Euclide
Il padre della geometria
Euclide, vissuto agli inizi del 3° secolo a.C., è noto soprattutto per i suoi Elementi, una vasta raccolta in cui espone i concetti fondamentali della matematica greca del tempo. Gli Elementi sono stati la pietra angolare di tutta la matematica successiva e un paradigma di rigore dimostrativo. Per secoli e secoli lo studio della geometria cominciava con l'opera di Euclide e generazioni di matematici si sono sforzati di perfezionarla. Da questo impegno secolare sono nate nuove costruzioni geometriche e logiche che hanno notevolmente influito sulla cultura filosofica e scientifica
Di Euclide sappiamo pochissimo e c'è perfino chi dubita della sua esistenza. Gli storici della matematica sono però d'accordo nel dire che svolse la sua attività di matematico ad Alessandria d'Egitto, verso l'inizio del 3° secolo a.C.
In quell'epoca Alessandria stava diventando la capitale culturale del mondo ellenistico. Alla morte di Alessandro Magno (323 a.C.) l'Egitto finì nelle mani del suo generale Tolomeo. Divenuto re, Tolomeo favorì la diffusione della cultura greca cercando di attirare ad Alessandria i più famosi studiosi del mondo ellenico. A tale scopo istituì il Mousèion, lo "scrigno delle Muse", che era al tempo stesso un'accademia di arti e di scienze e un centro avanzato di ricerca. Poeti, musici, storici, scienziati, letterati e filosofi vi potevano lavorare fianco a fianco. La risorsa più preziosa del Mousèion era la biblioteca, che arrivò a possedere oltre 500.000 rotoli di papiro.
Euclide si trovò a lavorare in questo ambiente che permetteva la creazione di una comunità di matematici e lo sviluppo di grandi progetti. Uno di questi fu, senza dubbio, la compilazione degli Elementi, un'opera che intendeva raccogliere tutti gli strumenti concettuali indispensabili per lo studio della geometria. Per capire meglio il significato di un simile progetto dobbiamo fare un passo indietro e dare un'occhiata alla matematica greca dell'epoca di Euclide.
Nel campo della matematica ‒ come in quello della filosofia, della politica e in tanti altri ‒ la civiltà greca arrivò a risultati del tutto unici e le sue elaborazioni matematiche si distinguono nettamente da quelle degli altri popoli, antichi e non. A differenza di Babilonesi, Egizi, Indiani, Cinesi, per i Greci fare matematica significava dimostrare. Anche le verità aritmetiche o geometriche apparentemente più chiare dovevano essere ricondotte a principi semplicissimi, gli assiomi, i postulati e le definizioni, e dedotte attraverso una catena di ragionamenti opportunamente disposti in teoremi, lemmi, corollari.
Questa invenzione greca della matematica 'con dimostrazione' è certo uno degli aspetti più importanti fra tutti quelli che la civiltà occidentale ha ereditato dal mondo antico; seconda per valore, forse, solo all'invenzione della democrazia politica, cui peraltro è strettamente legata. Serviva infatti un ambiente democratico per far nascere l'idea di una dimostrazione che potesse e dovesse convincere tutti quelli che condividevano principi comuni.
Una dimostrazione è condivisibile solo se tutti i matematici dispongono degli stessi principi o elementi. Il primo matematico che tentò di fornire un testo di questo genere fu Ippocrate di Chio (fine del 5° secolo a.C.), che svolse la sua attività nella democratica Atene. I suoi Elementi non ci sono pervenuti, ma rappresentarono la prima esposizione rigorosa dei principi e delle tecniche che devono essere utilizzati nella matematica con dimostrazione.
Gli Elementi di Ippocrate furono solo un punto di partenza. Nel corso del 4° secolo a.C. numerose scoperte ‒ come l'esistenza di grandezze incommensurabili, cioè grandezze il cui rapporto è un numero irrazionale (per esempio la circonferenza e il suo diametro, il cui rapporto dà come valore š) ‒ e un forte dibattito filosofico (basti citare Platone e Aristotele) portarono la matematica greca a svilupparsi ben oltre il lavoro di Ippocrate e resero necessarie nuove sintesi.
Nacquero così gli Elementi di Euclide e, nel corso di poco più di una cinquantina d'anni, i temi affrontati nei tredici libri degli Elementi divennero il fondamento di ogni successiva ricerca, non solo in geometria e in aritmetica. L'opera di Euclide fu fondamentale, infatti, anche per tutti quei campi in cui i Greci cercarono di applicare la matematica: ottica, astronomia, musica, geometria pratica, meccanica, geografia e molti altri.
Nel Libro I Euclide introduce con 23 definizioni gli oggetti geometrici fondamentali ‒ il punto, la retta, il piano, l'angolo ‒ ed enuncia cinque assiomi e cinque postulati. Gli assiomi sono verità generali ("Il tutto è maggiore della parte"); i postulati sono assunzioni specifiche relative alla geometria ("Dati due punti, si può tracciare la retta che li congiunge").
I primi quattro libri trattano delle proprietà basilari dei poligoni e dei cerchi: vi è enunciato anche il famoso teorema di Pitagora, dimostrato alla fine del Libro I. Il Libro V è dedicato allo studio della teoria delle proporzioni, mentre il Libro VI applica questa teoria ai poligoni, per esempio ai triangoli simili (v. fig.). I Libri VII-IX trattano di aritmetica esponendo concetti come massimo comun divisore, numeri primi, numeri perfetti e via dicendo. Il X tratta delle grandezze incommensurabili. Gli ultimi tre Libri (XI-XIII) sono dedicati alla geometria solida. Nel XII si studiano le proprietà fondamentali di piramidi, coni, cilindri e sfere, mentre il XIII è dedicato allo studio dei cinque poliedri regolari: tetraedro, cubo, ottaedro, dodecaedro e icosaedro.
Oltre agli Elementi, Euclide scrisse numerose altre opere che trattavano di sezioni coniche, di statica, di musica, di ottica, di astronomia e di argomenti di geometria più avanzati. Purtroppo non tutte ci sono pervenute; ma quelle che riuscirono a superare il naufragio della civiltà antica (in particolare l'Ottica che trattava della visione e la Catottrica che trattava degli specchi) ebbero anch'esse una profonda influenza sulla matematica araba e rinascimentale.
Sembra che Euclide tenesse molto alla sua opera. Si racconta che il re d'Egitto, Tolomeo, avesse chiesto al matematico di insegnargli la geometria, ma dopo aver visto il cumulo di rotoli di papiro da studiare, domandò se non si poteva semplificare un po'. Al che Euclide, sdegnato, avrebbe risposto: "In geometria, Tolomeo, non esistono vie fatte apposta per i re!". Questa leggenda della via regia, ripetuta infinite volte, sarebbe diventata uno stimolo e una sfida per i matematici che, almeno dal Rinascimento in poi, cercarono di semplificare le cose: fu uno dei fattori che portarono a inventare il calcolo infinitesimale.
Un'altra leggenda su Euclide racconta di un giovane che gli andò a chiedere lezioni di geometria. Dopo aver ascoltato la spiegazione della prima proposizione che insegna come si fa, dato il lato, a costruire un triangolo equilatero, l'allievo chiese: "Ma cosa ci guadagno a imparare queste cose?". Allora Euclide chiamò uno schiavo e gli disse: "Dai tre oboli [una moneta dell'epoca] a questo signore, visto che vuol guadagnare con la geometria! Poi digli che se ne vada!". Questa leggenda riflette un'idea molto comune fra i filosofi greci, soprattutto fra quelli della scuola di Platone: la filosofia e la matematica non devono avere niente a che fare con il mondo delle cose pratiche. Probabilmente inorridirebbero se potessero vedere quante e quali applicazioni ha la matematica oggi!
L'influenza degli Elementi sullo sviluppo della matematica è stata enorme. Furono copiati e commentati più volte nell'età antica. Gli Arabi, a loro volta, li tradussero e li studiarono a fondo, facendone la base della loro matematica. Nel Medioevo si diffusero soprattutto versioni degli Elementi tradotte in latino dall'arabo, anche se non mancarono traduzioni eseguite sulla base di manoscritti greci. La più importante di queste versioni latine degli Elementi fu quella redatta da Campano da Novara nel 13° secolo, che avrebbe dominato la scena fino a metà del Cinquecento quando furono eseguite nuove traduzioni basate su manoscritti greci.
Con l'avvento della stampa, Euclide divenne un best seller. La prima edizione della versione di Campano è del 1484; ma già nella prima metà del Cinquecento fu prodotto un numero impressionante di edizioni degli Elementi, sia in latino sia in molte lingue europee e perfino in cinese. I rifacimenti, le traduzioni, le edizioni commentate eseguite fino a buona parte del Seicento diventarono innumerevoli.
Lo straordinario successo riscosso da Euclide non riflette solo la crescita impetuosa delle scienze matematiche nel corso del 16° e soprattutto del 17° secolo. La geometria di Euclide in quest'epoca fu anche un modello di conoscenza. Ci si interrogò su come fosse possibile dedurre un edificio così ricco e bello di verità a partire da pochi principi e postulati. Filosofi come Spinoza, vissuto in Olanda nel Seicento, adottarono il linguaggio formale della geometria e cercarono di introdurre il metodo matematico anche in filosofia. La concezione dello spazio che emerse dalla geometria di Euclide fu alla base del sistema del mondo di Newton e della filosofia di Kant.
Sarà solo nell'Ottocento e all'inizio del Novecento, con l'emergere delle geometrie non euclidee e con lo svilupparsi di rami della matematica e della fisica completamente nuovi (come l'analisi complessa, l'algebra astratta, la teoria della relatività e la meccanica quantistica), che questa immagine di Euclide e della conoscenza matematica come conoscenza-modello comincerà a cambiare profondamente.
La scoperta di geometrie diverse da quella euclidea portò i matematici a interrogarsi sul ruolo delle definizioni e degli assiomi, producendo nuove concezioni e programmi di ricerca. In particolare il matematico tedesco David Hilbert propose una nuova sistemazione della geometria euclidea (quella che studiamo a scuola) in cui metteva in evidenza il ruolo puramente formale dei concetti geometrici: ciò che conta sono solo le proprietà astratte che si possono dedurre dai postulati.
Tuttavia, anche se dai tempi dei Greci ai nostri giorni i concetti di dimostrazione, di verità e di teoria sono molto cambiati, non si può dimenticare che la nostra matematica è figlia di quella che i Greci inventarono e che Euclide espose in modo rigoroso più di duemila anni fa.
Il più famoso dei postulati introdotti da Euclide è il quinto, che (in termini moderni) può essere così formulato: "Per un punto esterno a una retta passa una e una sola parallela alla retta data". Già dai tempi antichi molti matematici ritenevano che questo non fosse effettivamente un postulato e che si potesse invece dimostrare a partire dagli altri quattro. La storia dei tentativi di dimostrazione del quinto postulato attraversa la matematica araba e quelle del Rinascimento e dell'età moderna. È una storia estremamente affascinante perché ha condotto nell'Ottocento alla nascita delle geometrie non euclidee. In queste geometrie si assume o che per un punto esterno a una retta passa un numero finito di parallele (geometria iperbolica) o che per un punto esterno non passa nessuna parallela alla retta assegnata (geometria ellittica).
La geometria iperbolica nacque nella prima metà del 19° secolo a opera dell'ungherese János Bolyai e del russo Nicolai Ivanovič Lobačevskij; quella ellittica fu sviluppata qualche tempo dopo, principalmente dal tedesco Bernhard Riemann. L'introduzione di questi postulati alternativi porta a geometrie diverse, nelle quali i risultati della tradizionale geometria euclidea non sono più validi. Per esempio, nella geometria iperbolica la somma degli angoli interni di un triangolo è minore di 180°, mentre nella geometria ellittica è maggiore.