Secondo la dottrina tradizionale, la legittima difesa, assieme alla pena di morte e all’uccisione in guerra, si configura come un’eccezione al divieto di uccidere. Sul piano teoretico, il problema della legittimità della difesa consiste nel riconoscere all’aggredito il diritto di uccidere l’aggressore, di riconoscere a un soggetto un diritto sulla vita altrui. Tommaso d’Aquino preferiva giustificare la legittima difesa in base al principio del duplice effetto, piuttosto che in base a quello della disponibilità della vita dell’ingiusto aggressore. Resta indubbio, tuttavia, che l’aggredito che decide di difendersi vuole uccidere, o quanto meno accetta psicologicamente la possibilità che sia proprio questo l’esito della sua azione di difesa. Il tentativo di giustificare la legittima difesa in base al principio del duplice effetto finisce, infatti, per trascendere il piano dell’etica individuale, ponendosi su quello dell’etica sociale, attraverso il riferimento alla difesa del bene comune. È pur vero che la legittima difesa soddisfa un primordiale senso di giustizia, nell’ambito del quale ‘colpevole’ è l’ingiusto e violento aggressore, che pone in pericolo diritti essenziali dell’aggredito, senza lasciargli possibilità di difenderli se non attraverso una reazione caratterizzata da una violenza analoga a quella dell’aggressore. Emerge, in tal senso, la necessità di far riferimento all’oggettività e non alla soggettività delle categorie di colpa e innocenza: colpevole, per il diritto, non è colui che lo è soggettivamente, ma solo materialmente; innocente è non solo chi lo sia soggettivamente, ma materialmente, per il solo fatto di essere stato aggredito. Sotto il profilo etico, l’impulso alla propria o all’altrui difesa può essere motivato dal senso di dovere, che incombe su ogni uomo, di evitare che si compia il male. Il difensore non ha alcun diritto, infatti, sulla vita dell’aggressore, ma ha il dovere di reagire per impedire che l’ingiustizia si realizzi. Perciò, chi si difende non commette propriamente un omicidio, perché la sua azione non è rivolta ad accrescere l’odio nel mondo, ma a minimizzarlo. In tal senso, nella legittima difesa ciò che emerge non è paradossalmente il bene da difendere, ma il principio per cui lo si difende: e cioè che il male non deve mai vincere.