Ai sensi dell’art. 43, comma 1 del codice civile, il domicilio di una persona è il luogo in cui questa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi. Può indicare anche soltanto il luogo in cui la persona svolge la sua attività lavorativa. In quei rapporti e in quelle situazioni che presentano carattere di internazionalità, la nozione di domicilio indica un legame giuridicamente rilevante tra un individuo e l’ambito territoriale del sistema giuridico di uno Stato.
Secondo la legge 218/1995, di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, il domicilio di una persona costituisce uno dei criteri di collegamento per il rinvio a un ordinamento straniero (Criteri di collegamento. Diritto internazionale privato), anche se riveste, a tal fine, un ruolo secondario rispetto alla cittadinanza. Il domicilio è infatti criterio di collegamento per richiamare un ordinamento straniero solo in relazione alle seguenti fattispecie: a) ambito di efficacia della giurisdizione italiana (art. 3 l. 218); b) individuazione della legge applicabile ad apolidi o rifugiati; c) validità del testamento (art. 19); d) responsabilità extracontrattuale per danno da prodotto (art. 63). Tale ultima fattispecie è regolata, a scelta del danneggiato, dalla legge dello Stato in cui si trova il domicilio o l'amministrazione del produttore, oppure da quella dello Stato in cui il prodotto è stato acquistato, a meno che il produttore provi che il prodotto vi è stato immesso in commercio senza il suo consenso.
Malgrado lo scarso rilievo dato nell’ordinamento italiano al criterio del domicilio, nelle Convenzioni dell’Aia del 5 ottobre 1961 e del 2 ottobre 1973, la residenza (criterio di tipo domiciliare) riveste un ruolo primario con riferimento alla protezione dei minori (Minore. Diritto internazionale privato) e alle obbligazioni di tipo alimentare (Obbligazione alimentare nel diritto di famiglia. Diritto internazionale privato).
Criteri di collegamento. Diritto internazionale privato