Figlio (Napoli 1869 - Alessandria d'Egitto 1947) di Umberto I e di Margherita di Savoia. Ricevuta una rigorosa educazione militare, percorse rapidamente la successiva carriera, fino a ottenere (1897) il comando del corpo d'armata di stanza a Napoli; l'anno prima aveva sposato Elena, figlia del principe Nicola di Montenegro. Salito improvvisamente al trono (1900) in seguito all'assassinio del padre, non si oppose alla svolta liberale impressa dai governi di G. Zanardelli e G. Giolitti; in politica estera appoggiò, pur rimanendo nel solco della Triplice Alleanza, il riavvicinamento diplomatico con Inghilterra e Francia. Favorevole all'impresa di Libia (1911-12), sostenne l'intervento dell'Italia nella prima guerra mondiale, non facendo mancare il suo appoggio al governo di A. Salandra nelle giornate del maggio 1915 e seguendo personalmente, anche sul fronte, l'andamento del conflitto. Nella difficile situazione del dopoguerra, V. E. III dimostrò una sostanziale sfiducia nelle capacità di governo della classe dirigente liberale e preferì l'accettazione del fatto compiuto alla difesa attiva delle istituzioni. Tale atteggiamento fu evidente il 28 ott. 1922, quando, in occasione della marcia su Roma delle camicie nere fasciste, rifiutò di proclamare lo stato d'assedio e affidò l'incarico di formare il nuovo governo a B. Mussolini. Durante il ventennio fascista, nonostante reciproche diffidenze, V. E. III non separò mai le sorti e le responsabilità della dinastia da quelle del regime. Sul piano interno non si oppose alla graduale soppressione delle libertà garantite dallo Statuto e accettò, di fatto, che si venisse a creare una "diarchia" tra il duce e la corona che lasciava a quest'ultima un primato solo nominale. In politica estera, il sovrano non prospettò possibilità alternative all'iniziativa di Mussolini, accettando i titoli di imperatore di Etiopia (1936) e di re d'Albania (1939); anche l'intervento italiano nella seconda guerra mondiale a fianco della Germania (1940) ebbe luogo nonostante le sue perplessità. Il timore che il disastroso andamento del conflitto segnasse la fine non solo del regime, ma anche della dinastia, convinse V. E. III ad agire, arrestando Mussolini (25 luglio 1943) e nominando capo del nuovo governo il maresciallo P. Badoglio. Il 9 sett., il giorno seguente l'annuncio dell'armistizio, il sovrano e Badoglio abbandonarono Roma e fuggirono prima a Pescara e poi a Brindisi, nella zona occupata dagli Alleati. Di fronte alle pressioni delle forze antifasciste, che chiedevano la sua abdicazione, dopo molte resistenze V. E. III fu costretto ad accettare una soluzione di compromesso, impegnandosi ad affidare la luogotenenza del regno al figlio Umberto quando fosse stata liberata Roma. Verificatosi tale evento (4 giugno 1944), V. E. III si risolse ad abdicare a favore del figlio solo il 9 maggio 1946, a ridosso del referendum istituzionale del 2 giugno, con il chiaro intento di favorire il successo monarchico. Ritiratosi in esilio ad Alessandria d'Egitto, l'anno seguente morì e fu sepolto nella cattedrale di S. Caterina.