Filosofo (Londra 1671 - Napoli 1713), nipote del 1º conte di Shaftesbury (v.). Compiuti gli studî classici, dopo un viaggio in Francia e in Italia, entrò (1695) nel parlamento inglese nel gruppo dei whigs; presto abbandonò la vita politica, dedicandosi agli studî e ad alcuni viaggi (in Olanda e infine in Italia, nel cui clima cercò rimedio per la sua salute). Tra le sue opere, dopo l'anonima Inquiry concerning virtue or merit (pubblicata a Londra nel 1699 da Toland), e la Letter concerning enthusiasm (contro il fanatismo religioso), pubblicò The Moralists e Sensus communis: an essay on the freedom of wit and humor (1709); raccolse poi questi suoi varî scritti, anche rielaborandoli, in Characteristics of men, manners, opinions, times (3 voll., 1711). n Nel pensiero di S. è presente la tradizione dei platonici di Cambridge per la generale visione della natura come un tutto vivente, organico, armonioso, sostanzialmente positivo, buono. Di qui una valutazione positiva, ottimistica della natura umana, in polemica contro il rigorismo calvinista e soprattutto contro le dottrine di T. Hobbes. È in opposizione a quest'ultimo che S. nega il carattere prioritario ed esclusivo dell'interesse egoistico nel comportamento umano; mentre contro i teologi sostiene ldella morale dalla religione, sicché la moralità non può essere sottoposta al controllo delle autorità religiose. L'uomo, naturalmente virtuoso, cioè portato al bene, segue nella sua condotta non i dettami della ragione (sia pure in rapporto a determinati canoni di valori), né l'impulso egoistico, ma le sue naturali inclinazioni, che si esprimono attraverso il senso morale: questo senso morale percepisce immediatamente l'accordo o il disaccordo tra le affezioni che muovono l'azione, e valuta positivamente o negativamente tali affezioni, ponendo tra loro ordine e armonia; azione virtuosa è quella che realizza non solo un'armonia interiore, ma anche un'armonia che si inserisce nel positivo equilibrio del tutto, e in particolare si definisce in rapporto al pubblico bene (bene degli altri uomini e dell'universo). La morale trova così la sua radice in un interno principio di immediatezza, di spontaneità, di chiaro senso intuitivo. Di qui l'autonomia della morale rispetto alla religione (che piuttosto è posteriore alla moralità): questo tuttavia non significa che un'equilibrata credenza teistica in un Dio buono (garante della bontà e dell'equilibrio del tutto) non possa favorire lo stesso sviluppo della vita etica: ma è chiaro che in questa prospettiva Dio non è tanto quello delle religioni storiche (il Dio che giudica e punisce, il Dio della predestinazione e della grazia), ma quello che corrisponde a un equilibrato e naturale modello di vita (di qui l'influenza della posizione di S. nel deismo settecentesco). Lo stesso fondamentale senso di armonia, che presiede alle valutazioni etiche, sta alla base delle valutazioni estetiche: il bello è un'armonia di parti colta immediatamente dal soggetto in conformità alle proprie aspirazioni. Larga fu la fortuna di S., soprattutto per quanto concerne la dottrina del senso morale, ripresa e ampiamente svolta da F. Hutcheson; ma notevole influenza ebbe anche in tutta la cultura europea per la concezione dinamica, vitalistica della natura che trova nuovi sviluppi nel Settecento tedesco (che leggeva S. tradotto da D. Diderot) alle origini del romanticismo.