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Bandiera Posizione Amministrazione
Ex colonia inglese, indipendente dal 1947, a livello mondiale l’India rappresenta il secondo paese più popoloso – dietro la Cina – e la dodicesima economia, ed è considerata una potenza emergente.
Situata nell’Asia meridionale, l’India si trova al centro di una regione caratterizzata da relativa frammentazione e conflittualità, in parte eredità del periodo coloniale. Il principale quadro di cooperazione nell’area è l’Associazione dell’Asia meridionale per la cooperazione regionale (Saarc), composta dall’India, che ne è attivo promotore, e da Afghanistan, Bangladesh, Bhutan, Maldive, Nepal, Pakistan e Sri Lanka. Tali paesi temono l’eccessiva influenza dell’India ma, d’altro lato, essa rappresenta anche una garanzia per la loro sicurezza. Il rapporto con il Pakistan è peculiare: sebbene i due paesi siano tradizionalmente rivali, nel 2004 è iniziato un dialogo che sembrava potesse portare al raggiungimento di sviluppi significativi, salvo poi subire un arresto anche a seguito degli attacchi terroristici a Mumbai del 2008. Al centro della rivalità indo-pakistana, da oltre sessant’anni, è la contesa relativa alla regione del Kashmir. A questa si è poi aggiunto il legame del Pakistan con i talebani in Afghanistan, fonte di preoccupazione per l’India, che cerca di aumentare la propria influenza nel paese tanto al fine di bilanciare l’influenza pakistana nella regione, quanto per sviluppare i progetti di oleodotti che dovrebbero rispondere alla crescente domanda energetica indiana.
Oltre alle relazioni con i vicini dell’Asia meridionale, anche i rapporti con i paesi dell’Asia orientale rivestono un’importanza crescente nella politica estera indiana, come mostrano i sempre più stretti legami economici, energetici, infrastrutturali e relativi alla sicurezza. Tale linea diplomatica, avviata negli anni Novanta in parallelo alle riforme economiche, trova le sue origini nel collasso del tradizionale partner economico sovietico, nella crisi finanziaria dei primi anni Novanta e nell’attuale proliferazione di accordi regionali. Uno dei capisaldi della politica volta a consolidare i rapporti con i paesi dell’Asia orientale è la conclusione nel 2008 di un accordo di libero scambio con i membri dell’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico (Asean), che al momento dell’accordo contavano per il 10% del commercio estero indiano. Cruciale è poi il rapporto con la Cina, consolidato nelle relazioni economiche e commerciali, ma delicato dal punto di vista politico. Tra le principali cause di tensione si annoverano le dispute territoriali, in quanto la Cina rivendica la propria sovranità sullo stato indiano Arunachal Pradesh, mentre l’India avanza pretese sulla regione Aksai Chin del Kashmir, non riconoscendo la legittimità della cessione di quel territorio fatta dal Pakistan negli anni Sessanta. Inoltre il fatto che l’India ospiti sul suo territorio il Dalai Lama, capo del governo in esilio del Tibet, rappresenta un’ulteriore fonte di frizione, così come la costruzione da parte della Cina del cosiddetto ‘filo di perle’, ovvero la politica volta a mettere in sicurezza le rotte degli approvvigionamenti che transitano nell’Oceano Indiano, che mina l’influenza indiana nella regione.
Sempre in riferimento al continente asiatico, i rapporti con la Russia sono senz’altro mutati rispetto all’epoca dell’Unione Sovietica, quando i due paesi erano solidi alleati. Ciononostante, attualmente India e Russia cooperano in vari ambiti, in particolare quello energetico e militare, e hanno avviato un dialogo trilaterale con la Cina al fine di discutere questioni regionali e internazionali. Di rilievo è poi il recente avvicinamento agli Stati Uniti: nonostante le relazioni tradizionalmente fredde, a causa dei legami con l’Unione Sovietica e delle aspirazioni nucleari di Nuova Delhi, l’interesse statunitense al contenimento dell’influenza cinese in Asia ha portato a una maggiore collaborazione politica con l’India, evidenziata dalla conclusione nel 2008 di un trattato di cooperazione in materia di nucleare civile. Esso ha costituito una profonda evoluzione della politica estera indiana e della sua legittimazione internazionale, sancendo il riconoscimento dell’India come potenza nucleare, sebbene non firmataria del Trattato di non proliferazione nucleare (Npt). Peraltro, nello stesso anno, l’India ha firmato un accordo in materia di nucleare civile anche con la Francia e sta negoziando un accordo commerciale con l’Unione Europea (Eu).
Potenza nucleare, membro del G20 ed esponente dei Bric, l’India è oggi membro non permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (la sua candidatura è stata approvata da 187 paesi su 192) e ambisce a un seggio permanente nel quadro della riforma del Consiglio di sicurezza, con l’appoggio degli Stati Uniti.
L’India, grande potenza in the making, guarda con attenzione diffidente alla Cina, cerca un’intesa con gli Usa purché questa non la condizioni troppo, rivisita i suoi vicini in chiave di rinnovata proiezione di potenza, riserva all’Europa uno spazio residuale, in cui la nostalgia dei sentimenti cede il passo alla percezione dell’irrilevanza.
Per l’India la Cina rappresenta una sorta di vera ossessione. Due guerre perdute, problemi di frontiera irrisolti, uno sviluppo che tradisce ritardi cui l’attrattiva del ‘dividendo democratico’ pone solo in parte rimedio: tutto ciò aumenta la percezione in una parte significativa della dirigenza indiana che prima o poi la competizione dovrà cedere il passo a una nuova fase di scontro, per definire una volta per tutte le aree di rispettiva influenza. A tale atteggiamento corrisponde da parte cinese una forma di benevola indifferenza, quasi che l’altro gigante asiatico fosse sì un interlocutore necessario ma, tutto sommato, controllabile senza troppe difficoltà. Un mix del genere potrebbe apparire una ricetta sicura di instabilità, cui gli altri attori attuali e potenziali della regione – dal Giappone all’Australia, passando naturalmente per Mosca e Washington – avrebbero difficoltà a opporre alternative efficaci. Se non fosse per il fatto che ambedue sembrano avere deciso che – in questa fase almeno – la via della stabilità passi attraverso l’interrelazione economica. L’interscambio indo-cinese è passato in poco meno di un decennio da uno a 60 miliardi di dollari: si tratta di una relazione che – ancorché per ora squilibrata sul versante cinese – potrebbe mutare radicalmente qualità e termini del confronto e dare al concetto di stabilità un significato diverso.
L’eredità della Conferenza di Bandung, il terzomondismo militante di Nehru, errori ed incomprensioni da ambo le parti hanno a lungo marcato i rapporti con gli Stati Uniti. Tuttavia, l’India ha ben presente che il suo sdoganamento definitivo come potenza di primo rango sulla scena mondiale non potrà avvenire che con il benestare di Washington e si è andata orientando di conseguenza. Gli Stati Uniti dal canto loro hanno corrisposto ritenendo – con un pizzico di ottimismo di troppo – che l’India possa diventare il perno di un diverso assetto multipolare nella regione in chiave di containment anti-cinese. Da qui prima la riammissione ad opera di Bush dell’India nel club dei paesi nucleari ‘responsabili’, togliendo gran parte del suo valore a quel Npt che era stato immaginato proprio come contromisura allo ‘strappo’ operato da Indira Gandhi con la scelta di dotarsi di un arsenale nucleare indipendente. Quindi l’impegno di Obama di appoggiare la candidatura indiana al posto di membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: un impegno che fa compiere un salto di qualità a quella che rimane da sempre la stella polare della politica estera indiana, e la riprova della sua raggiunta grandezza (e che crea problemi seri ad alleati quali il Pakistan, così come al Coffee Club promosso dall’Italia). Gi Usa guardano all’India come a un nuovo importante alleato, cui proprio per questa ragione hanno fatto offerte importanti. L’India guarda agli Usa come a un partner, che con le sue aperture ha corretto delle ingiustizie prima perpetrate nei suoi confronti. È su questa ambiguità che il rapporto fra i due paesi continuerà a giocarsi nei prossimi anni, e non è detto che lo sarà con piena soddisfazione di Washington.
L’India ha tradizionalmente rapporti problematici con tutti i suoi vicini. Non solo – certo – con il Pakistan, nei cui confronti la ferita richiederà almeno un’altra generazione perché possa rimarginarsi. Negli ultimi anni, la linea che aveva portato Nuova Delhi a trascurare i suoi interessi nell’area circostante è andata progressivamente mutando: si è avvicinata alle varie organizzazioni regionali esistenti ed avviato un negoziato con l’Asean. La ‘look East policy’ continua, con un vigore nuovo: la sua motivazione profonda è probabilmente sempre la Cina, ma le ricadute per il paese sono potenzialmente positive.
L’Europa, infine. L’India ha difficoltà a capire, alla luce dei suoi condizionamenti storici, come un gruppo di paesi possa volontariamente rinunciare a quote crescenti della propria sovranità, in nome di un obiettivo comune diverso; soprattutto quando uno di questi sia l’antica potenza coloniale, che sotto molti aspetti esercita ancora un forte impatto psicologico sugli atteggiamenti del paese. L’Unione Europea appare quindi come un ircocervo incomprensibile, con il quale si deve convivere, ma che forse non deve essere preso troppo sul serio: l’India ha creato una ‘relazione strategica’ con l’Eu, ma preferisce di gran lunga trattare bilateralmente con i suoi membri. O almeno con quelli che ritiene utili ai suoi interessi.
Un paese in forte crescita e convinto dei suoi mezzi. Un protagonista attivo della nuova trasversalità sud-sud del Bric. Un protagonista che si vuole porre sullo stesso piano delle grandi potenze esistenti, dando al termine ‘emergente’ la forza di obiettivo realizzato, e che vede nel seggio permanente delle Nazioni Unite la consacrazione di tale obiettivo raggiunto. Un paese che ha mezzi e, soprattutto, la forza trainante dell’ottimismo e della fiducia in sé stesso. Un limite? L’arroganza, che tante volte lo ha portato a sopravvalutare le proprie mosse e che potrebbe colpire ancora.
L’Atto di indipendenza dell’India del 1947 sanciva che la regione del Kashmir fosse libera di decidere se rimanere indipendente o far parte di India o Pakistan. Il maharaja Hari Singh decise l’adesione alla prima in cambio di sostegno militare e della promessa di un successivo referendum popolare volto a ratificare tale scelta. Da allora il Kashmir è stato la causa di tre guerre tra India e Pakistan (nel 1947-48, nel 1965 e nel 1999), poiché entrambi gli stati ne rivendicano la sovranità: secondo Islamabad la regione doveva essere parte del Pakistan dal 1947, in quanto territorio a prevalenza musulmana, e i cittadini avrebbero avuto diritto al referendum. Nuova Delhi ribatte che l’Accordo di Simla del 1972 prevede una risoluzione del conflitto tramite un dialogo bilaterale e fa riferimento allo strumento di adesione firmato dal maharaja Singh nel 1947.
La linea di demarcazione è oggi definita nei termini dell’Accordo di Simla seguito al secondo conflitto indo-pakistano e, dal luglio 1949, è controllata dal Gruppo degli osservatori militari delle Nazioni Unite (Unmogip), creato da una risoluzione del Consiglio di sicurezza. Essa divide la regione nello stato indiano di Jammu e Kashmir e nella zona dello ‘Azad’ Kashmir (‘libero’), amministrata dal Pakistan: il primo, nella parte sud-orientale popolata da circa nove milioni di persone; il secondo, nella zona nord-occidentale, è popolato da circa tre milioni di persone. Una piccola parte del territorio è poi controllata dalla Cina, che gioca tuttavia un ruolo cruciale nella complessa rete degli equilibri regionali.
L’India è una repubblica parlamentare a struttura federale. Il Parlamento bicamerale è composto da una camera bassa, Lok Sabha (Camera del popolo), i cui membri sono eletti a suffragio universale ogni cinque anni, e da una camera alta ad elezione indiretta. Per la prima, la Costituzione prevede un massimo di 552 membri: fino a 530 rappresentano gli stati (28), fino a 20 rappresentano i territori dell’Unione (7), non più di due membri della comunità anglo-indiana sono nominati dal presidente se, ad avviso del medesimo, tale comunità non è adeguatamente rappresentata nella camera bassa. I rappresentanti della camera alta, Rajya Sabha (Camera degli stati), sono eletti dai legislativi dei rispettivi stati secondo quote basate sulla popolazione. Il primo ministro, che presiede l’esecutivo, è eletto dalla Lok Sabha mentre il presidente, attualmente Pratibha Patil, è eletto ogni cinque anni da entrambe le camere.
Le due principali forze politiche sono l’Indian National Congress Party (Inc), partito laico di centro che ha presieduto il governo federale per i primi cinquant’anni di indipendenza, e il Bharatiya Janata Party (Bjp), partito nazionalista che ha governato dalla metà degli anni Novanta. L’Inc ha capeggiato la campagna per l’indipendenza del paese ed è rimasto forte, trascendendo le divisioni religiose, etniche e di casta. Esso è inoltre legato alla famiglia Nerhu-Gandhi che ha guidato il partito per lungo tempo: oggi Sonia Gandhi è a capo del partito e il figlio Rahul ha vinto un seggio alla Lok Sabha alle elezioni del 2009. A partire dalle elezioni del 2004 l’Indian National Congress Party è tornato a guidare il paese e ha modificato alcune delle politiche intraprese dal precedente governo, tra le quali la controversa legislazione antiterrorismo e la diffusione dell’ideologia nazionalista hindu nelle scuole statali. La coalizione ha però risentito dell’opposizione interna dell’alleato Communist Party of India (che era parte dell’Indian National Congress Party all’epoca della Seconda guerra mondiale) su alcuni aspetti economici, quali le privatizzazioni, e sull’accordo con gli Stati Uniti in materia di energia nucleare – che si riteneva avrebbe aumentato l’influenza statunitense sulla politica estera indiana. Con le ultime elezioni dell’aprile 2009 la coalizione è uscita rafforzata e Manmohan Singh è stato confermato come primo ministro.
L’India, con quasi 1,2 miliardi di abitanti, è il secondo paese più popoloso al mondo dopo la Cina. Nel 2030 gli abitanti del paese, metà dei quali hanno meno di 25 anni, potrebbero aumentare sino alla cifra di 1,5 miliardi: la stima tiene conto non solo dell’aumento dell’aspettativa di vita e dei flussi di manodopera che l’India attira grazie alla sua crescita economica, ma anche del global warming, che potrebbe causare disastri naturali e conseguenti fenomeni di migrazione. Già nel 2007 le inondazioni in Bangladesh hanno infatti indotto 5 milioni di profughi bengalesi a varcare irregolarmente il confine con l’India.
Nel 2011 si dovrebbe concludere il grande censimento nazionale avviato nell’anno precedente: esso ha coinvolto 2,5 milioni di ufficiali governativi e, per la prima volta dal 1931, ha tenuto conto anche della casta di appartenenza dei cittadini. La popolazione indiana è decisamente eterogenea per lingua (sono 18 quelle ufficiali dell’Unione e degli stati), religione e classe. Circa il 70% di essa vive in zone rurali e solo il 30% in centri urbani. Quest’ultimi, però, contano un’alta densità abitativa. Sono più di 40 le città che superano il milione di abitanti, di cui sette contano tra i 2 e i 5 milioni di abitanti, tre tra i 5 e i 10 milioni e altre due megalopoli – Delhi e Mumbai – sono le due città più popolate al mondo, con una popolazione compresa tra i 15 e i 20 milioni di abitanti.
Sono invece più di 150 milioni gli indiani che abitano negli slum (baracche alla periferia dei grandi agglomerati urbani) e 8 milioni i senza tetto.
Il sistema sanitario indiano sta progressivamente migliorando; tuttavia la spesa pubblica destinata a tale comparto è pari a solo il 4,1% del pil nazionale. Non a caso la mortalità infantile è ancora alta, con 69 morti ogni 1000 nati, e il tasso di malnutrizione dei bambini di età inferiore ai cinque anni sfiora il 50%.
La diffusione delle malattie dipende dalle inadeguate condizioni igieniche in cui verte buona parte della popolazione e dalla contaminazione dell’acqua; l’accesso all’acqua potabile non è infatti ancora garantito a tutta la popolazione.
In India, oltre al metodo occidentale, esistono altri tre diversi approcci alla medicina: la medicina Siddah (nata nel sud del paese) e quella Unami (di origine islamica), che si basano su un approccio olistico, e l’Ayurveda, che è la più antica tradizione medica ed è fondata sull’utilizzo delle erbe.
Anche il settore dell’istruzione sta sensibilmente migliorando, ma il 37% della popolazione adulta (sopra i 15 anni) è ancora analfabeta e il tasso di lavoro minorile è pari al 12%.
Le università indiane, tuttavia, forniscono un’ottima preparazione e, in particolar modo, sono specializzate in materie ingegneristiche. In India si laureano un numero altissimo di ingegneri, con un tasso annuo pari a circa il doppio dei laureati statunitensi nella medesima disciplina.
Il sistema delle caste ha origini antiche. Esso prevedeva che la società indiana fosse divisa in quattro gruppi: contadini, artigiani e mercanti, guerrieri, e infine bramini o sacerdoti; all’interno di tali categorie si sono poi formati numerosissimi sottogruppi. In fondo vi erano i senza casta o ‘intoccabili’ che generalmente svolgevano lavori considerati ‘impuri’.
Nel tempo tale divisione divenne una rigida gerarchia ereditaria per cui ogni indiano nasceva e moriva all’interno di una certa casta. Tale sistema viene associato alla religione induista, sebbene le scritture vediche non sembrano contenere un riferimento esplicito a tale sistema discriminatorio.
Oggi il sistema delle caste è formalmente abolito così come l’‘intoccabilità’ (art. 17 della Costituzione indiana) ma, secondo il Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione, i senza casta, che oggi sono spesso definiti come Dalit (‘oppressi’), sono di fatto ancora discriminati soprattutto nelle aree rurali e per quanto concerne l’accesso a luoghi di culto, ospedali, scuole e altri luoghi pubblici. Gandhi, padre dell’indipendenza indiana e sostenitore dell’emancipazione degli intoccabili, li chiamò harijan, ‘figli di Dio’.
L’India è la più grande democrazia del mondo per numero di abitanti. In base all’indice di democraticità stilato dall’Economist, il sistema politico indiano si situa al 40° posto su 167 paesi. Questo grazie agli elevati valori nelle categorie ‘processo elettorale e pluralismo’ e ‘libertà civili’, mentre si registrano ancora alcune carenze in riferimento a ‘partecipazione politica’ e ‘cultura politica’. L’effettività dell’azione di governo è inoltre compromessa dalla corruzione diffusa e da intrecci tra criminalità e politica. Le elezioni del 2009, monitorate da una commissione elettorale indiana, sono state generalmente libere, sebbene vi siano stati rilevanti sospetti di compravendita dei voti.
I media sono prevalentemente privati e la loro attività, libera e diversificata, è una componente fondamentale della democrazia indiana; l’India è il secondo mercato nel mondo per la vendita di giornali (dopo la Cina), con 99 milioni di copie vendute al giorno. La Costituzione tutela la libertà di espressione, ma i giornalisti sono a volte soggetti a intimidazioni e a restrizioni, in particolare con riguardo ai temi della sicurezza nazionale. L’accesso a internet è libero.
Luogo di origine di religioni quali induismo, buddismo, giainismo, e sikhismo, l’India ospita numerose comunità religiose: gli hindu sono la maggioranza (81,3%), seguiti da musulmani (12,4%), cristiani (2,3%) e sikh (1,9%). Lo stato indiano è laico e la Costituzione prevede la libertà di culto; i cittadini appartenenti a diversi gruppi religiosi vivono generalmente una coesistenza pacifica anche se vi sono episodi di violenza e discriminazione che, in alcuni casi, rimangono impuniti.
In India ogni anno migliaia di donne sono uccise o vittime di abusi nel contesto domestico e il Comitato per l’eliminazione della discriminazione nei confronti delle donne delle Nazioni Unite ha richiesto un maggiore impegno del governo indiano su questo fenomeno. Vi sono inoltre casi di aborti selettivi sulle figlie femmine per combattere i quali il governo ha adottato delle misure nel 2008.
Dal 2004 ad oggi l’India ha sempre registrato un tasso di crescita annuale del pil superiore o uguale all’8%, ma nel 2008 e 2009 è cresciuta rispettivamente del 5,1% e del 7,7% a causa della crisi economica mondiale.
La crescita costante e le ottime perfomances registrate dagli indicatori macroeco;nomici non si riverberano, però, sulla condizione di vita della maggioranza della popolazione, che versa in stato di povertà. Il 76% degli indiani vive con meno di due dollari al giorno e il 42% con meno di 1,25 dollari al giorno (dato del 2005). Il 45% della ricchezza nazionale è, infatti, nelle mani del 10% della popolazione. Tale condizione economica accomuna in parte l’India ad altri giganti quali Brasile, Cina e Russia, i cosiddetti Bric, che secondo la banca Goldman Sachs nel 2050 saranno le maggiori potenze economiche del mondo.
La strada verso l’equilibrio e il consolidamento economico dell’India è tuttavia ancora lunga e passa necessariamente attraverso lo sviluppo delle infrastrutture, la riduzione della corruzione, il miglioramento del sistema burocratico, la formazione su ampia scala di lavoratori specializzati, il processo di privatizzazione, la riduzione dell’inflazione e del debito pubblico e il potenziamento del settore industriale. Quest’ultimo contribuisce solo per il 28% del pil nazionale, ma fornisce l’esempio più concreto delle potenzialità indiane: l’industria cinematografica è infatti l’emblema della crescita economica e culturale del paese.
Conosciuta in tutto il mondo come Bollywood, dall’unione dei termini ‘Bombay’ e ‘Hollywood’, ma in realtà dislocata in varie città del paese, quella del cinema è l’industria indiana che negli ultimi anni ha registrato il tasso di crescita maggiore (17%) con un aumento delle esportazioni pari al 60%. Nel solo 2009 gli incassi totali dell’industria cinematografica sono stati più di due miliardi di dollari e nei prossimi anni sono previsti ulteriori incrementi. Simili cifre sono inferiori solo al business dell’Information and Communication Technology, di cui Bangalore è campione a livello mondiale. Questa città, che attrae le principali multinazionali della tecnologia e personale molto qualificato, è infatti considerata la Silicon Valley dell’India.
Ad ogni modo è il settore terziario a costituire il maggiore traino economico dell’India, contribuendo al 55% del pil nazionale. L’outsourcing è, in questo comparto, l’attività più importante. La delocalizzazione dei paesi occidentali, infatti, trova in India terreno fertile per mantenere alti i livelli di competitività, abbassando i costi di produzione: il paese controlla circa la metà dell’outsourcing mondiale. Nel 2010, per esempio, l’India ha registrato un aumento del 40% dell’outsourcing in materia di servizi legali (settore in forte espansione), attestandosi come protagonista mondiale del fenomeno: il salario medio annuo di un professionista che lavora in India nel settore legale, infatti, è di circa 8000 euro contro i 130.000 di un professionista statunitense.
I principali partner commerciali indiani sono Stati Uniti e Cina. Il 10,9% delle importazioni dell’India provengono dalla potenza asiatica. Rilevante è anche il commercio con l’Eu, che ammonta al 13,4% delle importazioni e al 20,4% delle esportazioni indiane.
L’India è il quinto produttore mondiale di energia; essa possiede carbone e, in misura minore, petrolio e gas, e attualmente importa circa un quarto dell’energia consumata. Tuttavia il settore dell’energia, dominato da società di partecipazione statale, è caratterizzato da inefficienze, furti, frammentazione e mancanza di investimenti; inoltre, la rapida crescita economica aumenta la dipendenza energetica indiana. Infatti, nel 2009 l’India è stata il quarto consumatore mondiale di petrolio dopo Stati Uniti, Cina e Giappone, e il consumo è cresciuto del 5,2% nonostante la recessione. Anche il consumo di gas, che pure ammonta solo al 6% dell’energia consumata, è aumentato e le importazioni sono destinate a crescere, sebbene il potenziale di crescita interno sia elevato.
Tra i maggiori partner energetici vi sono i paesi del Golfo (Arabia Saudita, Qatar, Kuwait) e l’Iran. Sebbene le importazioni di gas e petrolio siano piuttosto diversificate (l’India importa minori percentuali anche dalla Russia, da alcuni paesi africani, dal Venezuela e da altri stati), la dipendenza dal petrolio arabo sembra essere una caratteristica di lungo periodo. Recentemente però l’India ha cercato di ridurre le importazioni dall’Iran, che fornisce il 16% del petrolio importato ed è un partner strategico nella regione, allineandosi alle politiche statunitensi ed europee volte a scoraggiare accordi con tale paese, a causa delle sue presunte aspirazioni al nucleare militare. Di rilievo anche i rapporti con la Russia, tanto in termini di forniture quanto per la crescente cooperazione in ambito energetico, come dimostra la collaborazione nella costruzione dell’impianto nucleare di Kudankulam. Infine, vi sono i progetti del gasdotto che dal Turkmenistan arriverebbe in Afghanistan, Pakistan e India e del gasdotto che dal Myanmar arriverebbe in India passando dal Bangladesh: per la realizzazione dei due impianti è però necessaria la stabilità regionale e il progressivo miglioramento delle relazioni con il Pakistan, con il Bangladesh, ricco di gas, e con il sud-est asiatico. Inoltre l’India ha cominciato a percorrere la strada degli approvvigionamenti diretti esterni, per esempio nel Golfo del Bengala, nel Golfo Persico, in Nord Africa e in Sudan.
Per garantire la propria sicurezza energetica nel lungo periodo, l’India sta inoltre sviluppando la produzione di energia nucleare. Oggi essa fornisce lo 0,6% dell’energia consumata e il 3% dell’elettricità, ma si stima che dovrebbe produrre il 25% dell’elettricità nel 2050. In quest’ottica, recentemente il paese ha concluso accordi bilaterali con numerosi paesi tra cui Stati Uniti, Francia, Russia, Kazakistan e Canada.
La rapida crescita della popolazione e l’impetuoso sviluppo economico hanno avuto un impatto significativo sulle risorse naturali del paese: deforestazione, riduzione della biodiversità, degrado del suolo, inquinamento dell’acqua e dell’aria sono alcune delle sfide ambientali che l’India si trova ad affrontare. Il paese ha una legislazione ambientale avanzata che tuttavia non è adeguatamente attuata a livello federale e statale.
Nel 2008 è stato approvato dal Congresso statunitense l’accordo in materia di cooperazione nucleare civile tra Stati Uniti e India. Esso prevede l’accesso per l’India alla tecnologia nucleare civile statunitense in cambio di ispezioni agli impianti nucleari civili indiani (non a quelli militari).
L’accordo rappresenta una svolta decisiva della politica estera statunitense: se dopo i test nucleari indiani del 1974 gli Stati Uniti avevano ridotto la cooperazione con l’India in tale ambito, con il recente accordo essi permettono all’India di ampliare l’industria nucleare, sebbene essa non sia soggetta agli obblighi previsti dal Trattato di non proliferazione nucleare. Secondo i critici, tale aspetto può creare un pericoloso precedente per altri paesi che desiderino dotarsi di armamenti nucleari.
Inoltre il Gruppo dei fornitori nucleari (Nsg), formato da un gruppo di paesi che possiedono la tecnologia nucleare e si sono posti dei vincoli circa l’esportazione di tale tecnologia, ha approvato la proposta statunitense per l’eliminazione delle restrizioni alle vendite in India.
L’esercito indiano, con 1.325.000 soldati attivi e 1.155.000 riservisti, è il terzo più grande al mondo, dopo quelli cinese e statunitense; tuttavia le forze armate sono male equipaggiate. La spesa per la difesa è pari al 3% del pil nazionale.
I militari sono spesso impiegati in operazioni congiunte alle forze di polizia per contrastare i movimenti secessionisti, come quelli del nord-est del paese, e per monitorare i territori statali meno sicuri, come quelli del nord-ovest, lungo i confini pakistano e cinese. Il maggiore impegno militare indiano, infatti, è assorbito dal conflitto col Pakistan nella regione del Kashmir e dal terrorismo di matrice islamica proveniente dallo stesso paese confinante, dalle contese territoriali per l’Arunachal Pradesh e dalle rivolte interne dei maoisti naxalisti, che contano un gruppo armato di 6500 guerriglieri in vari stati indiani. A difesa delle frontiere esiste uno speciale corpo militare di confine, costituito da circa 210.000 soldati.
L’esercito indiano è impiegato anche a supporto di numerose missioni internazionali. In particolare, sono 4249 i soldati facenti parte della missione Monuc nella Repubblica Democratica del Congo, 2600 nella missione Unmis in Sudan, 898 nella Unfil in Libano, 400 in Afghanistan, 195 nella Undof tra Siria e Israele. Sono invece una trentina gli osservatori internazionali impiegati nella missione Unmogip per monitorare il conflitto tra India e Pakistan.
L’India è anche una grande potenza nucleare: si stima che possegga tra le 60 e le 80 testate atomiche e che produca missili nucleari di gittata di medio raggio. Nel 1974 è stato condotto il primo test nucleare indiano a cui ne sono seguiti molti altri. Il Pakistan, in risposta, ha avviato il proprio programma nucleare in corrispondenza del primo test atomico indiano e annuncia esercitazioni nucleari ogniqualvolta si svolgano degli esercizi militari indiani. L’ultima prova indiana risale al 22 dicembre 2010, giorno in cui è stato lanciato un missile terra-aria con gittata di 350 km, capace di trasportare testate nucleari.
L’India non ha mai siglato il Trattato di non proliferazione nucleare né il Trattato di divieto dei test nucleari ed è prevedibile che non lo farà, se non a seguito dell’accettazione pakistana dei medesimi accordi. Tuttavia nel 2008 il paese ha firmato un accordo di cooperazione nucleare con gli Stati Uniti che, tra i vari punti, prevede anche la presenza di osservatori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Iaea) nei siti nucleari indiani e la fornitura, da parte statunitense, di tecnologia per la produzione nucleare civile.
La guerriglia maoista indiana ha avuto inizio nel marzo 1967, quando un gruppo di contadini del villaggio di Naxalbari nel Bengala settentrionale, da cui deriva l’appellativo ‘naxalista’, confiscò a un proprietario fondiario dei sacchi di riso. Il movimento di stampo comunista fu annientato nel 1975, per poi ricostituirsi sino a diventare oggi una delle maggiori preoccupazioni di politica interna dell’India.
Nonostante i tempi siano cambiati e l’India abbia maturato una certa dinamicità economica e una certa emancipazione politica, le cause del radicamento del movimento maoista sono del tutto simili a quelle di quarantaquattro anni fa: i sacchi di riso. La grande povertà indiana, la mancanza di un tessuto sociale coeso, l’elefantiasi della burocrazia, l’assenza di politica, di amministrazione e di polizia, infatti, in alcuni stati indiani hanno spinto un gruppo nutrito della popolazione a insorgere contro le istituzioni. Il terreno fertile di questi gruppi di rivoltosi è la campagna, dove lo stato è più debole, così come è avvenuto per Mao Tse-tung agli albori della sua rivoluzione comunista.
Dal 2004 i naxalisti hanno incrementato il proprio potere sul territorio grazie all’unificazione del Centro maoista comunista d’India, attivo nel Bihar, con il Gruppo della guerra popolare, operante nell’area centrale del paese; la nuova formazione ha preso il nome di Partito Comunista d’India, prontamente dichiarato fuori legge dal governo. Nel settembre 2009, secondo le informazioni del ministro dell’interno Palaniappan Chidambaram, i maoisti avrebbero operato in 626 distretti e 28 stati indiani e la guerriglia naxalista avrebbe provocato 721 morti nel 2008 e 873 nel 2009. Se lo stato indiano non riuscirà a colmare il vuoto politico alimentato con anni di malgoverno, di incuria e di strategie territoriali inefficaci, gli scontri e le vittime sono destinati ad aumentare.