brueck, Writing resistance. The rhetorical imagination of Hindi dalit literature, New York 2014. Si vedano inoltre: «The little magazine»,http://www.littlemag.com (14 giugno2015); «Pratilipi», http://pratilipi.in (14giugno 2015).
Cinema di Italo Spinelli. – Con 1451 film prodotti e certificati tra aprile e dicembre 2014 (dati del Central board of film certification, Ministry of information and broadcasting, Government of India), l’India continua a essere la prima produttrice mondiale di cinema: una pluralità di film, in 16 lingue. Il cinema popolare in lingua hindi, prodotto prevalentemente a Mumbai, con 233 film rappresenta poco più del 16% dell’intera produzione, pur avendo un bacino d’utenza che può raggiungere oltre 400 milioni di spettatori. La supremazia nel mercato resta quella del cinema popolare legato allo star system in lingua hindi, Bollywood (da Hollywood + Bombay), seguito da quello in lingua tamil, Kollywood (Hollywood + Kodambakkam, nome dell’area alla periferia di Chennai, Madras, che ospita i centri di produzione cinematografica).
Tra le grandi produzioni in hindi, tre film campioni di incassi di Bollywood hanno sollevato nel 2014 varie polemiche per i soggetti sensibili affrontati: Haider, Mary Kom e Kaum de Heere. In Haider, di Vishal Bhardwaj, adattamento dall’Amleto di Shakespeare, si raccontano le violenze poliziesche in Kashmir, Stato a maggioranza musulmana; Mary Kom, di Amung Kumar, prodotto da Sanjay Leela Bhansali, è la biografia sportiva bollywoodiana della cinque volte campionessa del mondo di boxe, Mary Kom, originaria di Manipur, lo Stato del Nord-Est travagliato da confitti armati tra governo centrale e ribelli; e ancora, in Kaum de Heere, di Ravinder Ravi, si narra la vicenda delle due guardie del corpo punjabi responsabili dell’assassinio di Indira Gandhi. In particolare Bhardwaj, sceneggiatore, regista, produttore, musicista, playback singer, si era confrontato con Shakespeare anche nei suoi precedenti film, Maqbool (2003) e Omkara (2006), ispirati rispettivamente al Macbeth e all’Otello, trasportati nel presente. Bhardwaj lavora con star popolari come Om Puri, Ajay Devgan, Safi Ali Khan, Vivek Oberoi, Karena Kapoor, Nasserauddin Shah (quest’ultimo è stato spesso impegnato nel cinema indipendente come Irfan Khan), e le attrici Bipasha Basu e Tabu. Bhansali, regista, produttore, compositore, è autore di molti film tra cui Devdas (2002), con due megastar come Shah Rukh Khan e Aishwarya Rai. Mary Kom, costato 2 milioni di euro, ne ha incassati 16 nelle prime tre settimane.
Nell’ultimo decennio, una metamorfosi affidata alla nuova generazione di registi indipendenti ha contribuito a ridefinire il mainstream, tradizionalmente conservatore. La classe media urbana è cresciuta assorbendo la cultura anglofona dei grandi centri commerciali (malls) all’interno dei quali si trovano le sale multiplex, che hanno dato visibilità a opere di registi e produttori indipendenti. Nel cinema in hindi dei nuovi registi indipendenti diverse ope re, spesso violente, in cui la criminalità diventa impresa di famiglia, affrontano il tema della crisi dei valori familiari conservatori, patriarcali. Come in Gangs of Wasseypur (2012) di Anurag Kashyap, epopea di una famiglia di banditi seguita nell’arco di tre generazioni. O in Miss Lovely (2012) di Ashim Ahluwalia, storia devastante, della durata di cinque ore, di due fratelli, ambientata nel mondo del porno-horror. O in un film a basso costo come Titli (2014) di Kanu Behl che, pur essendo un film indipendente, è stato distribuito dalla Yash Raj Films (di Yash Copra, produttore e distributore del classico cinema bollywoodiano legato allo star system). Titli, girato alla periferia urbana di Nuova Delhi, è la storia del più giovane di tre fratelli, in cerca di una via di fuga dalla brutale violenza (elemento costante del cinema commerciale drammatico hindi) del fratello maggiore. Distribuito anche in Italia, Lunchbox (2013) di Ritesh Batra, coprodotto tra India, Francia, Germania e Stati Uniti da Karan Johbar, racconta invece una relazione epistolare a Mumbai tra una giovane moglie e un uomo sconosciuto, un incontro d’amore tra due solitudini. Mentre Umrika (2015) di Prashant Nair, finanziato da Manish Mun dra, produttore indipendente residente a Dubai, è la storia di due fratelli: il maggiore, emigrato in America (Umrika del titolo) è in corrispondenza con il fratello più piccolo, incoraggiato ad affrontare la metropoli di Mumbai.
Al cinema in lingua hindi, segue la produzione in lingua telegu, fondamentalmente di Hyderabad e Andhra Pradesh (la cosiddetta Tollywood), con 215 film prodotti nel 2014.
È però a partire dal Sud dell’India, nelle lingue di origine dravidica, tamil, malayalam, kannada, che si è definitivamente affermata la cinematografia ‘regionale’ con oltre 500 film prodotti. La dinamica produzione (220 film nel 2014) in lingua tamil (parlato da oltre 60 milioni di persone nel Tamil Nadu, Sri Lanka e Singapore) è ricca di star, come il musicista Allah Rakha Rahman, premio Oscar per la colonna sonora di Slumdog millionaire (2008; The millionaire) di Danny Boyle, e la megastar Rajinikanth (l’attore più pagato di tutta l’India, noto per le sue commedie surreali), e si caratterizza per lo stile esagerato, che lascia con il fiato sospeso, e per il mix di generi. Di grande successo un film divertente come Pannaiyarum Padminiyum (2014, noto con il titolo di Landlord and Padminiyum), basato su un cortometraggio molto apprezzato dal pubblico, dello stesso regista Arun Kumar che racconta la passione di un uomo per la sua Fiat 1100.
A Est vi è la produzione in bengalese – la seconda lingua dell’India, con quasi 200 milioni di persone madrelingua tra il Bangla Desh e il Bengala occidentale – che ha raggiunto i 116 film nel 2014 e nell’ambito della quale si segnala Asha Jaoar Majhe (2014, noto con il titolo Labor of love), del bengalese Aditya Vikram Sengupta, 85 minuti senza dialoghi, con la macchina da presa che segue solo due personaggi, nella scenografia di vecchi palazzi di Calcutta, opera prima di Sengupta, pittore oltre che autore e regista.
Sono invece in lingua kannada (parlata da 64 milioni di persone, abitanti nello Stato del Karnataka, con capitale Bangalore) The nature (2014) di Panchakshari, già aiuto-regista di Girish Kasaravalli, film basato sull’opera dello scrittore U.R. Unanthamurthy, la cui protagonista è una donna intrappolata tra valori patriarcali e attrazione sessuale; Attihannu Mattu Kanaja (2014, noto con il titolo Fig fruit and the wasps), opera prima del pittore e regista Prakash Babu, storia di una documentarista alla ricerca di materiali musicali folkloristici, e la commedia sociale December 1 (2013), scritta e diretta da P. Sheshadri. Il tema della comunità respinta e delle personalità perseguitate è in Court (2014) in gujarati, marathi, hindi e inglese, scritto e diretto da Chaitanya Tamhane. Narra il caso giudiziario di un folk singer accusato d’istigare con le sue canzoni una popolazione povera al suicidio. In Oraalppokkam (2014, noto con il titolo Six feet high), opera prima del regista keralese Sanal Kumar Sasidharan, si narra la separazione di una coppia di coinquilini, provocata da condizionamenti sociali sullo sfondo di una calamità naturale nelle valli dell’Himalaya. Sasidharan ha prodotto il film anche grazie all’aiuto di privati cittadini (crowd sourced) che hanno finanziato il progetto. Nel 2015 sono usciti Bombay velvet di Anurag Kashyap e Detective Byomkesh Bakshy! di Dibakar Banerjee, due registi indipendenti alla prova del Bollywood mainstream. Presentato nella sezione Un certain regard del Festival di Cannes 2015, il film Chauthi koot (noto con il titolo Fourth direction) in lingua punjabi, ambientato nell’atmosfera di sospetto e paura del Punjab degli anni Ottanta, conferma l’eccezionale talento del giovane regista Gurvinder Singh, alla sua seconda opera.
Bibliografia: M.K. Raghavendra, The politics of Hindicinema in the new millennium, Oxford 2014; «Filmindia worldwide», February 2015, 12.