Processo di snellimento di norme e regolamenti originariamente intesi a regolare, nell’interesse pubblico, determinati settori dell’attività economica. Questo tipo di regolazione a sua volta, si riferisce di solito a settori di pubblica utilità (telefoni, gas, elettricità, acqua, trasporti), a servizi finanziari (dalle banche alla Borsa), a mercati particolarmente sensibili (mercato del lavoro) e a esternalità (➔), come nel caso delle regole antinquinamento. Negli ultimi decenni del Novecento in molti paesi vi è stato un graduale passaggio, per quanto riguarda i servizi di pubblica utilità, dallo ‘Stato produttore’ allo ‘Stato regolatore’. Questi servizi sono stati privatizzati, ma le modalità di fornitura e le tariffe vengono decise dallo Stato attraverso apposite Agenzie di regolazione (➔ Autorità indipendenti).
Tra la fine degli anni 1970 e l’inizio degli anni 1980 si è andato affermando – all’inizio nei paesi anglosassoni – un movimento di d. che reagiva a quello che era percepito come un eccesso di regolamentazione. Da un lato, le complicazioni burocratiche erano avvertite come intrusive e costose per le imprese; dall’altro lato, la tecnologia si era già incaricata di rendere contendibili quelli che erano considerati ‘monopoli naturali’ (per es., nel campo delle telecomunicazioni, ma anche per la rete elettrica e per la rete ferroviaria) e quindi vi era meno bisogno di regolazione, perché la concorrenza avrebbe pensato a limare i profitti. La d. è stata applicata anche attraverso la liberalizzazione dei cosiddetti ‘prezzi controllati’, come nel caso dei prodotti petroliferi.
D. e liberalizzazione esprimono fino a un certo punto lo stesso fenomeno: la rimozione di ‘lacci e lacciuoli’ preesistenti. La differenza sta nel fatto che la d. mira a rimuovere regole che erano state imposte dal potere pubblico, mentre la liberalizzazione si può anche riferire alla rimozione di regole originariamente create da ‘corporazioni’ private, come gli ordini professionali, dagli avvocati ai farmacisti.