Nome generico di processi patologici a carico del fegato, causati da vari agenti eziologici in grado di indurre diverse alterazioni anatomiche. Si distinguono forme di origine virale ( e. acute e croniche), forme di origine batterica o parassitaria a carattere ascessuale ( e. suppurativa), forme di origine tossica (alcool, farmaci, funghi) e, molto rilevanti, forme correlate ad alterazioni metaboliche ( steatoepatite non alcoolica, NASH). La forma più frequente di e. acuta è quella virale. Essa può avere carattere epidemico o endemico-sporadico, spesso è itterica. Nel caso in cui il sistema immunitario non è in grado di eliminare il virus (B o C), il processo infettivo si cronicizza.
E. da virus A (HAV). Trasmessa per via ‘oro-fecale’, ha un periodo di incubazione compreso fra due e quattro settimane e in genere si risolve senza conseguenze. La diagnosi si esegue mediante il dosaggio degli anticorpi circolanti (HAVAb-IgM).
E. da virus B (HBV). È invece trasmessa soprattutto per via parenterale (trasfusioni, utilizzo di droghe per endovena, emodialisi ecc.) e ha un’incubazione che va da sei settimane a sei mesi. Il primo antigene dell’HBV identificato (HBsAg) fu isolato inizialmente nel siero di un aborigeno australiano e per questo chiamato antigene Australia. Il virione infettante (particella di Dane) è costituito da una parte centrale, indicata con il termine inglese core, costituita da DNA, e un capside superficiale, surface. Sono stati riconosciuti due distinti antigeni legati a questa particella, uno centrale definito HBcAg (hepatitis B core antigen) e l’altro di superficie definito HBsAg (hepatitis B surface antigen) che corrisponde all’antigene Australia. Successivamente è stato identificato l’antigene ‘e’ (HBeAg), importante indicatore di infettività. Per l’e. B sono stati messi a punto vaccini efficaci, dei quali è stata dimostrata la sicurezza di impiego. Dal 1991 in Italia è stata resa obbligatoria la vaccinazione anti HBV dei neonati.
Nel 1977 era stato identificato un nuovo virus a RNA (inizialmente noto come Ag-delta), con peculiari caratteristiche biologiche, il virus HDV (hepatitis delta virus), la cui replicazione, però, avviene soltanto in presenza di infezione cronica da HBV. È disponibile il vaccino.
E. da virus C. All’inizio degli anni 1980 è stato identificato e clonato il genoma dell’e. C (HCV, precedentemente nota come e. non-A non-B). La principale via di trasmissione è quella parenterale. L’impiego di tecniche di laboratorio come la PCR (polymerase chain reaction) ha permesso di stabilire un rapporto tra la presenza del virus e la tendenza naturale alla cronicizzazione di questa variante di epatite. La possibilità di disporre di adeguati kits diagnostici in laboratorio ha ridotto moltissimo il rischio di trasfondere il virus sia con sangue sia attraverso derivati ematici. Studi epidemiologici dimostrano inoltre come i portatori cronici del virus dell’e. C siano i maggiori responsabili della diffusione dell’infezione. Di particolare interesse è l’osservazione che soggetti con epatopatia cronica C correlata sviluppano nel corso del tempo un carcinoma epatocellulare. Il virus dell’e. C non ha configurazione stabile e può mutare con frequenza. Sotto il profilo patogenetico, mentre i dati confermano che il danno istologico in corso di e. B è mediato dal ruolo della risposta immunitaria, in corso di e. C sembra che il danno epatico dipenda dall’azione diretta del virus sull’epatocita. Altre osservazioni peraltro mostrano come gli infiltrati di cellule linfocitarie reattive coinvolgano comunque la risposta cellulo-mediata del sistema immunitario. Nella terapia delle forme acute, oltre ai corticosteroidi e ai farmaci antivirali, sono stati proposti anche l’azatioprina e il levamisolo; nel trattamento delle forme croniche si impiega l’interferone, che appare in grado di ridurre la fase replicativa.
E. da virus E. I primi dati sull’esistenza di questo virus risalgono agli anni 1950 e furono raccolti in occasione di un’epidemia esplosa a Nuova Delhi. È solo però negli anni 1980 che il virus viene isolato e identificato con l’attribuzione del nome virus E. Questo assume una forma sferica con singolo filamento di RNA, non capsulato, e presenza di varie estroflessioni. È stato provvisoriamente attribuito alla famiglia Caliciviridae. L’e. da virus E viene trasmessa per via oro-fecale e presenta andamento endemico ed epidemico in Asia, America Latina e alcune zone dell’Africa settentrionale. I casi registrati in Europa sono associabili a viaggi di pazienti in aree a rischio. D’altro canto, il virus trova facile diffusione laddove più marcati sono i deficit igienici e idrico-sanitari, essendo l’acqua e gli alimenti contaminati il veicolo principale del contagio. Sebbene il virus dell’e. A e quello dell’e. E siano trasmessi per via oro-fecale, non sembra frequente l’infezione con entrambe le particelle virali. Studi sierologici mostrano comunque che anticorpi anti virus E sono presenti in una certa percentuale di individui con e. cronica virale B o C. In generale, i sintomi dell’e. da virus E sono sovrapponibili a quelli descritti per le altre varianti, e compaiono dopo un’incubazione di circa quattro settimane. L’andamento è tendenzialmente benigno, tuttavia in corso di gravidanza, soprattutto nel terzo trimestre, si può sviluppare un’e. fulminante con tasso di letalità che raggiunge in alcune statistiche il 40% dei casi.
E. da virus F. Si tratta di una forma virale con inquadramento non sufficiente per una classificazione, relativa a un episodio di malattia segnalato nel 1994 e indotto da un virus a trasmissione enterica.
E. da virus G. A metà degli anni 1990 è stato identificato un virus a RNA, definito hepatitis G virus (HGV). Si tratta di un patogeno che causa infezione post-trasfusionale la quale può persistere a lungo nel circolo ematico senza indurre alcuna malattia. Secondo alcuni autori, HGV non dovrebbe essere considerato un virus causa di e., ma andrebbe piuttosto assimilato al virus responsabile della mononucleosi infettiva o ad altri virus linfotropi, con affinità particolare per i linfociti, che causano e. solo quando la loro viremia raggiunge un elevato livello.
E. causate da altri virus. Vengono inclusi in questo gruppo agenti di successiva identificazione come il virus TTV (transfusion transmitted virus) a DNA e virus già noti che, pur non avendo un tropismo epatico marcato, sono in grado di causare e. acuta o cronica. In questo ultimo raggruppamento si annoverano il virus di Epstein-Barr (EBV), agente della mononucleosi infettiva, il virus della febbre di Lassa, quelli responsabili della Dengue e della febbre emorragica (Ebola).
È causata da germi piogeni, che arrivano al fegato per diverse vie, spesso per mezzo della vena porta, in seguito a processi settici degli organi addominali (ulcere intestinali, appendiciti, dissenteria), più raramente per mezzo dell’arteria epatica o per propagazione da focolai morbosi di organi vicini. La suppurazione dà luogo ad ascessi i quali possono essere multipli e fondersi ai focolai più vasti o in un’unica raccolta purulenta (ascesso epatico) che può occupare un intero lobo del fegato e talora aprirsi in peritoneo o, attraverso il diaframma, nella pleura. La cura dell’ascesso epatico è chirurgica.
È caratterizzata da infiltrazione grassa di vario grado degli epatociti, caratterizzata da ipertransaminasemia e aumento della GGT. Spesso è associata a insulino-resistenza.