India
«India is the cradle of the human race, the birthplace of human speech, the mother of history, the grandmother of legend, and the great grand mother of tradition»
(Mark Twain)
La nazione della conoscenza
di
10 febbraio
Il premier Romano Prodi guida una delegazione di politici e imprenditori in India, paese che, con oltre un miliardo di abitanti e una crescita economica prevista per il 2007 pari al 9,2%, è importante interlocutore di imprese e governi occidentali. Nel corso della missione vengono firmati 11 accordi di cooperazione tra i maggiori gruppi dei due paesi, in settori che spaziano dalle auto alle moto, dai veicoli industriali a quelli agricoli, dall’esplorazione mineraria all’elettronica.
La ‘visione paese’ dell’India
A cavallo fra il 5° e il 6°secolo d.C., quando gli scambi commerciali tra l’antica Roma e l’India erano già stabili da più di 500 anni, l’astronomo indiano Aryabhatta dimostrò l’importanza dello zero nelle equazioni algebriche e in altre operazioni matematiche. Non immaginava di mettere così le basi, dall’abbinamento di questo numero con l’altra cifra binaria, della rivoluzione digitale e dell’attuale sviluppo dell’ICT (Information and Communication Technology) nel suo paese. Aryabhatta, senza saperlo, aveva scritto nel passato la storia del futuro, cioè, dell’India attuale. Dal 1991 l’India, con l’avvio della liberalizzazione della sua economia a opera di due protagonisti del governo di allora, il primo ministro Narasimha Rao e il ministro delle Finanze Manmohan Singh (oggi primo ministro in carica), sta scrivendo il suo successo nel presente e anche nel futuro, quale paese leader emergente della conoscenza. Questo grazie agli ingenti investimenti effettuati nell’istruzione, nella formazione superiore, nell’alta ricerca di base e applicata, e nello sviluppo dell’industria elettronica, informatica e del software nonché del massiccio uso avanzato delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
L’India è ora la quarta potenza economica del mondo. Nell’ultimo quadrimestre 2006 la crescita è stata del 9,2%, mentre lo Stato del Gujarat (il secondo più importante dell’Unione dopo il Maharashtra) ha raggiunto, nello stesso anno, il 13%. Le previsioni statistiche dicono che l’economia indiana potrebbe crescere mediamente a un tasso almeno del 6% per i prossimi 15 anni e potrebbe divenire la terza del mondo, dopo Cina e Stati Uniti, nel 2030 (Goldman Sachs, Banca Mondiale e FMI; secondo l’ufficio studi di Deutsche Bank, entro il 2020).
Sin dal 2000 l’India, da vera nuova potenza mondiale, ha avuto una nitida ‘visione paese’ proiettata al 2020, che la planning commission del governo ha spiegato in un libro di 970 pagine, redatto dalle migliori menti istituzionali e imprenditoriali dell’Unione (India vision 2020, 2002). Nel campo dell’ICT l’India è ormai da anni ai primi posti nel mondo con primati di certificazione e di specializzazione che la Banca Mondiale ha illustrato, nel giugno 2005, nel libro India and the knowledge economy, presentato in diffusione mondiale in Webcast TV. Su questo tema peraltro la stessa planning commission già nel 2001 aveva pubblicato il rapporto India as knowledge superpower. Strategy for transformation, mentre lo scienziato A.P.J. Abdul Kalam, presidente dell’Unione Indiana dal 2002 al 2007, ha indicato il preciso disegno della nazione nei confronti dell’economia della conoscenza in A vision for the new millennium (2002).
Ricchezza in crescita
Nell’era della globalizzazione, l’India non si è chiusa in difesa come aveva fatto negli anni Ottanta del 20° secolo. Da più di 15 anni il suo mercato domestico è diventato un vasto mercato di consumo, che si sta aprendo sempre più velocemente. Vi sono circa 45 milioni di super ricchi, con un alto reddito pro capite di tipo americano-europeo, seguiti da una classe media che si configura come una ‘piramide’ di circa 300 milioni di persone nell’ambito della quale ogni anno sono sospinti verso il vertice circa 12 milioni di cittadini ‘affluenti’. Essi risultano avere un sempre maggiore potere di acquisto, come dimostra la dinamica crescita delle vendite di beni di lusso e di consumo, durevoli e semidurevoli, nonché la tumultuosa concessione di mutui per case di lusso e per ‘prima casa’. Alla base della piramide, il reddito medio dei cittadini è simile a quello del contesto euro-afromediterraneo (Cipro, Malta, Egitto, Tunisia ecc.). Circa 600 milioni di abitanti sono poi rappresentati dal variegato mondo rurale degli oltre 588.000 villaggi, in genere non poverissimi come in Cina, mentre 245 milioni sono gli indiani meno abbienti residenti nelle campagne più povere e negli slum dei grandi centri urbani. La diaspora indiana nel mondo è rappresentata da 20 milioni di persone, stabiliti in particolare negli Stati Uniti, in Canada, Regno Unito, Australia, Nuova Zelanda, Germania, Olanda, Francia, Svizzera e Russia. Tornando in patria, i facoltosi uomini d’affari gonfiano la schiera dei più ricchi del paese, riportando in patria capitali d’investimento e risparmi sempre più ingenti, spesso poi impiegati nel compartimento immobiliare o investiti in nuove iniziative imprenditoriali locali nel settore manifatturiero o dei servizi, nonché sotto forma di venture capital negli start-ups in campo ICT.
In crescita vertiginosa, imprevedibile fino a pochi anni fa, sono anche gli investimenti delle aziende indiane private e parapubbliche all’estero. Nel solo 2006, le acquisizioni o le fusioni di società indiane sono ammontate a oltre 20 miliardi di dollari USA, la maggior parte dei quali utilizzata per acquisire o avere partecipazioni di maggioranza in ben 307 società internazionali o multinazionali. Si prevede che alla fine del 2007 gli investimenti esteri indiani per fusioni e acquisizioni (mergers & acquisitions) non saranno inferiori alla cifra del 2006. La ricchezza scaturisce anche dall’abitudine imprenditoriale di quotarsi in borsa, che risale ai tempi della regina Vittoria. Il BSE (Bombay Stock Exchange), istituito nel 1878, fu la prima borsa in Asia: nacque quattro giorni prima di quella di Tokyo. Ora è attivo un sistema borsistico telematico (15° al mondo per capitalizzazione), cui fanno capo 23 borse nazionali con 9918 titoli quotati, molti di più di quelli quotati al NYSE (New York Stock Exchange), anche se il NYSE vanta una capitalizzazione molto superiore. Il BSE e il NSE (National Stock Exchange) sono i due circuiti nazionali indiani più importanti, rispettivamente al 2° e 4° posto al mondo per numero di transazioni quotidiane. Il 5% del BSE è stato acquistato dalla Deutsche Borse, mentre il 5% del NSE è stato acquistato dal NYSE, segno di quanto l’India sia diventata attraente anche per i mercati finanziari, e in particolare borsistici, internazionali. Fra gli altri investitori istituzionali figura la banca d’affari americana Goldman Sachs.
Protagonista mondiale della conoscenza
L’India si trova in una posizione unica che le consente di cogliere straordinari vantaggi competitivi, ma anche di poter fruire, nel lungo termine, delle migliori opportunità di un’economia diffusamente fondata sulla conoscenza. Capovolgendo radicalmente e velocemente una larga parte degli stereotipi del passato, sta diventando protagonista della knowledge economy.
Innanzitutto è da sottolineare il forte vantaggio in termini demografici. La Banca Mondiale prevede che nel 2050 la popolazione indiana supererà quella cinese, ma rispetto a questa conserverà una forte prevalenza percentuale della popolazione giovanile: attualmente il 54% dei 1100 milioni di abitanti è composto da persone al di sotto dei 25 anni di età. Il paese dispone poi, già adesso, di una consolidata infrastruttura scientifica e tecnica dell’istruzione superiore, in via di ulteriore potenziamento con il Piano di sviluppo quinquennale 2007-13. Un altro aspetto positivo è rappresentato dall’ampia disponibilità di manodopera specializzata anglofona. Le università già esistenti sono oltre 350, 1500 gli istituti primari di ricerca e più di 10.000 gli istituti di istruzione superiore, che abilitano ogni anno 415.000 ingegneri e 300.000 laureati specializzati in altre discipline. Inoltre già operano più di 1200 business schools specializzate in varie discipline gestionali, che coprono tutti gli spettri delle attività organizzative aziendali con corsi di laurea e di postlaurea. Ogni anno si registra un incremento di 5000 dottorati di ricerca e di 2100 altre tipologie di laurea. Tutti questi laureati parlano e pensano in inglese, con evidente vantaggio per l’imprenditoria europea in generale e anglosassone in particolare. Ma gli indiani, soprattutto, rappresentano un grande serbatoio di capitale intellettuale e di talenti umani, sempre più orgogliosi di essere al servizio dello sviluppo del proprio paese piuttosto che desiderosi di espatriare all’estero. L’impegno indiano nell’economia della conoscenza è ribadito dalla decisione di far nascere altre 1500 università entro il 2015, deliberata il 12 gennaio 2007 da Manmohan Singh, su proposta della knowledge commission. Il 15% di tali università, cioè 225, entrerà in funzione entro il prossimo triennio e nello stesso arco di tempo deve essere reso operativo il modello di 10 università nazionali (centri accademici di eccellenza nazionale) rispetto alle 15 previste.
Il quadro dell’alta educazione indiana contempla inoltre 6 IIT (Indian Institutes of Technology), 5 IIIT (Indian Institutes of Information Technologies), 6 IIM (Indian Institutes of Management), 17 RCE (Regional Engineering Colleges), 17.700 undergraduate colleges (che raccolgono l’85% degli studenti universitari). Gli IIT operano nel campo delle tecnologie per le comunicazioni e le informazioni. Negli IIM è possibile frequentare i corsi MBA (Master in Business Administration), cui sono collegati ben 1265 engineering colleges e 1034 istituti, presso i quali è conseguibile un MCA (Master of Computer Application). Degli undergraduate colleges, 200 sono autonomi, 17.500 sono affiliati o parte integrante di 131 università. La media è di 100 college affiliati, ma alcune università ne dichiarano più di 400. In questo contesto non è un caso se l’IISc (Indian Institute of Science) di Bengaluru (già Bangalore) diventerà un’università indiana di eccellenza mondiale nel settore scientifico per le collaborazioni internazionali. A partire dalla legge finanziaria indiana del 2005-06 sono stati allocati fondi per 3 miliardi di rupie necessari al raggiungimento di tale obiettivo a breve termine. Né è un caso se l’India sta creando, accanto ai summenzionati IIIT, un Institute of computer software professionals of India allo scopo di raggiungere senza affanno il target di più di un milione di nuovi professionisti del software entro il 2008. Nell’economia indiana della conoscenza il ruolo guida è stato assunto da oltre 10 anni dalle tecnologie dell’informazione, che costituiscono il volano dell’economia moderna dell’intera Unione Indiana con il forte sviluppo di software, hardware e periferiche, dell’informatica e dei servizi connessi, delle telecomunicazioni fisse e mobili, della telematica e dei servizi a valore aggiunto in ambiente Internet e non. Questa ampia area dell’information technology ha influenzato e correlato nella Ricerca & Sviluppo altri campi innovativi della collaborazione aziendale e istituzionale: biotecnologie; farmaceutica; scienza e tecnologia; innovazione e automazione industriale; energia nucleare per applicazioni agricole, mediche, biotecnologiche, elettroniche e metallurgiche; satelliti di rilevamento, geocartografici, di trasporto in orbita e di comunicazione.
Negli ultimi anni più di 100 società multinazionali hanno stabilito centri di R&S in India, effettuando un investimento unitario medio di oltre 1 miliardo di dollari USA. A Bengaluru, la General Electric ha aperto il più grande centro tecnologico al di fuori del territorio statunitense. Altrettanto ha già fatto la Microsoft nello Stato dell’Andhra Pradesh e si sta attrezzando a fare la IBM statunitense in India, utilizzando decine di migliaia di addetti indiani in outsourcing. Tra le altre società che hanno centri di R&S in India si annoverano Bell Labs, Cummins, DuPont, Daimler Chrysler, Eli Lilly, General Motors, Hewlett-Packard, Intel, Honeywell, Qualcomm, Whirlpool, l’italo-francese STM electronics.
Dunque ormai non soltanto Bengaluru, per citare l’esempio più tradizionale, è il centro privilegiato per gli insediamenti di ricerca e per l’offshoring di piccole, medie e grandi imprese americane, europee e anche asiatiche. Queste si sono già insediate e si moltiplicano con una velocità impressionante in circa la metà dei 28 Stati indiani, contribuendo anche a trainare tutti i campi dei settori immobiliari tradizionali e innovativi, grazie alla moltiplicazione esponenziale di centinaia di SEZ (Special Economic Zones), parchi industriali, parchi tecnologici, parchi per lo sviluppo del software e dell’informatica, parchi per le biotecnologie e le nanotecnologie, parchi e centri spaziali. Analogamente succede per intere città (per esempio Knowledge City, di 800 ettari di superficie, progettata a Gandhinagar nel Gujarat) e corridoi o dorsali a banda larga di telecomunicazioni e di servizi telematici a valore aggiunto, afferenti alle materie più avanzate dell’economia della conoscenza.
Per questi motivi, secondo un indice dello sviluppo del commercio globale redatto da una conosciuta agenzia di consulenza americana, l’India figura come seconda destinazione più appetibile nel mondo tra tutti i competitori globali in via di sviluppo ed emergenti. Hanno rilievo soprattutto i rapporti tra India e Stati Uniti, che peraltro erano prevalenti nel campo tecnologico anche quando l’India era nella sfera di interessi privilegiati con l’URSS. Le relazioni sono definitivamente divenute primarie nel luglio 2005, quando George W. Bush e Manmohan Singh hanno firmato un’alleanza strategica in tema di trasferimento di tecnologie per l’energia nucleare a uso civile a favore dell’India, ratificata dai parlamenti dei due Stati dopo circa due anni. È sintomatico il fatto che nel febbraio 2005, per la prima volta nella loro storia, Senato e Camera degli Stati Uniti abbiano ratificato un ‘solenne encomio scritto’, destinato alla nazione della Unione Indiana, in riconoscimento del contribuito fornito dagli «operatori indiani della conoscenza» alla grandezza scientifica e tecnologica degli Stati Uniti d’America. Si pensi che nella sola Silicon Valley californiana lavorano oltre 150.000 tecnologi, informatici e sviluppatori di software indiani e che il 75% dei prodotti Microsoft è sviluppato da indiani residenti negli Stati Uniti o in India, dove operano i più grandi centri di ricerca della stessa Microsoft, di Hewlett-Packard, CISCO e tante altre multinazionali. Oltre i due terzi delle prime 500 società multinazionali al mondo censite dalla rivista Fortune fruiscono di servizi in outsourcing erogati da società indiane con sede in India o con succursali o filiali negli Stati Uniti.
Progetti internazionali
La competitività e l’innovazione sui mercati nazionali e internazionali sono trainate dall’uso intensivo delle tecnologie delle informazioni e delle comunicazioni, dalla valorizzazione e protezione delle proprietà intellettuali e industriali, che proiettano i beni immateriali o ‘intangibili’ a fattori di importanza strategica per le imprese, per i mercati e per l’economia. Nella gamma di tali fattori sono compresi gli stessi problemi correlati alla competitività tra sistemi di paesi, sia industrializzati sia emergenti. In questo campo, a New Delhi l’8 febbraio 2007, nel corso di una conferenza ministeriale India-Unione Europea sulla scienza, il presidente dell’Unione Indiana ha ufficializzato una serie di progetti con l’UE, con l’Unione Africana e con la Russia. Già nel 2004, in occasione di una sua visita ufficiale in Africa, A.P.J. Abdul Kalam, inaugurando la sessione del parlamento dell’Unione Africana, aveva proposto di dare vita a una rete panafricana per fornire connessione elettronica a tutti i 53 paesi del continente. L’idea era usare le competenze dell’India per assistere questi paesi nel campo dell’information technology, provvedendo alla fornitura di almeno un hub in ciascuna nazione, attraverso cui erogare vari servizi elettronici, come teleducazione a distanza, telemedicina ed e-governance. Il progetto prevede il Panafrican Network, con il collegamento della rete terrestre tra l’India e l’Africa tramite una rete internazionale sottomarina di cavi in fibra ottica, e l’African Satellite Network. Dalla prima metà del 2007 sono connessi 20 paesi, il resto sarà reso operativo all’inizio del 2008 per un costo complessivo di 100 milioni di dollari USA.
Con la Russia, invece, l’India ha stilato il progetto BraMos, già operativo sotto forma di una joint venture internazionale che ha reso possibile la creazione congiunta di un sistema missilistico per le Forze armate indiane con la realizzazione, grazie alle competenze tecnologiche comuni, di un missile di crociera supersonica lanciabile da qualsiasi piattaforma terrestre, marina o aerea e idoneo a produrre un impatto finale altamente letale. In uso nell’Indian Navy, il missile ha già un vasto mercato mondiale di riferimento.
Sono state queste esperienze di vasta cooperazione internazionale a convincere il presidente dell’Unione Indiana A.P.J. Abdul Kalam a varare una World knowledge platform per mettere insieme le competenze di molte nazioni nel campo della scienza e della tecnologia finalizzandole allo sviluppo di sistemi unici per applicazioni globali, con costi moderati di produzione e fruttuosa commercializzazione sui mercati internazionali dei prodotti. La World knowledge platform intraprenderà varie missioni, in diverse aree, come energia, acqua, salute, agricoltura e trasformazione alimentare, prodotti della conoscenza, sistemi di trasporto, habitat, prevenzione e gestione dei disastri, capacity building. Il progetto offre una opportunità unica per la cooperazione fra India e Unione Europea. Il presidente indiano, infatti, ha invitato l’UE a collaborare nella messa a punto di un centro virtuale per definire la partecipazione dei paesi che collaborano alle prime 25 missioni. Il fine è esprimere risorse umane globalmente competitive, parte di un Global human resource cadre funzionale alle necessità dell’India e dell’Europa nel 21° secolo.
India e Italia
Collaborare tecnicamente e tecnologicamente in tutte le merceologie tradizionali e soprattutto nelle aree tecnologiche di frontiera afferenti alla economia della conoscenza, nonché investire in India, significa approfittare di un paese dalle grandi opportunità, che non richiede necessariamente capitali di investimento ma offre la condivisione del suo mercato interno al know-how, alle tecnologie e collaborazioni tecniche straniere per raggiungere un condiviso e armonico sviluppo sui mercati esteri.
Il sistema Italia ha iniziato a capire e intercettare il decollo spettacolare dell’economia indiana dal 2005 e si è trovato più arretrato rispetto ai suoi principali concorrenti. Tuttavia, i settori tradizionali manifatturieri e i nuovi vasti campi dell’economia della conoscenza rappresentano una serie di occasioni propizie per recuperare i ritardi del passato. Da parte dei due governi è stata ufficialmente espressa la volontà di raddoppiare l’interscambio bilaterale portandolo a 10 miliardi di euro entro il 2010.
L’evoluzione positiva dei rapporti politici, economici, commerciali e tecnologici italo-indiani, fino a farli diventare relazioni di ‘partenariato strategico’, pose le basi del quinto vertice India-Unione Europea, tenuto nel novembre 2004 all’Aia. In quell’occasione lo Stato italiano incluse l’India tra i ‘paesi strategici’ prioritari per il triennio 2005-07. La prima iniziativa culturale ufficiale, per evidenziare la storia dei rapporti commerciali fra i due paesi, fu la mostra India e Roma antica: export-import del passato, presente, futuro al Museo della via Ostiense a Roma, curata dall’ambasciata dell’India in Italia, dal Ministero per le attività produttive, dall’Indo Italian Institute for Trade and Technology e dalla FIEI (Federazione Italiana Esportatori Importatori). Nel febbraio 2005 il presidente Carlo Azeglio Ciampi compì una determinante visita di Stato in India, ricambiata in giugno dal ministro degli Esteri indiano Shri Natwar Singh, prima di proseguire per Bruxelles per la ratifica dell’accordo India-Unione Europea. In quell’occasione il ministro, intervenendo al seminario Europa-India: collaborazione nell’era della globalizzazione presso la Camera dei deputati, invitò l’Italia a essere il gateway indiano per l’Unione Europea nel campo dell’economia della conoscenza.
Dando seguito a queste iniziative politiche, nel novembre 2005 il Gruppo Banco Popolare di Verona e Novara firmò un accordo di collaborazione con lo Stato del Gujarat e un altro con il Bombay Stock Exchange. Nel 2006, il comune di Legnago, 35 km a sud di Verona, su invito di InvestiAVerona, ha accettato di ospitare l’Indo Italian Knowledge Management Centre e l’Indo Italian Training Centre for International Markets, che saranno realizzati entro il 2009 e ai quali si affiancherà l’Euro Indian Knowledge Management Centre. Avrà così vita una collaborazione nell’ambito di quasi tutte le materie e i settori più avanzati dell’economia della conoscenza e della gestione della conoscenza stessa nel vasto campo aziendale, istituzionale, formativo, di servizi e di reciproca cooperazione, di ricerca e collaborazione scientifica, tecnica e tecnologica.
Sempre nel corso del 2005 la Confindustria e la Confederation of Indian industry hanno promosso due missioni in India e due in Italia nel settore infrastrutture. Parallelamente tra Confindustria e Federation of Indian chambers of commerce and industry è stata sviluppata un’intensa collaborazione nel campo della moda e del design.
Un altro passaggio importante è stato, nel 2006, il sesto vertice Unione Europea - India a Helsinki, dove sono stati formalmente inaugurati i negoziati per la creazione di un’area di libero scambio tra Unione Europea e India; il presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, è stato chiamato a intervenire in rappresentanza dell’intera industria europea. Nel novembre 2006, una delegazione di oltre 100 imprenditori, dirigenti di banche e istituzioni indiani fu guidata in Italia dal ministro del Commercio e dell’industria Shri Kamal Nath, allo scopo di conoscere i punti di forza del tessuto industriale italiano: Parma per la filiera agroindustriale, Torino per la componentistica auto, Vicenza per il settore orafo e la meccanica, Firenze e Prato per l’industria conciaria e per il settore tessile. In tale occasione il Ministero italiano del Commercio internazionale ha indicato ufficialmente l’India come paese focus per il 2007. Il 16 febbraio 2007 la Videocon, colosso indiano dell’elettronica, ha firmato un contratto con la Regione Campania per insediare uno stabilimento per la produzione di schermi a cristalli liquidi a Rocca d’Evandro, in provincia di Caserta, con un investimento di circa 1,2 miliardi di euro. Lo stabilimento, che sarà operativo nel 2009, darà lavoro a 1100 dipendenti, di cui un centinaio impegnati nell’ambito della Ricerca & Sviluppo.
Nell’ambito del programma speciale di promozione del made in Italy in India, attraverso la collaborazione industriale e commerciale nei settori della meccanica, beni strumentali e alta tecnologia, dall’11 al 15 febbraio 2007 si è svolta la visita di Stato in India del primo ministro Romano Prodi, con una delegazione di oltre 450 istituzioni, imprenditori e banche, la più grande mai arrivata in India. Andando oltre i maggiori poli economici, New Delhi e Mumbai, sono state fatte tappe anche a Kolkata (Calcutta) e Bengaluru. A New Delhi si è tenuta la prima riunione dell’Indo-Italian CEO Forum, copresieduto da Cordero di Montezemolo e da Ratan Tata, presidente dell’omonimo gruppo automobilistico. Il Forum ha coinvolto una ventina di grandi imprenditori e amministratori delegati delle più importanti società dei due paesi, individuando priorità e definendo linee di azione ad ampio raggio con l’obiettivo di creare una vera e propria alleanza economica fra Italia e India. Come conclusione, appare opportuno riportare i risultati di una ricerca condotta dall’Osservatorio Asia di Bologna sulla presenza delle aziende italiane in India, dalla quale emerge come il ritardo italiano, non solo negli investimenti ma anche nelle esportazioni, sembra stia per essere colmato. Il numero delle imprese italiane registrate in India è di 313 unità, di cui 132 coinvolte in investimenti produttivi e 181 in investimenti nei servizi. Le fabbriche rappresentano il 42%, concentrate nei settori meccanico, tessile e automobilistico, quelli più tipici e conosciuti del made in Italy. Le posizioni dell’elettronica e dell’information technology sono marginali: 7% del totale. Il 77% delle presenze in India deriva da imprese provenienti dall’Italia settentrionale, con un maggior peso del Nord-Est rispetto al Nord-Ovest. Il 38% delle aziende manifatturiere italiane che hanno investito in India è di dimensioni medio-piccole: un segnale di dinamismo che l’inerzia degli anni precedenti non lasciava immaginare. Le presenze italiane sono concentrate negli Stati indiani che gravitano intorno a Mumbai, New Delhi, Chennai (Madras), Bengaluru. Un’analisi dei settori tecnologici dove può essere promossa o rafforzata la collaborazione tra Italia e India non può non tener conto dei papers noti come Technology vision for India up to 2020, prodotti, su incarico del governo indiano, dal TIFAC (Technology Information, Forecasting and Assessment Council), un gruppo di esperti impegnato in valutazioni e previsioni a lungo termine sulle aree ritenute strategiche per l’economia indiana e il futuro benessere delle popolazioni nelle aree urbane e in quelle rurali che fanno capo agli oltre 588.000 villaggi. In queste aree potrebbero orientarsi con successo gli sforzi italiani per il futuro rafforzamento dei legami nel settore della R&S con l’India. In particolare settori di forza della R&S italiana che possono essere valorizzati in India sono: fisica delle alte energie; celle a combustibile; nanotecnologie; materiali avanzati; genomica funzionale; neuroscienze; applicazione delle cellule staminali; applicazioni all’agricoltura. Uno sforzo particolare dovrà essere dedicato alla creazione di laboratori congiunti di ricerca, soprattutto nei settori nei quali in India esistono delle competenze la cui eccellenza è da tempo riconosciuta internazionalmente, come l’ICT, le biotecnologie, lo spazio. Le strutture di ricerca sono caratterizzate da significative condivisioni di risorse umane e strumentali e permettono pertanto di creare rapporti di cooperazione più efficaci, con la possibilità di ottenere risultati comuni ad alto valore aggiunto.
Storia dell’Unione Indiana
L’indipendenza
Il 15 agosto 1947 lord Mountbatten, ultimo viceré inglese, trasferendo i poteri alle autorità dei nuovi Stati dell’Unione Indiana e del Pakistan, pose fine, dopo circa due secoli, al dominio britannico dell’India. Protagonista della lotta per l’indipendenza era stato l’Indian National Congress (INC), partito fondato alla fine dell’Ottocento con l’obiettivo di estendere le istituzioni rappresentative e rivendicare l’autonomia interna delle province indiane. Nel periodo fra le due guerre mondiali, sotto la guida di Mohandas Karamchand Gandhi (detto Mahatma, «grande anima») e adottando la sua politica di non violenza e di disobbedienza civile, l’INC si pose alla testa di un movimento di protesta contro la limitatezza delle riforme concesse dall’Inghilterra e la lentezza con cui venivano portate avanti. Dopo il 1939, a causa del risentimento contro gli Inglesi che avevano impegnato l’India nella guerra a loro fianco senza consultare i governi autonomi provinciali, la lotta per l’indipendenza si fece più serrata. Si era intanto approfondito il divario fra indù e musulmani, il cui senso di identità e desiderio di autonomia avevano trovato espressione nella proposta avanzata nel 1930 dal poeta Muhammad Iqbal di formare nell’India nord-occidentale – l’unica regione a maggioranza musulmana – un’unità politica separata, per la quale fu coniato il nome di Pakistan («terra dei puri»). Il clima di dissidio creatosi fra musulmani e indù culminò nel 1947 in una serie di tumulti in cui persero la vita migliaia di persone da ambo le parti. Le rivalità etniche e religiose resero inevitabile quella scissione cui Gandhi si era opposto in nome degli ideali unitari che avevano ispirato la sua visione dell’indipendenza. Fissati i confini tra i due Stati, dai sette agli otto milioni di indiani abbandonarono le proprie case per trasferirsi in Pakistan e altrettanti compirono il viaggio inverso; molti però, di entrambe le parti, non riuscirono a raggiungere la meta. L’Unione Indiana divenne una repubblica federale nel gennaio 1950 con l’entrata in vigore della Costituzione, approvata l’anno precedente da un’Assemblea eletta dalle vecchie legislature provinciali in cui l’INC godeva di una schiacciante maggioranza. Al governo centrale fu riservato il controllo esclusivo della difesa, delle ferrovie, dei porti, della valuta e della politica estera. In campo sociale la Costituzione intervenne con l’abolizione formale delle discriminazioni di casta, che tuttavia continuarono a sussistere di fatto anche nei decenni successivi. La riorganizzazione del sistema statale, già di per sé complessa, fu aggravata dai problemi derivati dalla separazione dal Pakistan. Un altro grave problema era rappresentato dalla posizione dei principi indiani, che l’Independence Act lasciava liberi di restare indipendenti o di aderire a uno dei due Stati. I più aderirono all’Unione, rinunciando ai loro poteri in cambio di un appannaggio e del mantenimento di titoli e onori, ma non mancarono casi di difficile soluzione, come quello del Kashmir, costituito da una popolazione a maggioranza musulmana, ma con un capo indù che aveva optato per l’Unione: i gravi disordini che ne conseguirono culminarono in un conflitto con il Pakistan risolto solo grazie all’intervento dell’ONU. Anche l’adozione di una lingua ufficiale, nell’affollata costellazione linguistica indiana, fu fonte di conflitti; fu adottato l’idoma hindi, lingua locale del Nord, già appoggiata da Gandhi, ma altre aree linguistiche, specie nel Sud, videro in questa scelta una minaccia ai propri interessi e la premessa di una condizione di inferiorità nell’amministrazione civile.
Nehru e i primi anni dell’Unione
Nel 1947 capo del governo divenne Javaharlal Nehru, che aveva diretto le trattative finali con l’Inghilterra per l’indipendenza dello Stato indiano. Proveniente da un’antica famiglia braminica, al ritorno in India dopo gli studi compiuti in Inghilterra, Nehru aveva aderito all’INC, del quale fu a varie riprese segretario e presidente e al cui interno guidava l’ala di sinistra di tendenza socialista, operando costantemente come stretto collaboratore di Gandhi. L’assassinio del Mahatma, avvenuto nel gennaio 1948 a opera di un estremista indù, contribuì a rafforzare il carisma di Nehru e il suo potere all’interno del partito nei confronti dell’ala destra, che aveva avversato la politica di Gandhi della non violenza e della conciliazione tra indù e musulmani. Sotto la guida di Nehru, il governo varò i primi programmi di riorganizzazione economica e sociale. Nel 1950 fu istituita una commissione per la programmazione (planning commission), che elaborò tre successivi piani quinquennali, volti allo sviluppo dell’agricoltura, al fine di ridurre la dipendenza dell’Unione dai rifornimenti stranieri, e a un progetto di industrializzazione su vasta scala, realizzato con aiuti tecnici e finanziari esteri. Sul piano internazionale, Nehru contribuì attivamente alla formazione del movimento dei paesi non allineati e tentò una difficile equidistanza fra i due blocchi, cui progettava di contrapporre una terza forza quale elemento di pace. La politica di coesistenza pacifica nei confronti della Cina fallì, invece, nel 1962 in seguito alla crisi scoppiata fra i due paesi a causa del problema della definizione dei confini himalayani. A Nehru, morto nel maggio 1964, successe come primo ministro Lal Bahadur Shastri, che in precedenza era stato più volte ministro. Shastri si trovò a dover fronteggiare una grave crisi con il Pakistan, iniziata con conflitti religiosi tra il 1962 e il 1963, e culminata con l’invasione indiana del Panjab nel settembre 1965. Nel gennaio 1966, il giorno prima di morire, Shastri fece in tempo a concludere con il presidente pakistano Ayub Khan, a Tashkent in Uzbekistan, l’accordo che poneva fine al conflitto.
Gli anni di Indira Gandhi
La morte improvvisa di Shastri aprì il problema della successione. Tra i candidati più autorevoli all’interno dell’INC era un veterano delle battaglie gandhiane, Morarji Desai, più volte ministro con Nehru. La maggioranza del gruppo parlamentare del partito si schierò invece a favore di Indira Ghandi, figlia di Nehru, presidente dell’INC e già ministro dell’Informazione con Shastri. Divenuta primo ministro grazie a un compromesso tra le ali di destra e di sinistra dell’INC, I. Gandhi si trovò presto a dover affrontare gravi problemi regionali, con risvolti violenti in Bengala, e l’insorgere di tumulti nelle campagne, dove i programmi di sviluppo non avevano alleviato la miseria delle fasce contadine più povere. Furono avviate riforme in campo agrario, scolastico, tributario e si mise mano alla nazionalizzazione delle grandi banche. Questo vasto programma di riforme sociali non mancò di suscitare resistenze e portò allo scontro con l’ala conservatrice dell’INC, che nel 1969, sotto la guida di Desai, si scisse dal partito. In campo internazionale la prosecuzione della tradizionale politica di non allineamento si accompagnò a un’intensificazione dei rapporti con l’URSS e a un rafforzamento del ruolo dell’India come potenza regionale. I difficili rapporti con il Pakistan furono ulteriormente compromessi dall’appoggio offerto dall’India, sostenuta diplomaticamente dall’URSS, al movimento di secessione del Bengala orientale dal Pakistan. Grazie all’aiuto militare indiano i secessionisti sconfissero le truppe pakistane e alla fine del 1971 nacque come Stato indipendente il Bangla Desh. Le relazioni fra India e Pakistan furono ristabilite solo nel 1976.
Verso la metà degli anni Settanta il peggioramento della situazione economica e sociale favorì una crescita dell’opposizione, cui I. Gandhi reagì con una serie di provvedimenti autoritari. Accusata di brogli elettorali per le elezioni del 1971, fu riconosciuta colpevole dall’alta corte di Allahabad e condannata all’interdizione dai pubblici uffici per sei anni. La risposta all’opposizione che, con largo consenso di opinione, chiedeva le sue dimissioni fu l’imposizione dello stato d’emergenza (1975-77): furono adottate severe misure di repressione, anche nei confronti delle spinte autonomistiche, e limitate le libertà democratiche; con una legge retroattiva inoltre I. Gandhi ottenne la cancellazione delle imputazioni a suo carico. Alle elezioni, posticipate al marzo 1977, l’INC subì la sua prima sconfitta, a opera di un nuovo partito, il Janata Dal, nato quello stesso anno dalla confluenza di forze eterogenee di opposizione e fondato da Desai, appena liberato dagli arresti seguiti alla proclamazione dello stato d’emergenza. Mentre Desai costituiva il nuovo governo, I. Ghandi fu riconosciuta colpevole di abuso di potere e incarcerata per alcuni giorni. Furono inquisiti anche numerosi esponenti della passata amministrazione, tra cui il figlio di I. Gandhi, Sanjay, promotore di un’impopolare campagna di sterilizzazione volontaria per il controllo demografico. Espulsa dall’INC, I. Gandhi rifondò il partito, nominandolo INC (I), dall’iniziale di Indira. Entrato in crisi il Janata Dal a causa delle sue divisioni interne, l’INC (I) vinse le elezioni del gennaio 1980. Ritornata al potere, I. Gandhi conseguì brillanti successi sul piano diplomatico, mentre i rapporti con l’URSS si improntavano a maggior cautela in seguito all’invasione sovietica dell’Afghanistan. All’interno gravi difficoltà furono causate dal rinfocolarsi di conflitti autonomistici e religiosi in Assam, Jammu e Kashmir, ma soprattutto in Panjab, ove i Sikh chiedevano la creazione di uno stato indipendente, il Khalistan. Il 6 giugno 1984 I. Gandhi ordinò l’intervento militare contro il tempio di Amritsar e altri 29 templi presidiati da Sikh armati: le vittime furono centinaia, fra cui i capi dell’Akali Dal, braccio politico dei Sikh, e J. Singh Bhindranwale, capo dei fondamentalisti. L’episodio fu seguito da gravi disordini, ammutinamenti di militari e dimissioni di deputati sikh dal Congresso. Il 31 ottobre 1984 I. Gandhi morì in un attentato di matrice sikh.
La difficile eredità di Rajiv
L’ascesa al potere della figlia di Nerhu non aveva modificato l’approccio statalista, ma lo aveva coniugato con la progressiva affermazione di un modello personalistico e autocratico, inteso a identificare il partito con la famiglia Gandhi. Diveniva tuttavia sempre più difficile far convivere le diverse anime presenti nell’INC (I) e reggere il compromesso tra le caste alte, quelle inferiori e le minoranze religiose su cui il partito stesso aveva fondato il suo radicamento sociale e costruito il suo successo. Alla morte di Indira la guida del partito e del governo fu assunta dal figlio Rajiv Gandhi, entrato in politica dopo la morte del fratello maggiore Sanjay (avvenuta in un incidente aereo nel 1980) e deciso a proseguire la politica che era stata della madre: di sviluppo industriale, con alcune misure di liberalizzazione economica, di non allineamento e di affermazione del ruolo regionale dell’India. Malgrado la forte maggioranza parlamentare ottenuta nelle elezioni del dicembre 1984, R. Gandhi, accompagnato all’inizio da grande favore popolare ma politicamente ancora inesperto, subì una progressiva perdita di consensi. L’opposizione, cresciuta e organizzata politicamente, andò sensibilmente riducendo i margini della maggioranza in molti Stati, nei quali si rafforzarono le tendenze autonomistiche, con lo strascico di disordini interni. Particolarmente gravi si dimostrarono i conflitti in Assam, Jammu e Kashmir, Bengala e Tamil Nadu, dove un’incessante guerriglia separatista era sostenuta da radicate motivazioni etniche. A tali e tanti conflitti il governo centrale rispose con gravi misure repressive, imponendo in numerosi Stati misure d’emergenza e assumendo il controllo diretto della loro amministrazione. R. Gandhi entrò in urto anche con l’apparato del partito e con la burocrazia statale per aver cercato di controllare entrambi tramite suoi consiglieri di fiducia. Sul piano sociale, il processo di privatizzazione e di liberalizzazione del mercato da lui avviato, anche su richiesta del Fondo monetario internazionale, tendeva a favorire la classe media, polo trainante di un’economia che avrebbe dovuto produrre in prospettiva anche il progresso delle classi più deboli. Tuttavia l’aumento dei prezzi seguito alla liberalizzazione provocò forti scontenti. Mentre i conflitti religiosi, fomentati da movimenti fondamentalisti di opposte confessioni, rendevano più acuto il turbamento sociale, gravi episodi di corruzione travolsero il governo. Alle elezioni del novembre 1989 l’INC (I) subì una secca sconfitta, la seconda della sua storia.
Gli anni Novanta
La fine degli anni Ottanta segnò una profonda svolta nella vita del paese, con una progressiva frammentazione della rappresentanza politica e il conseguente affermarsi di governi di coalizione. Mentre la credibilità dell’INC (I) come garante della laicità dello Stato accusava i contraccolpi indotti dall’esplodere di violenti conflitti tra le diverse comunità, dall’accentuarsi delle tendenze separatiste e dall’affacciarsi di gruppi terroristici, crebbe il seguito di partiti regionali e di formazioni con forti riferimenti etnici e religiosi, spesso portatori di visioni integraliste. In particolare, divenne uno dei protagonisti della scena politica il Bharatiya Janata Party (BJP), radicato negli Stati della fascia indù del Nord del paese, soprattutto nell’Uttar Pradesh, il più popoloso Stato dell’Unione, e fautore di un programma basato sull’affermazione della cultura indù e sulla rappresentanza di casta. Il sistema delle caste era minato dall’esercizio stesso della democrazia che, per sua natura, andava progressivamente aprendo spazi anche a settori di popolazione prima esclusi: in molte regioni giungevano al potere governi espressione delle caste basse, mentre le trasformazioni economiche di impronta liberista introducevano ulteriori mutamenti nella stratificazione sociale, conducendo le caste inferiori e i ‘fuori casta’ a reclamare nuove forme di partecipazione. La tendenza alla polarizzazione delle identità di casta emerse con evidenza, per esempio, in occasione della riforma (1990-92) del sistema delle quote, che prevedeva un innalzamento della quota riservata nel pubblico impiego alle caste inferiori rurali e che suscitò violente rimostranze da parte degli studenti, appartenenti in maggioranza alle caste medio-alte e alla borghesia urbana. Lo sfaldamento, per quanto lento e parziale, di una stratificazione sociale così complessa rappresentava ovviamente un veicolo di crisi e di squilibrio per tutto il sistema. Con le elezioni del novembre 1989 il governo passò al National front, coalizione eterogenea unita solo dall’opposizione al partito di Gandhi, formata dal Janata Dal, di tendenza socialdemocratica ed espressione delle caste inferiori, e da tre potenti partiti regionali, con l’appoggio esterno del BJP e dei due partiti comunisti. La coalizione, guidata da Vishwanath Pratap Singh, ministro nella precedente legislatura e poi passato dall’INC (I) al Janata Dal, già divisa in origine, si spaccò nel novembre 1990. La caduta di un effimero governo, guidato da Chandra Shektar, leader di una fazione scissionista del Janata Dal, con l’appoggio esterno dell’INC (I), rese necessaria la convocazione di elezioni anticipate nel giugno 1991. La campagna elettorale fu contrassegnata da nuove esplosioni di violenza, culminate il 21 maggio, quando R. Gandhi fu ucciso in un attentato terroristico. Le elezioni registrarono la sconfitta del Janata Dal e una crescita sia del BJP sia dell’INC (I), il cui nuovo leader Narasimha Rao formò un governo di minoranza. Il governo Rao si trovò a dover affrontare il riacutizzarsi dei conflitti etnici e religiosi già alla fine del 1992, quando ad Ayodhya, nello Stato dell’Uttar Pradesh, integralisti indù distrussero la moschea di Babur, al centro di aspre contese. Seguirono scontri che sconvolsero quasi tutto il paese, con più di 2000 morti, e riaccesero particolarismi etnici e religiosi anche diversi dal tradizionale conflitto fra indù e musulmani. Il governo, incerto e preoccupato di perdere consensi, reagì poi mettendo fuori legge la più antica organizzazione nazionalista indù, il Rashtriya Swayamsevak Sangh (RSS, «Corpo nazionale dei volontari»), e destituendo, con una misura molto discussa, alcune amministrazioni locali governate dal BJP. Diviso al suo interno, l’esecutivo non seppe però accompagnare le misure repressive con altre iniziative di più ampio respiro. Maggiore incisività l’amministrazione Rao dimostrò invece, oltre che in un’attiva politica estera, nella gestione dell’economia, dove la scelta liberalizzatrice, avviata fin dalle prime misure varate dall’esecutivo e che aveva di fatto smantellato il sistema centralizzato, produsse una regolare crescita del PIL, anche se accentuò molto le differenze regionali. Nonostante i successi riportati sul piano internazionale e i discreti risultati raggiunti nella politica economica, la popolarità del governo, coinvolto sempre più spesso in episodi di corruzione e percorso da sempre più forti contrasti interni, subì un forte declino, confermato dalla pesante sconfitta dell’INC (I) nelle elezioni regionali tenutesi nei principali Stati tra la fine del 1994 e l’inizio del 1995. Le elezioni politiche generali fissate per la primavera del 1996 furono precedute da una nuova ondata di accuse di corruzione, che investì sia l’esecutivo, nella persona del primo ministro, sia i principali esponenti dell’opposizione. Le consultazioni segnarono la sconfitta dell’INC (I), sempre più compromesso dagli scandali, dalla defezione di numerose personalità di rilievo e dalla crisi di alcune importanti federazioni locali, e registrarono l’affermazione di due forze politiche opposte: da un lato il National Front-Left Front, un’eterogenea coalizione comprendente partiti socialdemocratici come il Janata Dal, partiti comunisti, come quello al governo del Bengala occidentale, partiti regionali e altre forze minori; dall’altro il BJP in alleanza con altre piccole formazioni. Dopo un tentativo del BJP, il cui governo restò in carica solo 13 giorni, il mandato fu affidato a Haradanahalli Dodde Deve Gowda, emerso, dopo faticose consultazioni, come candidato primo ministro dell’United Front, nuova denominazione assunta dalla coalizione dei 13 partiti di centro-sinistra. Politico di statura regionale, non proveniente dalle caste superiori – fatto decisamente inusuale tra i leader nazionali – Deve Gowda diede vita a un esecutivo con l’appoggio esterno dell’INC (I). L’appoggio venne meno nei primi mesi del 1997 in seguito alla ridefinizione degli equilibri interni dell’INC (I), con le dimissioni di Rao dalla guida del partito e l’ingresso di Sonia Maino Gandhi, vedova di R. Gandhi. Dimessosi Deve Gowda, entrò in carica un governo di minoranza, formato dallo United Front e guidato da Inder Kumar Gujral, un anziano e stimato intellettuale e leader politico gradito all’INC (I), che continuò ad appoggiarlo fino a quando, alla fine 1997, Gujral si rifiutò di accogliere la richiesta di espellere dalla coalizione un partito coinvolto nell’inchiesta sulla morte di R. Gandhi per aver avuto contatti con le Tigri Tamil, l’organizzazione clandestina accusata del suo assassinio (nel gennaio 1998 alcuni militanti del gruppo furono giudicati colpevoli e condannati).
Nuovi equilibri
La discesa in campo della vedova di R. Gandhi aveva suscitato grande entusiasmo nell’INC (I). Nata in provincia di Vicenza, Sonia Maino aveva sposato Rajiv nel 1968 e nel 1983 aveva preso la cittadinanza indiana; all’indomani della morte del marito il suo ingresso in politica era stato caldeggiato da quanti auspicavano la continuazione di una tradizione dinastica che vedeva un membro della famiglia Nehru - Gandhi alla guida del Partito del Congresso. Il suo impegno a dare nuova vitalità a un partito in crisi di consensi non si tradusse tuttavia in successo elettorale nelle elezioni anticipate del febbraio-marzo 1998, in cui l’INC (I) mantenne sostanzialmente le sue posizioni. L’United Front uscì pesantemente sconfitto e confermò la sua crescita il BJP che, grazie all’adozione di un atteggiamento più aperto, aveva stretto una serie di alleanze, superando così la sua connotazione tipicamente regionale; particolarmente importante ai fini della formazione di una nuova maggioranza risultò l’intesa con l’Aiadmk, partito in ascesa nel Tamil Nadu. La guida del governo fu assunta da Atal Bihari Vajpayee, leader del BJP. Il nuovo primo ministro, parlamentare da molte legislature, attivo già durante la lotta di liberazione, pur considerato un moderato e pur avendo rappresentato nel corso della campagna elettorale il volto più pragmatico e meno ideologico del BJP, rimaneva uno dei più convinti assertori dell’importanza di un recupero della cultura indù sia come fattore di identità nazionale nei confronti delle tendenze occidentalizzanti, sia come riconoscimento della sua preminenza rispetto ad altre culture e ad altre religioni. Le scelte politiche e le dichiarazioni del governo apparvero fin dall’inizio connotate da forti accenti nazionalistici e da una politica estera dai toni aggressivi e declamatori, che ribadivano il ruolo dell’India come potenza regionale e miravano ad aumentare il consenso all’operato del governo. La tensione nell’area crebbe immediatamente e i rapporti con il Pakistan, da sempre conflittuali, peggiorarono ulteriormente fino a sfiorare la rottura, mentre il confronto militare in Kashmir subì nella primavera-estate 1999 una violenta accelerazione e i combattimenti si fecero più aspri. In un clima sempre più acceso, il governo riprese, dopo 24 anni, gli esperimenti nucleari con una serie di esplosioni sotterranee, suscitando un’ondata di rinnovato nazionalismo indù, ma provocando sia la condanna dell’opinione pubblica e delle diplomazie internazionali, sia la risposta, con altrettanti test nucleari, del Pakistan. Nell’aprile 1999, l’abbandono della coalizione da parte dell’Aiadmk portò alle dimissioni del governo e alla convocazione di nuove elezioni.
Svoltesi nel settembre-ottobre 1999, le consultazioni registrarono nuovamente la vittoria del BJP, alla testa di un’alleanza di numerosi partiti, e la sconfitta dell’INC (I), e portarono alla formazione di un nuovo governo di coalizione guidato ancora da Vajpayee. L’ispirazione nazionalista e induista della politica di Vajpayee uscì rafforzata, pur all’interno di una strategia di avvicinamento agli Stati Uniti, consolidatasi dopo gli attentati terroristici dell’11 settembre 2001, quando l’India entrò a far parte del fronte antiterrorismo guidato dagli stessi Stati Uniti. L’appartenenza allo stesso schieramento internazionale non attenuò la tensione con il Pakistan: in Kashmir ripresero gli scontri a fuoco tra i due eserciti schierati lungo la linea di confine e si registrò una recrudescenza di attentati terroristici, mentre per gli attacchi armati al Parlamento di New Delhi (dicembre 2001) e all’American Center di Kolkata (gennaio 2002), attribuiti a gruppi islamici, il governo indiano tornò ad accusare il Pakistan di finanziare il terrorismo. Nel marzo 2002 negli Stati occidentali e settentrionali riesplodeva il conflitto tra indù e musulmani, causando decine di morti soprattutto tra i secondi. Di fronte all’aggravarsi della situazione Vajpayee lanciò una campagna tesa a migliorare le relazioni con i musulmani e, nell’agosto 2003, si fece promotore di una nuova iniziativa di pace con il Pakistan, accolta con favore anche dai leader politici di Europa e Stati Uniti. Il 2003 fu segnato anche da una forte accelerazione della crescita economica indiana, rafforzando una tendenza già attiva a partire dai primi anni Novanta. Sotto la spinta delle riforme promosse dal governo Vajpayee, il PIL da allora è salito a ritmi da record, sono cresciuti i posti di lavoro, soprattutto per giovani specializzati, e si è intensificato lo sviluppo dell’industria informatica e di quella ad alto livello di tecnologia, mentre la modernizzazione delle grandi realtà urbane è diventata il simbolo più evidente di un paese in rapida trasformazione. L’accresciuta popolarità del governo, conseguenza dei buoni risultati ottenuti in diplomazia e nella politica economica, insieme con la ritrovata stabilità politica, nel gennaio 2004 indusse Vajpayee a sciogliere anticipatamente il Parlamento, nel tentativo di sfruttare la congiuntura favorevole per rafforzare il suo partito. Il consenso dei nuovi ceti medi urbani non fu però sufficiente a garantire la vittoria al BJP nelle elezioni che, tenutesi in maggio, attribuirono la maggioranza dei seggi a una coalizione di partiti di sinistra e regionali, la United Progressive Alliance, guidata dall’INC (I) di Sonia Gandhi, dietro cui si era andato raccogliendo il malcontento di milioni di lavoratori delle campagne e di operai delle città più piccole rimasti ai margini dell’impetuoso sviluppo delle altre aree del paese.
Manmohan Singh, primo esponente della comunità sikh a raggiungere i vertici dello Stato federale, ha assunto la carica dopo la rinuncia di Sonia Gandhi, pur legittimata a candidarsi in qualità di presidente del gruppo parlamentare dell’INC (I). Economista, con una notevole esperienza acquisita nella direzione della Reserve Bank of India e nei suoi incarichi presso il Fondo monetario internazionale, dal 1991 al 1996 Singh è stato ministro delle Finanze nel governo Rao, della cui politica di privatizzazioni e liberalizzazioni è stato il principale ispiratore e realizzatore.
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