Giurista e storico (Chemnitz 1632 - Berlino 1694). Fu il primo a insegnare in una università diritto naturale e delle genti (a Heidelberg dal 1661); fu quindi consigliere di Stato e storiografo regio a Stoccolma, fu poi chiamato nel 1686 come consigliere aulico a Berlino presso Federico Guglielmo di Hohenzollern. Scrittore prolifico ma arido, e ingegno disciplinato e metodico ma poco originale, P. dovete gran parte della sua fortuna scientifica all'avere sviluppato con maggiore sistematicità, e senza troppi veli, principi formulati già dai giusnaturalisti che lo avevano preceduto, e in particolar modo dal tanto più geniale Grozio, rendendo per tal modo ancora più chiare le tendenze borghesi, laiche, anticlericali, materialistiche, empiristiche, antistoriche, immanentistiche della scuola. Perciò il suo De iure naturali et gentium, sebbene violentemente attaccato da teologi e conservatori, ebbe grande risonanza negli stati più progrediti d'Europa, i quali, usciti dal feudalesimo e dalle guerre di religione, si davano una nuova coscienza, precisamente laica e borghese.
Studiò teologia protestante e diritto a Lipsia e nel 1657 filosofia a Jena, ove, sotto la guida del matematico E. Weigel, divenne fervido seguace del cartesianismo e del metodo geometrico trasferito alle scienze morali. Nel 1658, per mezzo del suo fratello maggiore Isaia (morto nel 1689), giurista, pubblicista e diplomatico non privo di valore, ottenne il posto di precettore presso il barone Coyet, ambasciatore svedese in Danimarca. Sennonché, giunto appena a Copenaghen, la guerra scoppiata fra i due paesi gli valse otto mesi di prigionia, che pose a profitto per meditare, sulle origini della società umana: argomento di taluni Elementa iurisprudentiae universalis che, redatti con perfetto metodo geometrico, pubblicò nel 1660 a L'Aia, ove s'era ritirato dopo la liberazione dal carcere. Sensibile all'influsso di Grozio e di Hobbes, dal 1661 insegnò diritto naturale e delle genti a Heidelberg, che lasciò, dopo le polemiche suscitate dalla sua opera De statu Imperii Germanici, pubblicata nel 1667 con lo pseudonimo di Severinus de Monzambano. L'opera suscitò tal vespaio a Vienna e nelle cancellerie dei principi territoriali tedeschi, tutte acerbamente criticate, che l'autore credette prudente accettare un invito di Carlo XI di Svezia e andare a insegnare diritto naturale e delle genti nell'università di Lund. Qui, nel 1672, diede alle stampe il suo famoso De iure naturali et gentium i cui temi tornano nel De officiis hominis et civis iuxta legem naturalem (1673). Alle polemiche suscitate da queste opere replicò nel 1686 con Eris Scandica. Consigliere di Stato e storiografo regio a Stoccolma, fu poi chiamato nel 1686 come consigliere aulico a Berlino presso Federico Guglielmo di Hohenzollern. P. dovette la sua fortuna alla sistematicità, scrupolosa e senza compromessi, con cui sviluppò le tesi giusnaturalistiche, interpretando la nuova coscienza europea laica e razionalista. P. intende svolgere la scienza del diritto come scienza rigorosamente deduttiva, fondata sulla recta ratio e non su procedimenti induttivi (lo ius gentium, secondo P., non può trovarsi attraverso un'analisi comparativa dei diversi diritti positivi). Nello svolgimento delle sue dottrine assume particolare rilievo la tesi dell'autonomia del diritto naturale rispetto alla religione: esso infatti determina la «regola delle azioni e dei rapporti fra tutti gli uomini non in quanto cristiani, ma in quanto uomini»; con eguale precisione è circoscritta la sfera del diritto dalla morale: nella prima è elemento essenziale la coattività connessa con la sanzione in rapporto alla non osservanza della norma giuridica; nella morale invece non vi è coazione, e il rispetto della norma è rimesso alla coscienza. In Italia l'opera di P., che ebbe risonanza a partire dalla seconda metà del sec. 18º, fu criticata da G. B. Vico, che vi trovava mancanza di senso storico e astrattezza dogmatica.