Archèi Microrganismi unicellulari che nell'albero filogenetico universale appartengono al regno Procarioti.
Abstract di approfondimento da Archei di Pietro Cammarano (Enciclopedia della Scienza e della Tecnica)
I rapporti filogenetici tra i diversi tipi di procarioti (gli organismi composti da cellule semplici senza nucleo, risalenti a circa 3,5 miliardi di anni fa) e tra questi e gli eucarioti (organismi composti da cellule con il nucleo, datati a circa 1,5 miliardi di anni fa) hanno costituito un enigma insolubile prima che fossero messe a punto le tecniche per il sequenziamento del DNA. Nella percezione generale, i procarioti erano considerati un gruppo indivisibile, mentre gli eucarioti sembravano essere una filiazione tardiva di uno dei diversi phyla batterici noti, derivati forse dai micoplasmi. Questi ultimi, essendo privi di parete cellulare, avrebbero infatti più facilmente acquisito (per endocitosi) altri procarioti precursori dei mitocondri e cloroplasti dando origine alle cellule ‘internamente compartimentate’ – con nucleo e organelli – tipiche degli eucarioti.
Questa rappresentazione della storia e della diversità dei viventi ha subito una svolta imprevista nella seconda metà degli anni Settanta del Novecento in seguito allo sviluppo di tecnologie per la determinazione delle sequenze nucleotidiche dei geni (e implicitamente delle sequenze amminoacidiche delle proteine corrispondenti), e all’idea, dovuta a Linus Pauling ed Emil Zuckerkandl, che le macromolecole informazionali (DNA, RNA, proteine) sono documenti ‘storici’ la cui consultazione permette di percorrere a ritroso la storia naturale dei viventi. In sostanza, geni (o proteine) omologhi di specie diverse hanno sequenze simili ma non identiche. Le identità (condivisioni di uno stesso tipo di monomero in posizioni corrispondenti di due o più sequenze omologhe) riflettono la sostanziale inviolabilità di ‘motivi’ di sequenza essenziali per la funzionalità del prodotto genico. Le diversità riflettono la fissazione e il progressivo accumulo delle mutazioni selettivamente neutrali che modificano, nel tempo, le sequenze geniche. Per il carattere additivo delle mutazioni neutrali, sequenze omologhe di due qualsiasi specie sono tanto più dissimili quanto maggiore è l’intervallo di tempo trascorso dalla loro separazione da una sequenza ancestrale appartenuta a un più recente antenato comune delle specie in esame, e la quantificazione delle diversità di sequenza fornisce una chiave per la ricostruzione delle relazioni genealogiche tra le specie alle quali le sequenze appartengono.
Un corollario implicito è che sequenze altamente conservate di geni (o proteine) universali permettono di risalire a divergenze primigenie e, in prospettiva, di ricostruire quell’albero della vita preconizzato da Charles Darwin nella sua opera On the origin of species (1859). In quest’ambito di studi, le sequenze, evolutivamente molto stabili, dei geni che codificano per gli RNA della sottounità minore del ribosoma (Ssu-RNA, una stringa informazionale di 1500-2000 nucleotidi) hanno rappresentato la ‘stele di Rosetta’ dell’evoluzione cellulare: lo strumento che ha vanificato il dogma dell’indivisibilità dei procarioti e dell’origine degli eucarioti dai batteri conosciuti.