Indiana, Unione
(App. III, i, p. 853; IV, ii, p. 163; V, ii, p. 641; v. India, XIX, p. 1; App. I, p. 724; II, ii, p. 15)
Oltre mezzo secolo dopo il conseguimento dell'indipendenza, l'U. I. è ancora afflitta da problemi di marcata arretratezza, di forte pressione demografica e di drammatici squilibri economico-territoriali; problemi già di per sé ardui e aggravati, oltre che da una persistente conflittualità interna (con forti tensioni etnico-religiose e sociali), anche da una complicata situazione internazionale: il paese, infatti, è impegnato da sempre nel contenzioso con il Pakistan- segnato da ricorrenti episodi bellici - per la questione del Kashmir (v. oltre: Storia), cui si aggiungono dissidi con la Cina e altalenanti relazioni con gli Stati Uniti e altre potenze.
Popolazione
di Alberta Migliaccio
Al censimento del 1991 la popolazione ammontava a 844.324.222 ab. e la densità media era attestata sui 257 ab./km². Stime ufficiali del 1998 attribuivano al paese oltre 980 milioni di ab., per una densità media di quasi 300 ab./km². Il tasso di incremento annuo, nonostante le politiche di contenimento demografico, adottate con molta determinazione ma di difficile applicazione in un paese tanto vasto e ancora in gran parte rurale, diminuisce molto lentamente. Negli anni Settanta si aggirava intorno al 22‰, è sceso al 21‰ nel corso del decennio successivo e solo negli anni Novanta al 20‰.
La distribuzione della popolazione continua a essere molto irregolare. (v. tab). Accanto ad aree ad altissima densità, quali le regioni risicole della bassa piana gangetica, del delta del Bengala, di una parte dell'Assam, del Kerala e le grandi aree metropolitane di Madras (Chennai) e Bombay (Mumbai), sono presenti vaste zone scarsamente popolate. Oltre che nei pressi della regione himalayana e delle fasce predesertiche del Rajasthan, le densità sono minime nel Deccan nord-orientale, nel Gujarat interno e, in generale, in tutte le zone in cui viene meno l'apporto del monsone.
L'U. I. accoglie alcune fra le più grandi aree metropolitane del globo. Se Bombay e Calcutta hanno ormai da tempo superato i 10 milioni di ab. (e a questo valore ormai si approssima l'agglomerazione di Delhi), Madras ha ampiamente superato i 5 milioni, mentre Bangalore e Haiderabad sono ben al di sopra dei 4 milioni. Nel complesso sono più di 30 le città la cui popolazione ammonta a oltre il milione di abitanti.
Oltre che alle dimensioni raggiunte dalla popolazione complessiva, i grandi problemi del paese sono dovuti alla variegata composizione etnico-linguistica e alla persistenza di fatto del sistema delle caste, che ancora oggi segna, fin dalla nascita, il destino di buona parte degli Indiani.
Nel 1998 stime effettuate dalla Banca mondiale attribuivano all'U. I. un PIL pro capite di 430 dollari, un valore che mantiene il paese tra quelli meno sviluppati di tutta la Terra. Le stesse fonti però - adottando una diversa metodologia di computo, da alcuni ritenuta più attendibile: la parità del potere di acquisto, il cosiddetto PPP (Purchasing Power Parity) - hanno attribuito al PIL per abitante un valore all'incirca quadruplo rispetto al precedente, il che significherebbe che il potenziale produttivo indiano vale il sesto posto nel mondo. In ogni caso, allo stato attuale l'U. I. continua a essere un paese sostanzialmente arretrato, quantunque nel corso dell'ultimo trentennio del secolo 20° l'economia si sia sviluppata a un tasso piuttosto elevato, che si è mediamente attestato su poco meno del 6% annuo. Più del 50% della popolazione, secondo i parametri stabiliti dalla Banca mondiale (il 30÷35%, secondo altre valutazioni), vivrebbe al di sotto della soglia di povertà. Gli squilibri territoriali, da sempre molto pronunciati, con il passare del tempo si sono ulteriormente acuiti: vi sono Stati federati relativamente prosperi, come Gujarat, Maharashtra, Hariyana e Panjab, e altri arretrati e poveri, come il Bihar, il Madhya Pradesh e molti di quelli delle regioni orientali e nord-orientali. L'apporto dei settori primario e secondario - fatta eccezione per alcuni comparti - soffre per la bassa produttività, è appesantito da un'occupazione esuberante e stenta ad assimilare le nuove tecnologie. L'economia indiana è fortemente condizionata dal veloce ritmo di accrescimento della popolazione e dalla conseguente pressione demografica che insiste particolarmente nell'ambiente rurale e grava sulle risorse agrarie.
Ancor oggi l'agricoltura - un'agricoltura in larga misura di sussistenza - impiega circa i due terzi della forza lavoro complessiva, ma, utilizzando tecniche tradizionali e strumenti antiquati e poco efficienti ed essendo fortemente condizionata dall'andamento meteorologico, è scarsamente redditizia e contribuisce solo per poco più di un quarto alla formazione del PIL. Anche all'interno del settore agricolo si manifestano marcate disparità regionali: se più della metà della superficie del paese è in qualche modo coltivabile, solo un terzo del territorio dispone di acqua in quantità soddisfacente; per il resto le produzioni agricole e l'autosufficienza alimentare della popolazione continuano a essere subordinate alla regolarità dei venti monsonici. Le coltivazioni più diffuse sono quelle dei cereali, di cui sono aumentate sia le quantità prodotte sia le rese (gli incrementi maggiori riguardano il grano e il mais, mentre la produzione di riso si è mantenuta pressoché costante). Si aggiunga che anche nelle colture industriali si sono rilevati notevoli aumenti di produttività, soprattutto per la canna da zucchero e il cotone.
L'U. I. possiede grandi ricchezze minerarie, non ancora del tutto esplorate. Nel sottosuolo sono presenti riserve di minerali di ferro fra le più estese del mondo: si calcola che superino i 22 miliardi di tonnellate. La maggiore concentrazione di esse è ubicata nel Deccan nord-orientale, in una regione che si estende fra Bihar, Orissa e Bengala Occidentale; altri cospicui giacimenti si trovano negli Stati di Tamil Nadu, Karnataka e Goa. Il paese dispone anche di grandi quantità di carbone (le riserve assommano a circa 83 miliardi di t); l'utilizzazione di questa fonte di energia è però limitata dalla modesta qualità; molto più contenute sono le riserve di carbone da coke, valutate intorno ai 2,5 miliardi di t e in massima parte ubicate nelle stesse regioni di estrazione dei minerali di ferro (Deccan nord-orientale).
Dal sottosuolo si estraggono poi grandi quantità di manganese e di mica, oltre a rame, piombo, zinco ecc. È stata rilevata la presenza di petrolio e di gas naturale anche in giacimenti off-shore; l'effettiva consistenza delle riserve è tuttora in via di accertamento: le stime sinora pubblicate sono contrastanti e le valutazioni ufficiali le indicano in 1,5 miliardi di tonnellate. I maggiori giacimenti di terraferma sono quelli rinvenuti nell'Assam, nell'Arunachal Pradesh, nel Madhya Pradesh e nel Tamil Nadu (nel solo bacino di Caulery sono state stimate riserve per circa 200 milioni di t). I giacimenti off-shore sono ubicati nella piattaforma continentale prospiciente le coste del Maharashtra, del Gujarat, del Tamil Nadu, oltre che nel Golfo del Bengala. L'esplorazione è condotta, in regime di concessione, da società multinazionali, in prevalenza statunitensi. È stato valutato che, nel giro di alcuni anni, la domanda indiana di prodotti petroliferi verrà soddisfatta per circa il 70% dalle risorse interne, percentuale destinata ad aumentare (era meno della metà all'inizio degli anni Ottanta).
Il settore secondario è del tutto inadeguato alle dimensioni del paese e alle risorse disponibili, anche perché non è stimolato dalla domanda, che rimane modesta per lo scarso potere d'acquisto della popolazione. Esso è in gran parte un settore informale - diffuso un po' dappertutto e rivolto esclusivamente alla domanda locale- che utilizza tecnologie elementari e processi produttivi di tipo artigianale; è opinione diffusa che tale settore 'sommerso' sia destinato ad accrescersi. Accanto a queste aziende tradizionali, però, ne operano altre a media e alta tecnologia (soprattutto nel comparto meccanico e in quello degli armamenti), concentrate in alcune regioni, le quali sono in grado di produrre beni da esportare, a volte anche molto sofisticati e di solito fabbricati soltanto nei paesi economicamente evoluti. Le ragioni di questo dualismo sono diverse: tra esse va ricordata la struttura del sistema dell'istruzione, che mentre da un lato non è in grado di assicurare l'educazione primaria a tutti (con la conseguenza che ancor oggi esistono larghi strati di giovani analfabeti), per converso dispone di università ben organizzate che garantiscono la formazione di una ristretta ma efficiente classe di tecnici e amministratori. Le attività di base (siderurgia, fabbricazione del cemento ecc.) sono diffuse e nel complesso sviluppate, ma necessitano di un profondo rinnovamento tecnologico.
Infrastrutturazione e privatizzazione sono divenute le due parole chiave dei nuovi orientamenti di politica economico-territoriale dell'esecutivo. In particolare è previsto il potenziamento della produzione energetica, la costruzione di nuove strade, di porti e di una rete di telecomunicazioni.
I trasporti sono relativamente efficienti. La rete ferroviaria è molto estesa ed è in corso di progressiva elettrificazione. Molto più ridotto è lo sviluppo della rete stradale: nonostante da tempo sia stata progettata la costruzione di un sistema autostradale che dovrebbe interconnettere le principali aree urbane del paese, la funzione preminente continua a essere di carattere locale; la motorizzazione è ancora scarsa e il traffico commerciale è limitato all'approvvigionamento dei piccoli e grandi mercati urbani di prodotti agricoli provenienti da campagne più o meno remote. Molto rilevante è il traffico portuale, in particolare quello petrolifero; i porti più importanti, oltre a Bombay (con oltre 33,7 milioni di t di movimento complessivo nel 1996-97), sono Madras, Vishakhapatnam (Vizag), Kandla e Calcutta, che hanno un movimento annuale di merci superiore ai 20 milioni di t, in buona parte costituito da prodotti petroliferi; Madras e Calcutta, con un movimento rispettivamente di 100.000 e 40.000 viaggiatori, sono anche importanti porti passeggeri. Il traffico aereo è molto sviluppato, date le dimensioni del paese: l'aviazione civile trasporta annualmente circa 18÷20 miliardi di passeggeri/km.
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di Pulapre Balakrishnan
Per quanto riguarda i cambiamenti di politica economica, gli anni Novanta sono stati per l'India ben più significativi dei quattro decenni precedenti. Queste trasformazioni sono meglio apprezzabili se valutate in relazione al comportamento dell'economia indiana e della relativa politica economica nel periodo precedente l'ultimo decennio. Per circa 35 anni dopo il 1947, la politica economica indiana è restata pressoché immutabile rispetto alle sue tre caratteristiche di fondo: l'industrializzazione quale obiettivo primario, la protezione dell'economia mediante barriere tariffarie, un ruolo fortemente interventista dello Stato. Di questi soltanto l'ultimo aspetto richiede qualche considerazione aggiuntiva.
Negli anni Cinquanta, lo Stato indiano aveva varato un programma di industrializzazione che doveva essere attuato grazie a un massiccio aumento della spesa pubblica, riservando al governo determinate aree di attività industriale ritenute 'cruciali' e limitando l'espansione della capacità industriale privata mediante una politica di licenze. La logica di quest'ultima misura era l'esigenza di evitare lo spreco di risorse. A ciò si aggiungeva la gestione del commercio internazionale tramite restrizioni nelle esportazioni e importazioni. I beni di cui era consentita l'importazione (per lo più apparecchiature e accessori) erano soggetti a tariffe, e la quantità importabile dipendeva dalla licenza concessa. Tutto questo generò una struttura industriale che, seppure non totalmente monopolistica, era di certo oligopolistica. Questa politica fu portata avanti grosso modo immutata fino agli anni Ottanta, con l'eccezione di un breve intervallo a metà degli anni Sessanta. Successivamente, colpita dalla scarsità di due raccolti consecutivi e da una crisi valutaria, l'India fu costretta a rivolgersi alle agenzie multilaterali. Tuttavia, dopo una consistente svalutazione del tasso di cambio e un breve interludio di liberalizzazione degli scambi, la politica economica ritornò sostanzialmente al regime precedente. Questo periodo fece registrare anche un rallentamento degli investimenti pubblici, dovuto al progressivo peggioramento delle finanze pubbliche, manifestatosi con l'emergenza in India di quel che viene definito deficit delle entrate; che, dal punto di vista tecnico, è un deficit pubblico di parte corrente piuttosto che in conto capitale, ma che, da un punto di vista sostanziale, significa indebitamento pubblico finalizzato al finanziamento della spesa per consumi.
Con gli anni Ottanta iniziò in India un programma di riforma articolato su tre piani. In ordine cronologico, si prevedevano riforme di politica industriale, riforme nella politica del cambio e una politica macroeconomica espansiva. Le riforme di politica industriale prevedevano facilitazioni nella concessione delle licenze per investimenti industriali, mentre le riforme concernenti i rapporti con l'estero comportavano modificazioni nella politica del cambio in direzione di un sistema di fluttuazione amministrata. Il cambiamento più cospicuo degli anni Ottanta si è prodotto tuttavia nella sfera della gestione macroeconomica. La spesa pubblica nei consumi, e in modo particolare quella nei sussidi, ha fatto registrare una crescita che, in assenza di un incremento delle entrate, ha contribuito al deterioramento delle finanze pubbliche. Inoltre, contravvenendo alla pratica usuale, il governo ricorse a prestiti internazionali per finanziare la spesa. La guerra del Golfo del 1991 ha colpito l'economia indiana in due modi: da una parte, con un aumento del prezzo internazionale del petrolio, dall'altra, con una riduzione delle rimesse degli emigrati indiani residenti nella regione. Questo ha causato una crisi dei pagamenti e, con l'economia vicina all'incapacità di onorare gli impegni esterni, il governo si è rivolto al Fondo monetario internazionale, che gli ha concesso un prestito standby in cambio di ampie riforme.
I cambiamenti di politica economica promossi a partire dal 1991, tra i più radicali del periodo successivo al 1947, hanno incluso la stabilizzazione macroeconomica e le riforme strutturali. La stabilizzazione macroeconomica mirava a correggere lo squilibrio esterno; le riforme strutturali di più lungo periodo dovevano contribuire a un miglioramento delle partite correnti, mentre una riduzione del deficit fiscale avrebbe dovuto sia mettere sotto controllo il deficit commerciale, sia ridurre il tasso d'inflazione. A seguito di una serie di cambiamenti, il regime attuale degli scambi presenta due caratteristiche: una riduzione dei controlli quantitativi sulle importazioni (ora limitati ai beni di consumo) e una consistente riduzione generalizzata delle tariffe. Il tasso tariffario massimo, pari al 110% nel 1992-93, era sceso al 40% nel 1995-96. Il tasso di cambio è in pratica fluttuante per tutte le transazioni di parte corrente. Tenendo conto del sistema di controlli vigente in India per oltre quattro decenni, questo non può essere considerato che un radicale cambiamento. Altre riforme strutturali hanno riguardato la politica industriale, abolendo completamente il sistema di licenze e allentando notevolmente i vincoli agli investimenti esteri.
Per quanto riguarda gli effetti del nuovo corso economico, va segnalato in primo luogo l'impatto positivo delle riforme sulla posizione finanziaria del paese nei confronti dell'estero. A qualche anno dall'inizio delle riforme, tanto il debito estero dell'India (percentuale del PIL) quanto il rapporto del servizio del debito si sono abbassati; in conseguenza di ciò, la situazione della bilancia dei pagamenti è considerata sostenibile nel medio termine. Poiché le riforme erano state rese necessarie in primo luogo dalla posizione critica della bilancia dei pagamenti, si può affermare che esse sono state coronate da un certo successo. Ciò denota inoltre una certa capacità di resistenza dell'economia indiana, che è stata in grado di far fronte alla crescente competitività conseguente all'apertura verso l'estero. La capacità di rispettare le scadenze poste al servizio del debito e il fatto che il prestito originario ottenuto dal Fondo monetario internazionale sia stato quasi interamente ripagato con gli interessi hanno smentito le precedenti previsioni secondo le quali l'economia indiana era caduta in una 'trappola del debito'.
Il giudizio sulla crescita economica è, tuttavia, meno positivo: sebbene l'economia abbia conosciuto una ripresa dopo un iniziale rallentamento, inevitabile risultato dello shock di domanda provocato dalla stabilizzazione, essa non è tornata ai livelli che erano stati raggiunti negli ultimi anni Ottanta. Ciò è in gran parte dovuto alla risposta deludente dell'investimento privato malgrado alcune misure volte a stimolare l'offerta, quali l'abbassamento dell'aliquota fiscale sul reddito personale e d'impresa. Inoltre, sebbene i dati sulla povertà debbano essere considerati con cautela, vi sono ragioni per credere che essa non sia stata intaccata dalle riforme, e questo è sicuramente un fattore da tenere presente nel formulare un giudizio definitivo sulla politica economica indiana.
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Storia
di Emma Ansovini
I cinquant'anni dell'indipendenza dell'U. I. sono stati contrassegnati da problemi ancora non risolti - dalla povertà alle tensioni sociali ai difficili rapporti con i paesi vicini - ma anche da successi straordinari e inattesi. A dispetto delle previsioni l'India è riuscita, unico tra i paesi del Terzo mondo, a mantenere in vita un sistema democratico, assicurando libere elezioni e garanzie per i cittadini in un subcontinente passato da una popolazione di circa 350 milioni di abitanti nel 1947 a oltre 980 milioni nel 1998. Il sistema democratico indiano ha verificato la sua tenuta non solo nelle elezioni, svoltesi sempre con regolarità, ma anche nella capacità di reazione dimostrata in occasione del tentativo di sopprimere le garanzie costituzionali (e con esse i diritti civili), compiuto, a metà degli anni Settanta, da Indira Gandhi e fallito per la mancata ratifica del corpo elettorale. Un altro successo è stato quello di essere arrivati a individuare con maggiore chiarezza le profonde contraddizioni e gli elementi strutturali di crisi, in una certa misura costitutivi, del compromesso sul quale l'India ha costruito la propria identità nazionale, un'identità, nonostante l'originaria divisione su base religiosa con il Pakistan, fondata su una forma di laicismo che, nel riconoscimento integrale della pluralità, tendeva a contemperare, non mescolandole, diversità anche radicali.
Il paese si presenta infatti come un mosaico di religioni (lo stesso induismo non si può in senso stretto definire una religione unificata e la presenza di più di cento milioni di musulmani fa dell'U. I. il terzo paese musulmano del mondo), di lingue, di comunità, di etnie, con una complessa stratificazione sociale ancora basata sulle caste, con differenze regionali fortissime riscontrabili non soltanto sul piano economico, ma soprattutto sulla base di indicatori di benessere come i tassi di alfabetizzazione, di mortalità infantile, di speranza di vita alla nascita. Se si mettono a confronto i dati riferibili allo Stato meridionale del Kerala con quelli relativi al settentrionale Uttar Pradesh si osserva che nel primo il tasso di alfabetizzazione è del 94% per gli uomini e dell'86% per le donne rispetto al 56% e al 25% del secondo, il tasso di mortalità infantile è pari al 16‰ dei nati vivi contro il 97‰, l'aspettativa di vita alla nascita per gli uomini è di 71 anni contro 58. Se le diversità e i contrasti hanno trovato possibile convivenza solamente attraverso l'impostazione laica, che sembra aver fatto dello Stato una fonte di legittimità riconosciuta e dell'U. I. qualcosa di più della somma delle sue parti, il laicismo indiano, così come si è venuto costruendo, non cessa per altro verso di apparire problematico, perché sembra "riflettere la somma dei sentimenti collettivi d'intolleranza delle varie comunità, anziché basarsi sulla sintesi delle loro capacità di tolleranza" (Sen 1998, p. 119). Un percorso laico del resto irto di difficoltà come testimoniano le morti, per mano di fondamentalisti o di esponenti di minoranze religiose, di Gandhi nel 1948, di Indira Gandhi nel 1984, di Rajiv Gandhi nel 1991.
L'idea di India come casa comune delle diversità è stato uno degli elementi di forza del partito che ha retto le sorti del paese quasi ininterrottamente per quarant'anni, l'Indian National Congress (I). Negli anni Cinquanta, sotto la guida di Nehru e secondo un modello di sviluppo 'autocentrato', basato su un deciso intervento statale nell'economia, venivano poste le premesse per il raggiungimento, avvenuto negli anni Sessanta, dell'autosufficienza alimentare e per la costruzione di una consistente base produttiva, sebbene allo sviluppo economico non si coniugasse un'efficace politica di riforme sociali e la grande quantità di vincoli introdotti da un sistema centralizzato di pianificazione economica avesse finito per creare una forte rigidità dell'apparato industriale. La stessa vastità del paese e l'eredità coloniale di un apparato amministrativo relativamente competente avevano inoltre indotto la classe dirigente a investire sull'istruzione di medio e alto livello trascurando l'alfabetizzazione di massa. Era apparso più semplice, pur adottando lo hindī come lingua ufficiale, utilizzare la lingua inglese per qualificare persone già istruite piuttosto che affrontare la straordinaria complessità delle centinaia di lingue e dialetti del subcontinente (solo recentemente 17 diversi idiomi si sono affiancati all'inglese e allo hindī come lingue ufficiali del paese). L'ascesa al potere della figlia di Nehru, I. Gandhi, non aveva modificato l'approccio statalista, ma lo aveva coniugato con la progressiva affermazione di un modello personalistico e autocratico, teso a identificare il partito con la famiglia; un modello che trovava però sempre più difficile far convivere le diverse anime presenti nell'Indian National Congress (I) e reggere il compromesso tra le caste alte, quelle inferiori e le minoranze religiose su cui il partito stesso aveva fondato il suo radicamento sociale e costruito il suo successo. Gli anni Novanta, infine, segnavano una profonda svolta nella vita del paese; si assisteva infatti a un inarrestabile declino del partito dominante, a una progressiva frammentazione della rappresentanza politica e al conseguente affermarsi dei governi di coalizione. La credibilità dell'Indian National Congress (I) come garante della laicità dello Stato accusava i contraccolpi indotti dall'esplodere di violenti conflitti tra le diverse comunità, dall'accentuarsi delle tendenze separatiste (Assam, Kashmir, Panjab, Tamil Nadu, Bengala Occidentale) e dall'affacciarsi di gruppi terroristici. Al contempo, quegli stessi anni si caratterizzavano per la crescita di partiti regionali e formazioni con forti riferimenti etnici e religiosi, portatori questi ultimi spesso di visioni integraliste, come il BJP (Bharatiya Janata Party), divenuto nello spazio di un decennio uno dei protagonisti della scena politica, fautore di un programma basato sull'affermazione della cultura indù e sulla rappresentanza di casta, con un forte radicamento negli Stati della fascia indù del Nord del paese e in particolare nell'Uttar Pradesh, il più popoloso Stato dell'Unione.
Il sistema delle caste, d'altro canto, veniva minato dall'esercizio stesso della democrazia che per sua natura andava progressivamente aprendo spazi anche a settori di popolazione prima esclusi: in molte regioni giungevano al potere governi espressione delle caste basse, mentre le trasformazioni economiche di impronta liberista avviate all'inizio degli anni Novanta introducevano ulteriori mutamenti nella stratificazione sociale, conducendo le caste inferiori e i 'fuori casta' a reclamare nuove forme di partecipazione. La tendenza alla polarizzazione delle identità di casta emerse con evidenza, per es., in occasione della riforma (1990-92) del sistema delle quote, che prevedeva un innalzamento della quota riservata nel pubblico impiego alle caste inferiori rurali e che suscitò violente rimostranze da parte degli studenti, appartenenti in maggioranza alle caste medio-alte e alla borghesia urbana. Lo sfaldamento, per quanto lento e parziale, di una stratificazione sociale così complessa rappresentava ovviamente un veicolo di crisi e di squilibrio per tutto il sistema.
I conflitti etnici e religiosi si acutizzarono alla fine del 1992, quando, il 6 dicembre, integralisti indù distrussero la moschea di Babur, già al centro di aspre contese, nella città di Ayodhya nello Stato, a schiacciante prevalenza indù, dell'Uttar Pradesh. Questa iniziativa fu seguita da un'ondata di violenza che sconvolse quasi tutto il paese, provocando più di duemila morti e riaccendendo particolarismi etnici e religiosi anche diversi dal tradizionale conflitto indù-musulmani. Un'ondata terroristica colpì il Panjab, l'Assam e il Kashmir, raggiungendo nel marzo 1993 anche Bombay e Calcutta. Il governo guidato da P.V.N. Rao, inizialmente incerto e preoccupato di perdere consenso tra gli indù, reagì poi mettendo fuori legge la più antica organizzazione nazionalista indù, il Corpo nazionale dei volontari (RSS, Rashtriya Swayamsevak Sangh) e destituendo, con una misura molto discussa, alcune amministrazioni locali governate dal BJP. Il governo però, diviso al suo interno, non accompagnò le misure repressive con altre iniziative di più ampio respiro. Maggiore incisività l'amministrazione Rao dimostrò, oltre che in un'attiva politica estera, nella gestione dell'economia, dove la scelta liberalizzatrice, avviata nel 1991 e che aveva di fatto portato allo smantellamento del sistema centralizzato, produsse una regolare crescita del PIL, anche se accentuò molto le differenze regionali e accrebbe le diseguaglianze nelle politiche educative, lasciando il paese a un tasso di analfabetismo così elevato (48% della popolazione adulta nel 1995) che mal sembrava conciliarsi con le potenzialità indotte dallo sviluppo economico.
Nonostante i successi riportati sul piano internazionale e i discreti risultati raggiunti nella politica economica, la popolarità del governo, coinvolto sempre più spesso in episodi di corruzione e percorso da sempre più forti contrasti interni, subì un forte declino, confermato dalla pesante sconfitta dell'Indian National Congress (I) nelle elezioni regionali tenutesi nei principali Stati dell'U. I. tra la fine del 1994 e l'inizio del 1995. Le elezioni segnarono anche una forte ascesa dei partiti regionali, accentuando un fenomeno già emerso a partire dalla fine degli anni Ottanta e solo molto parzialmente attenuatosi in alcune consultazioni locali del 1993. Le elezioni politiche generali fissate per la primavera del 1996 furono precedute da una nuova ondata di accuse di corruzione che investì sia l'esecutivo, nella persona del suo primo ministro, sia i principali esponenti dell'opposizione. Furono infatti coinvolti i leader del BJP e quelli del Janata Dal. Le consultazioni, svoltesi tra la fine di aprile e l'inizio di maggio, segnarono la sconfitta dell'Indian National Congress (I), sempre più compromesso dagli scandali, dalla defezione di numerose personalità di rilievo e dalla crisi di alcune importanti federazioni locali. Il partito ottenne infatti solo 136 seggi contro i 227 del 1991. Le elezioni registrarono invece l'affermazione di due forze politiche opposte: da un lato il National Front-Left Front, un'eterogenea coalizione comprendente partiti socialdemocratici come il Janata Dal, espressione delle caste basse, partiti comunisti, come quello al governo nel Bengala Occidentale, partiti regionali e altre forze minori, uniti più che da un programma dalla comune volontà di mettere fine all'egemonia dell'Indian National Congress (I); dall'altro il BJP in alleanza con altre piccole formazioni. Le due coalizioni ottennero rispettivamente 179 e 194 seggi. Dopo un tentativo fallito del BJP, il cui governo restò in carica solo tredici giorni, il mandato fu affidato a H.D. Devgoda, emerso, dopo faticose consultazioni, come candidato primo ministro dello United Front, nuova denominazione assunta dalla coalizione dei tredici partiti di centro-sinistra. Politico di statura regionale, non proveniente dalle caste superiori - fatto decisamente inusuale tra i leader nazionali -, Devgoda diede vita, in maggio, a un esecutivo con l'appoggio esterno dell'Indian National Congress (I).
Pur confermando l'impianto generale delle scelte economiche avviate agli inizi degli anni Novanta, soprattutto in rapporto agli incentivi agli investimenti esteri, il governo ripristinò il sostegno statale all'agricoltura, rallentando il già limitato e complesso inserimento dell'economia indiana nel mercato mondiale. In politica estera venne ribadito il rifiuto, già espresso dal governo Rao, di partecipare al Trattato di non proliferazione nucleare, decisione che suscitò pesanti critiche da parte dell'opinione pubblica internazionale. Molto problematici rimasero i rapporti con il Pakistan, soprattutto a causa dell'irrisolta questione del Kashmir, aggravatasi negli anni Novanta per il rafforzarsi e il moltiplicarsi dei movimenti separatisti musulmani, fenomeno dovuto anche all'afflusso di mercenari provenienti da diversi paesi islamici, che portò a una sorta di internazionalizzazione del conflitto. A questa drammatica situazione il potere centrale, preoccupato dei possibili riflessi a livello nazionale, rispose, in linea del resto con la sua tradizionale condotta, con il rifiuto di qualsiasi richiesta di maggiore autonomia e con un'ulteriore accentuazione della scelta militare.
Nel marzo 1997 l'esecutivo, la cui vita era resa faticosa dalla difficoltà di conciliare gli interessi di una così numerosa coalizione, perse l'appoggio dell'Indian National Congress (I), dopo che le dimissioni dalla guida del partito di Rao, coinvolto in un ennesimo scandalo, avevano portato alla presidenza S. Kesri, un avversario del primo ministro, e dopo che l'ingresso nel partito stesso di Sonia Maino Gandhi, vedova di R. Gandhi, aveva avviato una ridefinizione degli equilibri interni. Dopo le dimissioni di Devgoda entrò in carica un governo di minoranza, formato dallo United Front e guidato da I. Kumar Gujral, un anziano e stimato intellettuale e leader politico gradito all'Indian National Congress (I); quest'ultimo assicurò a Gujral il suo appoggio fino a quando, nel novembre 1997, egli si rifiutò di accogliere la richiesta di espellere dalla coalizione il DMK (Dravida Munnetra Kazhagam), coinvolto nell'inchiesta sulla morte di R. Gandhi per aver avuto contatti con le 'Tigri del Tamil', l'organizzazione clandestina accusata del suo assassinio (nel gennaio 1998 alcuni militanti del gruppo furono giudicati colpevoli e condannati). La novità più significativa, per quanto effimera, del governo Gujral fu il nuovo indirizzo in politica estera, volto alla ricerca di un miglioramento dei rapporti con i paesi vicini, miglioramento da conseguire anche attraverso gesti unilaterali di collaborazione. Le dimissioni del governo Gujral, ormai privo di maggioranza, portarono alle elezioni anticipate che, svoltesi nel febbraio-marzo 1998, confermarono la crescita del BJP. Quest'ultimo, grazie all'adozione di un atteggiamento più pragmatico e apparentemente più aperto, aveva stretto una serie di alleanze superando così la sua connotazione tipicamente regionale (particolarmente importante l'alleanza con l'Aiadmk, partito in ascesa del Tamil Nadu). L'Indian National Congress (I) registrò una sostanziale tenuta delle sue posizioni, ma non riuscì a tradurre in voti l'entusiasmo suscitato dalla discesa in campo di S. Maino Gandhi, mentre lo United Front uscì dalla prova elettorale pesantemente sconfitto.
Il 19 marzo 1998 entrò in carica un nuovo governo guidato da A.B. Vajpayee, leader del BJP. Il nuovo primo ministro, parlamentare da molte legislature, attivo già durante la lotta di liberazione e membro del RSS, pur considerato un moderato e pur avendo rappresentato nel corso della campagna elettorale il volto più pragmatico e meno ideologico del BJP, rimaneva uno dei più convinti assertori dell'importanza di un recupero della cultura indù sia come fattore di identità nazionale nei confronti delle tendenze occidentalizzanti (posizione sinteticamente espressa da uno dei suoi slogan più popolari: "L'India deve essere costruita dagli Indiani"), sia come riconoscimento della sua preminenza rispetto ad altre culture e ad altre religioni. Le scelte politiche e le dichiarazioni del governo apparvero fin dall'inizio connotate da forti accenti nazionalistici e da una politica estera dai toni aggressivi e declamatori, che ribadivano il ruolo dell'India come potenza regionale e miravano ad aumentare il consenso all'operato del governo. La tensione nell'area crebbe immediatamente e i rapporti con il Pakistan, da sempre conflittuali, peggiorarono ulteriormente fino a sfiorare la rottura, mentre il confronto militare in Kashmir subì nella primavera-estate 1999 una violenta accelerazione con più aspri combattimenti e il coinvolgimento dell'aviazione. In un clima sempre più acceso, il governo in maggio riprese, dopo 24 anni, gli esperimenti nucleari (una serie di esplosioni sotterranee), suscitando un'ondata di rinnovato nazionalismo indù, ma provocando sia la condanna dell'opinione pubblica e delle diplomazie internazionali, sia la risposta, con altrettanti test nucleari, del Pakistan. Nell'aprile 1999, l'abbandono della coalizione da parte del partito Aiadmk portò alle dimissioni del governo e alla convocazione di nuove elezioni che, svoltesi nel settembre-ottobre 1999, registrarono la vittoria del BJP e dei suoi alleati. L'Indian National Congress (I) vide scendere nettamente i suoi consensi mentre crebbe ulteriormente la rappresentanza dei partiti regionali.
bibliografia
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